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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 66 del 21 giugno 2019


Ordinanza

N. 96 Registro ordinanze 2019. Ordinanza del 12 dicembre 2018 del Tribunale amministrativo regionale del Veneto nel procedimento amministrativo promosso da Vania Carlamì, Giampaola Carlan e Donatello Bertilla c/il Comune di Altavilla Vicentina, Gianluca Zordan e Mario Ercego.

Pubblicato il 12/12/2018

N. 01166/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00164/2017 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
 

(Sezione Seconda)
 

ha pronunciato la presente


ORDINANZA
 

sul ricorso numero di registro generale 164 del 2017, proposto da

Vania Carlan, Gianpaola Carlan e Bertilla Donatello, rappresentate e difese dagli avvocati Gianluca Ghirigatto e Anna Povolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Tonolo in Venezia, San Polo 135;

contro

Comune di Altavilla Vicentina, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Dario Meneguzzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Zuccolo in Mestre - Venezia, via Giosuè Carducci n.45;

nei confronti

Gianluca Zordan, Mario Ercego non costituitisi in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento prot. 581 del 17.1.2017 di conferma del precedente ordine di non effettuare l'intervento del 6.12.2016; e dell'ordine di non effettuale l'intervento del 6.12.2016 notificato il 9.12.2016 n. prot. 17301 di cui alla denuncia di inizio attività del DIA180-PC; nonché di ogni atto annesso, connesso o presupposto

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Altavilla Vicentina;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2018 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

1. Le ricorrenti espongono di essere titolari di diritti reali su un immobile residenziale sito nel Comune di Altavilla Vicentina e di aver presentato in data 1 dicembre 2016 una denuncia di inizio attività avente ad oggetto la ristrutturazione e l’ampliamento dell’edificio usufruendo dei benefici previsti dalla legge regionale sul c.d. “piano casa” 8 luglio 2009, n. 14.

L’intenzione delle ricorrenti era nel senso di ampliare l’abitazione usufruendo del bonus edificatorio del 20 per cento e contestualmente ristrutturare, previa demolizione e ricostruzione, un manufatto condonato, consistente in una baracca metallica a ridosso del confine, al fine di dotare l’immobile di una più ampia autorimessa idonea a consentire all’usufruttaria, anziana affetta da invalidità civile che necessita di maggiori spazi per la deambulazione con ausili sanitari, l’accesso diretto dall’auto all’abitazione in ambienti protetti dalle intemperie.

L’intervento prevede, specificandolo nella relazione tecnica, di derogare alla distanza di cinque metri dai confini prevista dall’art. 10, comma 3, lett. b), delle norme tecniche operative allegate al vigente Piano degli interventi.

2. Per chiarezza espositiva va fin da ora premesso che la legge regionale sul piano casa n. 14 del 2009, ha previsto un’articolata serie di incentivi e di premi volumetrici anche in deroga agli strumenti urbanistici comunali al fine di riqualificare il patrimonio edilizio esistente e sostenere il settore edilizio colpito da una grave crisi economica.

L’efficacia temporalmente limitata di tali norme è stata ripetutamente prorogata fino al 31 dicembre 2018 (l’ultima proroga è stata disposta dall'art. 65 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30).

L’art. 9, comma 8, della legge regionale n. 14 del 2009, prevede che nell’applicazione della legge “sono fatte salve le disposizioni in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente”.

Il Tar Veneto inizialmente ha interpretato questa norma come comportante il divieto di derogare alle distanze previste da disposizioni statali, ma idonea a consentire la deroga alle distanze dai confini previste dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti locali (si vedano le sentenze Tar Veneto, Sez. II, 24 ottobre 2013, n. 1213; id. 13 giugno 2013, n. 835; id. 21 ottobre 2010, n. 5694), giungendo a ritenere manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale della norma sotto questo secondo profilo (si veda Tar Veneto, Sez. II, 6 febbraio 2014, n. 151).

Successivamente lo stesso Tribunale, con sentenza Tar Veneto, Sez. II, 14 ottobre 2016, n. 1128, ha mutato il proprio orientamento giungendo in via interpretativa alla conclusione che in base alla legge regionale sul piano casa anche le distanze dai confini previste dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti locali non potevano ritenersi derogabili.

Tenendo conto dei numerosi argomenti critici offerti sul punto dalla dottrina che si è occupata di quelle precedenti pronunce o del commento della legge regionale, tale conclusione è stata motivata con riferimento:

a) alla necessità di dare un’interpretazione restrittiva alle disposizioni sul piano casa alla luce della natura peculiare delle sue norme in ragione della loro natura derogatoria e temporanea, senza interpretazioni estensive che potrebbero condurre a stravolgere l'ordinata pianificazione del territorio (su tali principi si vedano le recenti pronunce Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 maggio 2018, n. 3249; id. 21 marzo 2016, n. 1153; sulla natura eccezionale del Piano Casa cfr. altresì Sez. VI 28 gennaio 2016 n. 335; Tar Veneto, Sez. II, 14 dicembre 2015, n. 1329), con la conseguenza che, in mancanza di una espressa previsione in merito alla derogabilità delle distanze dai confini previste dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti locali nel corpo della legge sul piano casa, è necessario ritenere non ammissibile la loro deroga;

b) alla necessità di dare una lettura costituzionalmente orientata della norma di cui all’art. 9, comma 8, della legge regionale n. 14 del 2009, essendo quantomeno dubbio che la legge regionale possa intervenire in un ambito normativo, quale è quello delle maggiori distanze tra gli edifici che possono dettare i regolamenti locali con norme integrative dell’art. 873 c.c., riconducibile all’ordinamento civile riservato alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

3. Il Comune di Altavilla Vicentina, a fronte della sopra citata denuncia di inizio attività del 1 dicembre 2016, con provvedimento prot. n. 17301 del 6 dicembre 2016, ha inibito i lavori sulla scorta di quanto affermato dalla citata pronuncia Tar Veneto, Sez. II, 14 ottobre 2016, n. 1128, non ritenendo derogabile, in base alla legge regionale sul piano casa, la distanza di 5 metri dai confini prevista dall’art. 10, comma 3, lett. b), delle norme tecniche operative allegate al vigente Piano degli interventi.

Tale provvedimento non è stato impugnato ed ha consolidato i suoi effetti.

4. Successivamente è intervenuto il legislatore regionale con l’art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, il quale ha dato un’interpretazione autentica delle norme sul piano casa disponendo che le stesse devono essere interpretate “nel senso che esse consentono di derogare ai parametri edilizi di superficie, volume, altezza e distanza, anche dai confini, previsti dai regolamenti e dalle norme tecniche di attuazione di strumenti urbanistici e territoriali, fermo restando quanto previsto all’articolo 9, comma 8 della medesima legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 con esclusivo riferimento a disposizioni di emanazione statale” e disponendo altresì al comma 2 che “gli eventuali provvedimenti di rigetto o di annullamento emessi dal comune sulla base di una interpretazione degli articoli 2, comma 1, 6, comma 1, e 9, comma 8, della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, diversa da quella indicata al comma 1, sono riesaminati alla luce di quanto previsto dai medesimi”.

5. Alla luce di tale disposizione le ricorrenti con atto prot. n. 391 del 12 gennaio 2017, hanno presentato un’istanza di riesame del precedente atto di inibitoria della denuncia di inizio attività e il Comune con provvedimento prot. n. 581 del 16 gennaio 2017, l’ha respinta facendo riferimento alla natura integrativa delle norme locali rispetto agli artt. 872 e 873 c.c., e alla possibile illegittimità costituzionale della legge regionale di interpretazione autentica.

6. Con il ricorso in epigrafe il diniego è impugnato con due motivi.

Con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 64, comma 1, della legge regionale n. 30 del 2016, ed il difetto di motivazione perché il Comune non ha tenuto conto della sopravvenuta norma regionale e ad esso non compete sindacare la legittimità costituzionale delle leggi regionali che è chiamato ad applicare.

Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 64, comma 2, della legge regionale n. 30 del 2016, il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione, perché, quand’anche il provvedimento impugnato dovesse essere qualificato come atto meramente confermativo del precedente atto di inibitoria, dovrebbe comunque trovare applicazione l’obbligo di riesame degli atti già emanati previsto dal comma 2 della norma di interpretazione autentica.

6.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Altavilla Vicentina eccependo l’illegittimità costituzionale dell’art. 64 della legge regionale n. 30 del 2016, con la conseguente non derogabilità delle distanze dai confini previsti dalla normativa locale per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale di tale norma, e concludendo pertanto per il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 116 del 16 marzo 2017, è stata respinta la domanda cautelare per mancanza del requisito del periculum in mora.

Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2018, la causa è stata trattenuta in decisione.

7. Ciò premesso, il Collegio non può esimersi dal sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 64 della legge regionale n. 30 del 2016, nella parte in cui dispone la deroga della distanza dai confini prevista dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti dei Comuni.

La questione di legittimità costituzionale deve ritenersi senz’altro rilevante nel giudizio a quo, perché il diniego è stato motivato con esclusivo riferimento alla non derogabilità della distanza dai confini, e un’eventuale dichiarazione dell’illegittimità costituzionale della norma regionale di interpretazione autentica di cui al citato art. 64 comporterebbe il rigetto del ricorso, dato che troverebbe in tal modo applicazione il testo originario dell’art. 9, comma 8, della legge regionale n. 14 del 2009, con possibile esplicazione dell’interpretazione sistematica del medesimo data dalla sentenza Tar Veneto, Sez. II, 14 ottobre 2016, n. 1128, e condivisa dal Comune di Altavilla Vicentina.

Un’eventuale dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale comporterebbe invece l’accoglimento del ricorso in epigrafe, il conseguente annullamento del diniego, con l’obbligo per il Comune di riesaminare l’originaria denuncia di inizio attività adeguandosi alla norma regionale sopravvenuta di interpretazione autentica.

8. Quanto alla non manifesta infondatezza il Collegio ritiene violati gli artt. 3, 5, 114, comma 2, 117, comma 2, lett. l), e comma 6, nonché 118 della Costituzione.

Il primo profilo da esaminare riguarda la violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione perché il legislatore regionale disponendo la deroga delle distanze dai confini previste dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti comunali, è intervenuto in un ambito normativo riservato alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile”.

L’art. 873 c.c. “Distanze nelle costruzioni” dispone che “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”.

L’art. 872, comma 2, c.c. prevede che “colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate”.

Per pacifica giurisprudenza della Cassazione (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 3 novembre 2000, n. 14351) “le norme edilizie locali le quali prescrivono maggiori distanze nelle costruzioni fissandole in relazione al confine, anziché direttamente tra le costruzioni medesime, hanno anch'esse carattere integrativo della disciplina codicistica, con la conseguenza che la loro violazione dà diritto a pretendere la riduzione in pristino, oltre al risarcimento dei danni (v., ex plurimis, sent. 24.6.96 n. 5831, 8.7.96 n. 6209, 2.5.97 n. 3820, 18.6.98 n. 6088, 28.11.98 n. 12103)”.

I medesimi concetti sono ribaditi anche dalla giurisprudenza più recente (cfr. Cassazione civile, sez. II, 28 settembre 2018, n. 23543) che ha avuto modo di affermare che “in tema di distanze legali, le norme degli strumenti urbanistici integrano la disciplina dettata dal codice civile nelle materie regolate dagli artt. 873 c.c. e segg., ove tendano ad armonizzare l'interesse pubblico ad un ordinato assetto urbanistico del territorio con l'interesse privato relativo ai rapporti intersoggettivi di vicinato, sicchè vanno incluse in tale novero le disposizioni del piano regolatore generale dell'ente territoriale che stabiliscano la distanza minima delle costruzioni dal confine del fondo e non tra contrapposti edifici (cfr. Cass. sez. un. 24.9.2014, n. 20107)” e che “la violazione delle norme degli strumenti urbanistici integrative della disciplina dettata dal codice civile nelle materie regolate dagli artt. 873 c.c. e segg., conferisce senz'altro al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino (Cass. 5.11.1990, n. 10615; Cass. 30.7.1984, n. 4519)” (cfr. tra le tante Cass. Civ. sez. II, 12 maggio 2011, n. 10459; id. 23 luglio 2009, n. 17338; id. 16 gennaio 2009, n. 1073; id. 30 agosto 2004, n. 17390; id. 9 dicembre 1996, n. 10935).

Ancora la giurisprudenza ha chiarito che al pari dei regolamenti locali, anche le disposizioni del DM 2 aprile 1968, n. 1444 devono ritenersi immediatamente operative nei rapporti tra privati in quanto integrative dell’art. 873 c.c. (cfr. Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2018, n. 1616; Cass. civ. 26 luglio 2016, n. 15458; Cass. Civ. 15 luglio 2016, n. n. 14552; Cass. Civ. sez. II, 29 marzo 2007, n. 7702).

Ritiene pertanto il Collegio di poter affermare che sul piano delle fonti il rapporto di integrazione che si instaura tra l’art. 873 c.c. e i regolamenti locali, non è dissimile al rapporto di integrazione che intercorre, in forza dell’art. 41 quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, tra l’art. 873 c.c. e il DM 2 aprile 1968, n. 1444.

Pertanto anche per la distanza dai confini, così come per la distanza tra costruzioni, devono valere i medesimi consolidati principi anche di recente affermati dalla Corte Costituzionale (cfr. la sentenza 24 febbraio 2017, n. 41) la quale ha ribadito che “secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disciplina delle distanze fra costruzioni ha la sua collocazione anzitutto nella sezione VI del Capo II del Titolo II del Libro III del codice civile, intitolata appunto <<Delle distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra fondi>>. «Tale disciplina, ed in particolare quella degli articoli 873 e 875 che viene qui in più specifico rilievo, attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi. […] Non si può pertanto dubitare che la disciplina delle distanze, per quanto concerne i rapporti suindicati, rientri nella materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato» (sentenza n. 232 del 2005)”.

Ne discende che tutte le norme integrative delle disposizioni di cui all’art. 873 c.c., e pertanto anche quelle dei regolamenti locali oltre a quelle previste dal DM 2 aprile 1968, n. 1444, concorrendo alla configurazione del diritto di proprietà nella disciplina dei rapporti di vicinato al fine di assicurare un’equità nell’utilizzazione edilizia dei suoli privati attribuendo un vero e proprio diritto soggettivo al reciproco rispetto, che in quanto tale gode di tutela reale mediante la riduzione in pristino in caso di violazione, rientrano nella materia dell’ordinamento civile.

Sotto questo profilo la norma regionale di cui all’art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, nella parte in cui consente di non rispettare le distanze dai confini stabilite dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti locali integrative dell’art. 873 c.c., a giudizio del Collegio risulta pertanto invasiva della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile.

Invero una norma di tale tenore non appare poter essere ricondotta alla competenza ricorrente in materia di governo del territorio perché, come anche recentemente chiarito dalla Corte Costituzionale (cfr. la già citata Corte Costituzionale n. 41 del 2017) “nel delimitare i rispettivi ambiti di competenza − statale in materia di «ordinamento civile» e concorrente in materia di «governo del territorio» − questa Corte ha individuato il punto di equilibrio nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, più volte ritenuto dotato di particolare «efficacia precettiva e inderogabile» (sentenza n. 185 del 2016, ma anche sentenze n. 114 del 2012 e n. 232 del 2005), in quanto richiamato dall’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), introdotto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150). Pertanto, è stata giudicata legittima la previsione regionale di distanze in deroga a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche» (ex plurimis, sentenza n. 231 del 2016). In definitiva, le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite «se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 134 del 2014; analogamente sentenze n. 178, n. 185, n. 189, n. 231 del 2016), poiché «la loro legittimità è strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente considerati» (sentenza n. 114 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 232 del 2005)”.

La medesima pronuncia ha altresì osservato che “i medesimi principi sono stati ribaditi anche dopo l’introduzione dell’art. 2-bis del TUE, da parte dell’art. 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98. La disposizione, infatti, ha sostanzialmente recepito l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, inserendo nel testo unico sull’edilizia i principi fondamentali della vincolatività, anche per le Regioni e le Province autonome, delle distanze legali stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968 e dell’ammissibilità delle deroghe, solo a condizione che siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 185 del 2016; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 189 del 2016)”.

Alla luce di tali principi il Collegio ritiene pertanto che, al di fuori di queste specifiche e limitate ipotesi previste dall’ultimo comma dell’art. 9 del DM 2 aprile 1968, n. 1444, una legge regionale che incida in maniera diretta su diritti soggettivi già sorti in forza di norme integrative dell’art. 873 c.c., siano esse derivanti dal citato decreto ministeriale n. 1444 del 1968 o dai regolamenti locali, di fatto annullandoli, deve ritenersi violare la potestà legislativa statale in materia di ordinamento civile.

9. Il secondo profilo che a giudizio del Collegio risulta al contempo violato è quello della lesione della sfera di autonomia normativa comunale in violazione degli artt. 5, 114, comma 2, 117, comma 6 e 118 della Costituzione (con riguardo a quest’ultima norma per la violazione del principio della sussidiarietà verticale).

Infatti la legge statale storicamente riconosce in capo al Comune l’esercizio delle competenze pianificatorie e regolatorie dell’uso del territorio (cfr. la legge 17 agosto 1942, n. 1150) e gli articoli 114, comma 2, e 117, comma 6, della Costituzione, nonché l’art. 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131, riconoscono un ambito di autonomia regolamentare dei Comuni che, qualora come nel caso di specie sia da esercitare in una funzione attribuita dalla legislazione dello Stato, la Regione non può conculcare.

Sul punto devono pertanto ritenersi ancora validi i principi affermati dalla Corte Costituzionale in un contesto antecedente alla riforma del Titolo V della Costituzione, ma che risultano ancor più attuali per effetto dell’espresso riconoscimento, ad opera di tale riforma, dell’autonomia normativa dei Comuni nella Costituzione.

La Corte Costituzionale ha infatti affermato che “gli artt. 5 e 128 della Costituzione presuppongono una posizione di autonomia dei comuni, che le leggi regionali non possono mai comprimere fino a negarla” (sentenze nn. 286 e 83 del 1997), precisando che tale principio deve essere inteso nel senso che "il potere dei comuni di autodeterminarsi in ordine all’assetto e alla utilizzazione del proprio territorio non costituisce elargizione che le regioni, attributarie di competenza in materia urbanistica siano libere di compiere", in quanto l’art. 128 della Costituzione "garantisce, con previsione di principio, l’autonomia degli enti infraregionali, non solo nei confronti dello Stato, ma anche nei rapporti con le stesse regioni" (cfr. sentenza n. 83 del 1997; si vedano altresì le sentenze n. 157 del 1990; n. 212 del 1991; n. 61 del 1994).

Pertanto a giudizio del Collegio l’art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, avendo esautorato i Comuni dal disciplinare in conformità con le specifiche esigenze di un ordinato sviluppo del proprio territorio ed in modo equo i rapporti tra i proprietari confinanti per una intera categoria di interventi edilizi che corrispondono a quelli attuativi della legge sul piano casa, viola l’autonomia normativa dei Comuni riconosciuta dagli articoli 5, 114, comma 2, 117, comma 6, e 118 della Costituzione.

10. Infine risulta altresì violato l’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza e della disparità di trattamento che costituiscono un parametro particolarmente rilevante rispetto alla norma della cui legittimità costituzionale si dubita che è una norma di interpretazione autentica al primo comma, e retroattiva al secondo comma, che per essere costituzionalmente legittima deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non deve contrastare con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (ex pluribus cfr. Corte Costituzionale n. 73 del 2017; n. 170 del 2013, nonché le sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010).

Infatti la previsione, nell’ambito degli strumenti urbanistici e nei regolamenti comunali, di una distanza di cinque metri dal confine persegue chiaramente una finalità di carattere perequativo, imponendo una ripartizione equa, in parti uguali, del sacrificio derivante dal necessario rispetto della distanza di dieci metri da pareti finestrate prevista dal DM 2 aprile 1968, n. 1444.

In mancanza dell’operatività di una disposizione comunale di questo tipo, il soggetto preveniente costringe infatti il prevenuto ad arretrare per rispettare la distanza di dieci metri da pareti finestrate compromettendo seriamente il suo diritto ad edificare qualora lo stesso non possegga una superficie residua del lotto sufficiente a conservare le facoltà edificatorie che il medesimo lotto può esprimere in base allo strumento urbanistico.

Inoltre una tale eventualità può potenzialmente compromettere anche gli interessi pubblici coinvolti nella pianificazione urbanistica creando elementi edilizi estemporanei e distonici rispetto all’ordinato assetto urbanistico dato dalla presenza di caratteristiche tipologiche e architettoniche omogenee in un determinato ambito territoriale.

Pertanto la norma di cui all’art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, consentendo la deroga alle distanze dai confini per i soli interventi di carattere eccezionale attuativi della legge sul piano casa, risulta anche irragionevole e discriminatoria perché introduce una disciplina non imparziale che favorisce solo chi intende dar corso ad un siffatto intervento edilizio a discapito del vicino confinante, comprime la posizione giuridica di quest’ultimo che ha la consistenza di un vero e proprio diritto soggettivo, e finisce per comportare elementi di squilibrio e distorsione nelle relazioni tra proprietari confinanti determinando situazioni di iniquità nei rapporti intersoggettivi.

Inoltre la posizione del terzo confinante nonostante abbia la medesima natura di diritto soggettivo perfetto finisce in tal modo per subire una diversa tutela a fronte di uno stesso intervento edilizio a seconda che venga realizzato in attuazione delle norme sulla legge regionale sul piano casa, o in forza delle ordinarie norme del piano regolatore.

Nel primo caso il vicino non può che costruire in arretramento, in quanto è privo dei rimedi giuridici per reagire alla compressione del proprio ius edificandi, nel secondo caso può ottenere una tutela ripristinatoria reale.

Sotto questo profilo la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 64 comma 1, e la norma retroattiva di cui al comma 2, risultano violare l’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza e della disparità di trattamento.

11. In conclusione il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, nella parte in cui dispone la non applicabilità delle disposizioni contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti dei Comuni per gli interventi edilizi applicativi della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, per violazione degli artt. 3, 5, 114, comma 2, 117, comma 2, lett. l), e comma 6, nonché 118 della Costituzione.

Si deve pertanto disporre la sospensione del presente giudizio e la rimessione della questione all’esame della Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la decisione sulla prospettata questione di costituzionalità.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione Seconda) solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, per contrasto con gli artt. 3, 5, 114, comma 2, 117, comma 2, lett. l), e comma 6, nonché 118 della Costituzione, secondo quanto stabilito in motivazione.

Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della Segreteria della Sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte Costituzionale per la risoluzione della prospettata questione, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente della Giunta regionale, e comunicata al Presidente del Consiglio regionale del Veneto.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Alberto Pasi, Presidente

Stefano Mielli, Consigliere, Estensore

Mariagiovanna Amorizzo, Referendario

 

L'ESTENSORE
Stefano Mielli
 

IL PRESIDENTE
Alberto Pasi

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