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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 113 del 20 agosto 2021


Ordinanza

N. 132 Registro ordinanze 2021. Ordinanza del 30 giugno 2021 del Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Regione Veneto c/Dissegna Aurea.

Pubblicato il 30/06/2021
n. 04997/2021 REG. PROV. COLL.
n. 07093/2013 REG. RIC.

IL CONSIGLIO DI STATO

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 7093 del 2013, proposto da

Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dall’avvocato Maurizio Salvalaio ed elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Tommaseo Salvini n. 55, presso lo studio dell’ avvocato Carlo d’Errico.

Contro

Dissegna Aurea, rappresentata e difesa dagli avvocati Mariagrazia Romeo e Mario Sanino, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Viale Parioli, n. 180;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 111 del 31 gennaio 2013, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della sig.ra Aurea Dissegna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 aprile 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall'art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176) il Cons. Roberto Politi;

Uditi gli avvocati Maurizio Salvalaio per l'Amministrazione regionale appellante e Mariagrazia Romeo per l'appellata sig.ra Dissegna;

1. Espone l'appellante Amministrazione regionale che, con decreto del Presidente del Consiglio regionale, n. 20 del 7 dicembre 2010, la dott.ssa Aurea Dissegna veniva nominata a capo dell’Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori: figura, questa, istituita con legge regionale n. 42 del 9 agosto 1988, il cui art. 7 stabiliva che al titolare dell'Ufficio anzidetto spettasse “l’indennità, la diaria a titolo di rimborso spese, il rimborso spese di trasporto e il trattamento di missione previsti dalla legge regionale 30 gennaio 1997, n. 5, per i consiglieri regionali e secondo le modalità per gli stessi previste”.

Con l'art. 7 della legge regionale n. 13 del 6 aprile 2012 (legge finanziaria regionale per l'esercizio 2012), il Consiglio regionale modificava l'anzidetta disposizione, prevedendo che "al titolare dell’Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori spetta il 30% dell’indennità, della diaria a titolo di rimborso spese, del rimborso di spese di trasporto e del trattamento di missione previsti dalla L.R. 30 Gennaio 1997 n. 5 Trattamento indennitario dei consiglieri regionali".

2. Intervenuta la comunicazione, nei confronti dell'odierna appellata, della suindicata modificazione, in senso riduttivo, dell'ammontare del previsto trattamento indennitario (inizialmente stabilito in misura equivalente, rispetto a quello previsto per i consiglieri regionali), la dott.ssa Dissegna impugnava tale atto dinanzi al T.A.R. Veneto (ricorso N.R.G. 980 del 2012).

Costituitasi l'Amministrazione regionale, il Tribunale ha accolto il ricorso, con compensazione delle spese di lite.

3. Avverso tale pronuncia, la Regione Veneto ha interposto il presente appello, con il quale l'avversata sentenza del T.A.R. viene censurata sotto i profili di seguito indicati:

Violazione di legge. Errata applicazione dell’art. 11 delle preleggi, anche in riferimento all’art. 7 della legge regionale del Veneto n. 42 del 1988 della Regione del Veneto. Tempus regit actum.

Il giudice di prime cure, pur nel ritenere, correttamente, che la questione al medesimo sottoposta fosse da risolversi parametrando la conformità della nota della Segreteria generale del Consiglio Generale del Veneto prot. n. 0008338 del 3 maggio 2012 all'art. 11 delle preleggi (irretroattività delle leggi, ove altrimenti non espressamente disposto), sarebbe, tuttavia, pervenuto a non condivise conclusioni, quanto al merito della vicenda contenziosa al medesimo sottoposta.

Nell'osservare come la nomina della dott.ssa Dissegna sia intervenuta anteriormente rispetto alla introduzione, da parte dell'art. 7, comma 1, della legge regionale 6 aprile 2012, n. 13, della nuova normativa concernente il trattamento economico spettante al titolare del predetto organo, il T.A.R. ha ritenuto che, per tale rapporto, mantenesse perdurante operatività l'originaria formulazione dell'art. 7 della legge regionale n. 42 del 1988, con conseguente commisurazione dell'indennità dovuta al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori a quanto da esso stabilito (per l'effetto, disponendo l'annullamento della nota della Segreteria Generale del Veneto in data 3 maggio 2012, recante immediata applicazione della legge finanziaria successivamente intervenuta). Sostiene, diversamente, parte appellante che il Consiglio regionale abbia dato corretta applicazione al suindicato principio, quanto alla riduzione del trattamento indennitario spettante alla dott.ssa Dissegna, dal momento di entrata in vigore della modificativa legislazione introdotta nel 2013.

La nota regionale, come sopra annullata dal giudice di prime cure, non avrebbe effettuato una interpretazione retroattiva della legge, limitandosi ad applicare la nuova disciplina a far data dall'entrata in vigore della normativa stessa.

Viene, peraltro, ulteriormente  soggiunto che, in ragione della limitazione, costituzionalmente sancita, del divieto di retroattività della legge alla sola materia penale, è consentita al legislatore l'emanazione di norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti.

Conclude la parte per l'accoglimento dell'appello; e, in riforma della sentenza impugnata, per la reiezione del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

4. In data 24 ottobre 2013, la dott.ssa Dissegna si è costituita in giudizio con memoria recante analitiche controdeduzioni alle argomentazioni esposte con l'atto introduttivo.

In vista della trattazione nel merito del ricorso, quest'ultima ha depositato in atti (alla data del 19 marzo 2021) conclusiva memoria, con la quale, riprodotte le argomentazioni già articolate in sede di costituzione, ha ribadito (subordinatamente alla applicabilità della legge regionale n. 13 del 2012 anche all'incarico alla medesima conferito anteriormente all'entrata in vigore di essa, ove ritenuta) la sollevata questione di legittimità costituzionale dell' ait . 7 della legge regionale anzidetta, per contrasto con gli artt. 3, 36, 23 e 53 della Costituzione.

5. L'appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 20 aprile 2021.

6. Osserva il Collegio come il T.A.R. Veneto, con l'appellata sentenza:

- preliminarmente osservato che, in applicazione del principio di cui all'art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, la norma sopravvenuta debba "essere applicata alle fattispecie successive alla sua entrata in vigore, mentre quella precedente, oramai abrogata, continuerà ad aver vigore nei riguardi di tutti i rapporti nati prima dell’abrogazione stessa ed ancora pendenti" ;

- ed ulteriormente rilevato che "nel caso di specie sussistono tutti i presupposti per l'applicazione del principio tempus regit actum nei termini dianzi descritti, essendo il provvedimento di nomina della ricorrente a titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori, antecedente all'introduzione da parte dell'art. 7, comma 1, della legge di finanza regionale 6 aprile 2012, n. 13, della nuova normativa concernente il trattamento economico spettante a tale organo, e non avendo contemplato la predetta legge finanziaria una espressa disposizione normativa in deroga all'art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale";

ha ritenuto che "il trattamento economico contemplato dall'art. 7 della legge regionale 42/1988, cosi come modificato dall'art. 7, comma I, della legge di finanza regionale 6 aprile 2012, n. 13, potrà trovare applicazione esclusivamente nei confronti dei successivi titolari dell’Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori istituito presso la Regione Veneto", con conseguente accoglimento del ricorso proposto dalla dott.ssa Dissegna.

7. La disposizione a fondamento della presente controversia (art. 7 della legge regionale del Veneto, 9 agosto 1988, n. 42), nel testo originario, prevedeva che "al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori spettano l'indennità, la diaria a titolo di rimborso spese, il rimborso spese di trasporto e il trattamento di missione previsti dalla legge regionale 30 gennaio 1997, n. 5, per i consiglieri regionali e secondo le modalità per gli stessi previste".

Tale norma, dapprima sostituita dall'art. 2 della legge regionale 31 ottobre 1996, n. 33 e, quindi, dall'art. 60, comma 2, della legge regionale 3 febbraio 1998, n. 3, è stata, poi nuovamente sostituita dall'art. 7 della legge regionale 6 aprile 2012, n. 13, entrato in vigore l' 11 aprile 2012 (giorno successivo alla pubblicazione nel B.U.R.).

Il testo dell'articolo di legge in rassegna (ora, abrogato dall'art. 17, comma 1, lettera b), della legge regionale 24 dicembre 2013, n. 37), per come risultante dall'ultima delle sopra citate modificazioni, stabiliva che "al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori spetta il 30 per cento dell'indennità della diaria a titolo di rimborso spese, del rimborso spese di trasporto e del trattamento di missione previsti dalla legge regionale 30 gennaio 1997, n. 5 "Trattamento indennitario dei consiglieri regionali" e successive modificazioni, per i consiglieri regionali e secondo le modalità per gli stessi previste" .

8. Nell'osservare come il testo normativo di che trattasi non rechi alcuna disposizione di carattere transitorio, né alcunché disponga in ordine al regime intertemporale di operatività della disposizione (con riferimento, quindi, al trattamento già in atto, originariamente commisurato, come si è visto, all'intero trattamento previsto per i consiglieri regionali), ritiene il Collegio che il giudice di prime cure non abbia dato corretta interpretazione al principio di irretroattività della legge.

La nomina alla titolarità dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori non ha infatti consolidato, in capo al soggetto investito delle relative funzioni, alcuna pretesa, giuridicamente tutelabile, al mantenimento del medesimo trattamento indennitario stabilito all'atto del conferimento dell'incarico; né, tanto meno, ha cristallizzato siffatto trattamento con carattere di insensibilità rispetto a sopravvenienze normative che, veicolate da equiordinata fonte normativa, abbiano inteso diversamente disciplinare la commisurazione e/o la composizione del trattamento stesso.

Se va dato atto della condivisibilità del ragionamento condotto dal giudice di prime cure, quanto alla irretroattività delle sopravvenienze normative rispetto a rapporti già esauritisi, osserva il Collegio che, con riferimento alla sottoposta vicenda, l'incarico del quale 1'appellata era stata officiata era in corso al momento dell'introduzione della disposizioni di cui alla legge regionale n. 13 del 2012: per l'effetto, dimostrandosi preclusa la connotabilità dello stesso quale rapporto in ordine al quale, esauriti gli effetti dallo stesso promananti (e/o allo stesso conseguenti), un successivo intervento legislativo di carattere modificativo sia inidoneo ad introdurre elementi di carattere modificativo.

Conseguentemente ritenuto che una corretta applicazione del principio del tempus regit actum conduca a conseguenze affatto speculari, rispetto a quelle predicate dal giudice di prime cure, nel senso che, con riferimento a rapporti e, più in generale, a situazioni giuridiche ancora in corso ben può trovare attuazione una sopravvenuta disciplina, a far tempo dall'introduzione di essa nell'ordinamento, si rileva come il ragionamento condotto dal Tribunale proponga una pratica "ultrattività" delle disposizioni pregresse (siccome incise dalla modificazione normativa successivamente intervenuta).

Se tale effetto non è, ragionevolmente, sostenibile in difetto di espressa previsione che, pur a fronte della introduzione di un nuovo assetto normativo della materia, nondimeno mantenga, per un definito arco temporale, la vigenza della disciplina (ormai) modificata, deve escludersi che il percorso logico che ha condotto il giudice di primo grado all'accoglimento del ricorso proposto dall'odierna appellata meriti condivisibilità.

9. L'accoglibilità della censura, come sopra proposta dalla parte appellante avverso la gravata sentenza di prime cure, impone la disamina dell'eccezione (già in prime cure articolata; e, ora,) riproposta dall'appellata, sig.ra Dissegna, ai sensi del comma 2 dell'art. 101 c.p.a., relativa alla denunciata illegittimità costituzionale della disposizione di cui all'art. 7 della legge regionale del Veneto, 6 aprile 2012, n. 13, per asserito contrasto con i parametri di cui agli artt. 3, comma 2, 23, 36 e 53 della Costituzione.

9.1 Va osservato, in primo luogo, come il citato art. 7 sia contenuto nel capo II della legge finanziaria per l'esercizio 2012, intitolato "Razionalizzazione della spesa e del costo degli apparati amministrativi".

Omogenea operazione di "ridimensionamento" del trattamento indennitario, è stata dal legislatore regionale operata (anche) con riferimento alla figura del Difensore civico, il cui trattamento indennitario (originariamente omogeneo rispetto a quello riconosciuto al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori), è stato anch'esso ridotto nella misura del 70% di quello ab initio previsto.

Con riferimento alla commisurazione dell'intervento di rimodulazione dell'indennità di che trattasi, ritiene il Collegio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla parte appellata, con riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 3, comma 2, 36 e 53 della Costituzione.

L'intervento legislativo in rassegna, dichiaratamente ispirato ad esigenze di razionalizzazione e contenimento degli oneri per il funzionamento dell'apparato amministrativo, trae univoco fondamento ed ispirazione dal decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122); il cui art. 6, al comma 3, ha stabilito che, "a decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010 ".

9.2 Tale intervento normativo, con il quale sono stati introdotti tagli "lineari” (ovvero, uniformemente distribuiti per tutte le tipologie di remunerazione ivi previste; nonché recanti omogenea commisurazione della relativa decurtazione), rientra nel quadro delle attività preordinate ad un contenimento della spesa pubblica (c.d. "spending review"), in ordine alle quali codesta Corte ha già avuto modo di ripetutamente pronunziarsi, soffermandosi sui profili di compatibilità costituzionale di disposizioni legislative che - come, appunto, nella vicenda all'esame - siano suscettibili di incidere, in senso peggiorativo, su situazioni soggettive attinenti a rapporti di durata.

Escluso che tale fattispecie di norme incontri, ex se riguardata, elementi di insuperabile incompatibilità costituzionale, va rammentato come la Corte Costituzionale abbia ripetutamente ribadito che un esercizio costituzionalmente corretto della potestà legislativa debba svolgersi nell'alveo della necessaria osservanza del rispetto dei seguenti valori e principi costituzionali:

-  di ragionevolezza e di eguaglianza (sentenza 15 luglio 2005, n. 282),

-  di legittimo affidamento dei cittadini sulla stabilità della situazione normativa preesistente (sentenze 27 giugno 2013, n. 160, 22 novembre 2000, n. 525),

-  di certezza delle situazioni giuridiche ormai consolidate (sentenze nn. 24 del 30 gennaio 2009, 74 del 28 marzo 2008, 156 dell'8 maggio 2007),

-  di coerenza dell'ordinamento (sentenza n. 209 dell'11 giugno 2010).

In particolare, con sentenza 4 giugno 2014, n. 156 è stato ribadito e chiarito che la eventuale retroattività di disposizioni aventi valenza "peggiorativa" rispetto ad esistenti posizioni giuridiche, deve trovare adeguata giustificazione "nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale"; di talché la modifica in senso sfavorevole della disciplina dei rapporti di durata non può mai essere arbitraria o irrazionale e dev'essere, in ogni caso, giustificata da esigenze eccezionali ed idonee, come tali, ad imporre sacrifici eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso.

Nell'osservare come la irragionevolezza (e, quindi, la incostituzionalità) delle misure possa, inoltre, essere esclusa ove le decurtazioni introdotte siano imposte da esigenze straordinarie di contenimento della spesa pubblica e presentino un’efficacia temporale limitata e circoscritta (e, cioè, se non modificano a regime i diritti incisi: cfr. sentenza n. 310 del 17 dicembre 2013), va nondimeno rilevato come, pur integrando la straordinarietà delle finalità di contenimento della spesa pubblica causa giustificatrice dell'approvazione di leggi con efficacia retroattiva, nondimeno siffatte previsioni rimangono subordinate alla presenza di un alveo espansivo integrato, al contempo:

-  dal carattere temporaneo dei sacrifici imposti ai cittadini

-  e dalla stretta strumentalità di questi ultimi al soddisfacimento delle necessità di bilancio.

9.3 Con riferimento ai limiti da ultimo indicati (carattere temporaneo del sacrificio imposto; preordinazione del risparmio di spesa al soddisfacimento di straordinarie esigenze di finanza pubblica), si può rilevare che, quanto al primo di essi:

-  se in numerose pronunce la Corte, investita della questione della compatibilità costituzionale di disposizioni sfavorevolmente incidenti su diritti perfetti relativi a rapporti di durata, ha indicato il carattere transeunte delle norme (e, cioè, la loro efficacia temporale limitata) quale indefettibile presupposto della costituzionalità delle stesse (ordinanza n. 299 del 14 luglio 1999; sentenza n. 99 del 31 marzo 1995);

-  e se la durata limitata nel tempo dev'essere strettamente preordinata a coprire un arco temporale pari a quello al quale sono riferite le esigenze di bilancio che hanno determinato (e giustificato) l'intervento;

diversamente, disposizioni che modifichino a regime (non, quindi, con efficacia temporanea e strumentale al soddisfacimento delle straordinarie esigenze finanziarie addotte quale causa giustificatrice dell'intervento) diritti patrimoniali attinenti a rapporti di durata, ben sono suscettibili di indurre perplessità di compatibilità costituzionale.

Quanto, invece, al secondo dei limiti sopra indicati, basti rilevare che, anche qui, la Corte ha chiarito che solo esigenze eccezionali di bilancio integrano gli estremi di una causa che giustifichi ed autorizzi l'incisione, con efficacia retroattiva, di diritti perfetti attinenti a rapporti di durata (ordinanza n. 299/1999 cit.).

Se, quindi, solo esigenze extra ordinem di finanza pubblica sono state ritenute idonee a legittimare interventi del tipo qui considerato (sicché esigenze finanziarie diverse, soprattutto ove riferite a provvedimenti che avvantaggino categorie di cittadini diverse da quelle pregiudicate, si rivelano inidonee ad assicurare la compatibilità costituzionale delle disposizioni in questione), deve allora ritenersi che i valori della certezza del diritto e del legittimo affidamento, possano ritenersi ragionevolmente e proporzionalmente sacrificati (secondo il ricordato insegnamento della Corte) solo se i relativi interventi risultino finalizzati a soddisfare imperiose ed indifferibili esigenze di bilancio, ma non certo se si rivelano preordinati a coprire altre norme di spesa.

Conseguentemente, norme che inducano (attraverso "tagli lineari", ovvero identicamente commisurati in ragione di classi di reddito, o di tipologie di compensi e/o indennità afferenti a rapporti di durata; o, ancora, a mezzo dell'introduzione di "tetti retributivi", suscettibili di produrre effetti di decurtazione di stipendi o di pensioni in godimento), possono ritenersi immuni da vizi di incostituzionalità solo se rivestano un'efficacia temporale limitata e se risultino strettamente funzionali alla soddisfazione di eccezionali esigenze di finanza pubblica.

10. Quanto alla questione sottoposta all'esame del Collegio, si rileva che:

-  il trattamento indennitario spettante al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori, istituito presso la Regione Veneto, ha subito - ad opera della legge regionale n. 13 del 2012 -  una decurtazione in misura pari al 70% rispetto all'importo previsto all'atto dell'istituzione di tale figura (commisurandosi, alla stregua di quanto stabilito dalla legge regionale n. 13 del 2012, al 30% dell'indennità, della diaria a titolo di rimborso spese, del rimborso di spese di trasporto e del trattamento di missione previsti per i consiglieri regionali);

-  a fronte di tale modificazione del trattamento economico, non è corrisposta alcuna diversa configurazione delle funzioni svolte dall'ufficio di che trattasi;

l’ufficio di che trattasi "è comunque incompatibile con l'esercizio di qualsiasi attività di lavoro autonomo o subordinato e di qualsiasi commercio o professione" (art. 5, comma 3, della legge regionale 9 agosto 1988, n. 42);

-  la suindicata riduzione del previsto trattamento indennitario, nell'ambito della legge regionale anzidetta, ha unicamente riguardato, oltre che la figura del titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori, la figura del Difensore Civico.

10.1 Ritiene il Collegio, alla stregua delle svolte considerazioni, non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma da ultimo indicata, con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, comma 2, 36 e 53 della Costituzione.

Quanto all'art. 36, si rammenta che, con risoluzione n. 126/E del 9 dicembre 2010, Agenzia delle Entrate ha ritenuto che "le somme ricevute per l'esercizio di pubbliche funzioni, e dunque le indennità corrisposte al difensore civico, compresi i rimborsi spese per convegni, seminari, conferenze, gruppi di lavoro svolti nell'assolvimento di compiti istituzionali, costituiscono reddito assimilato al lavoro dipendente e sono assoggettati alla relativa tassazione ai sensi degli articoli 51 e 52 del Tuir ".

Nel dare atto della chiara assimilabilità, quoad effectum, della natura del trattamento indennitario riconosciuto alla figura da ultimo indicata, rispetto al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori istituito presso la Regione Veneto (peraltro, omogeneamente incisi dalla decurtazione per cui è controversia), va ulteriormente rammentato il già indicato carattere di incompatibilità, legislativamente fissato, dell'incarico di che trattasi con lo svolgimento di altra attività di lavoro autonomo o subordinato e di qualsiasi commercio o professione: circostanza, questa, ulteriormente asseverante la piena assimilabilità del reddito riveniente dalla percezione della prevista indennità al reddito da attività lavorativa.

Se, per effetto di quanto sopra, appieno rileva il richiamo all'art. 36 della Costituzione, in ragione della incisiva decurtazione reddituale (70%) operata dalla legge regionale all'esame con riferimento ad attività identicamente caratterizzata anche a seguito della modificazione legislativa di che trattasi, va ulteriormente dato atto della non manifesta infondatezza dell'affermata violazione del parametro ex art. 3 della Carta fondamentale, atteso che l'intervento normativo in rassegna ha inteso operare, a fini di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, una decurtazione del solo trattamento previsto per le due anzidette figure, senza estendere il ridimensionamento di indennità e compensi, pur variamente previsti, ad altre posizioni.

Viene, per l'effetto, ad atteggiarsi una "selezione " delle figure professionali interessate dalla previsione di un trattamento indennitario, non giustificata dalla normativa regionale di riferimento; né, altrimenti, caratterizzata da chiara concludenza, quanto alla idoneità della prevista "decurtazione", ai fini del conseguimento del (pur dichiarato) obiettivo di contenimento della spesa pubblica.

Quanto, poi, all'ulteriore riferimento (art. 53) che il Collegio intende rimettere all'attenzione della Corte Costituzionale, è indubbio che l'operata riduzione del trattamento indennitario in discorso venga a configurarsi quale prestazione patrimoniale imposta, di natura sostanzialmente tributaria.

La Corte Costituzionale ha riconosciuto il vizio di disparità di trattamento con riferimento a disposizioni che, prevedendo un contributo a carico di dipendenti pubblici il cui trattamento reddituale si ponga al di sopra di una individuata soglia, devono essere qualificate come norme dispositive di una prestazione patrimoniale imposta e, quindi, di un prelievo fiscale, incostituzionalmente applicato ad una sola categoria di contribuenti (sentenze nn. 223 dell'11 ottobre 2012 e 116 del 5 giugno 2013), in violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione; e ciò, in quanto è stata esclusa la compatibilità costituzionale di norme "surrettiziamente" qualificate alla stregua di una "riduzione" del trattamento economico dei dipendenti pubblici , ma sostanzialmente impositive di un prelievo fiscale a carico solo di questi ultimi, siccome violative del principio di eguaglianza, che esige il pari trattamento, a parità di reddito, tra diverse categorie di contribuenti.

In considerazione del principio della capacità contributiva, ex art. 53 della Costituzione, se il limite espansivo intrinseco dell'esercizio del potere impositivo va individuato nella corrispondenza fra situazioni incise e commisurazione del sacrificio richiesto (anche a fronte dell'applicazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e del principio solidaristico di cui al precedente art. 2), il sacrificio patrimoniale che venga ad incidere soltanto sulla condizione o sul patrimonio di una determinata categoria di soggetti (tenendo indenni, a parità di capacità reddituale, altri), confligge con le coordinate di uguaglianza e ragionevolezza del prelievo.

Nell'osservare come la disposizione oggetto di censura non abbia carattere transitorio (con essa essendo stata introdotta, a regime, la suindicata variazione peggiorativa del trattamento indennitario), va quindi escluso che la norma in rassegna abbia introdotto "sacrifici ... eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso " (come dalla Corte indicato con la citata ordinanza n. 299 del 1999); ulteriormente dovendosi rilevare, sempre con riferimento alla legittimità e razionalità della prestazione patrimoniale imposta in nome di esigenze di finanza pubblica, come l'art. 7 della legge regionale n. 13 del 2012 abbia riguardato anche voci indennitarie (la diaria ed il rimborso delle spese di trasporto) che, in quanto caratterizzate da finalità di ristoro di oneri sostenuti per lo svolgimento dell'incarico, non integrano, esse stesse, un "sintomo di arricchimento", suscettibile di essere inciso ai sensi del predetto art. 53 della Costituzione.

10.2 La norma regionale all'esame, inoltre, viene a porsi in violazione del - pure in precedenza illustrato - parametro di ragionevolezza, risultante dalla correlazione della configurazione del sacrificio imposto per effetto della introdotta modificazione del trattamento indennitario, rispetto alle perseguite finalità di contenimento della spesa pubblica.

Quanto sopra viene in considerazione, laddove si osservi che:

-  laddove la decurtazione del trattamento spettante al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori (operato ex art. 7 della legge regionale n. 13 del 2012) è venuto ad incidere soltanto su tale posizione (oltre che su quella del Difensore civico), senza che il legislatore regionale abbia dato adeguata emersione alla funzionalizzazione del sacrificio, come sopra imposto, rispetto alle finalità dal medesimo dichiaratamente perseguite;

-  in ogni caso, l'elevata commisurazione del "taglio" operato al trattamento spettante alla suindicata figura (70% rispetto al trattamento per essa originariamente previsto), se non incontra congrua emersione giustificativa rispetto alle predette esigenze di contenimento della spesa pubblica, d'altro canto si atteggia con carattere grandemente sperequato rispetto all'assimilabile ridimensionamento (operato dall'art. 6, comma 3, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122), di indennità, compensi, gettoni, retribuzioni od altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle Pubbliche Amministrazioni, fra gli altri, ai "titolari di incarichi di qualsiasi tipo", che la norma da ultimo richiamata ha fissato nella (ben inferiore, rispetto all'intervento del legislatore veneto) misura del 10%.

Non intende con ciò il Collegio sostenere che tale parametro commisurativo integri la presenza di una coordinata avente carattere di obbligata - quanto pedissequa - applicazione, da parte delle Amministrazioni (diverse da quelle contemplate dalla norma da ultimo citata), ai fini di correlare il ridimensionamento dei trattamenti indennitari alle finalità di contenimento della spesa pubblica; quanto, piuttosto, evidenziare come un così significativo "sbilanciamento" nella misura della decurtazione, se ex se integra la presenza di un elemento sintomatico della irragionevolezza della previsione legislativa, assume rincarato profilo di rilevanza, laddove la quantificazione del sacrificio come sopra imposta (di sette volte superiore, nel caso che ne occupa, rispetto all'omologa previsione dell'anzidetta legge statale) non incontra elementi giustificativi, ai quali il legislatore regionale abbia dato congrua emersione.

11.  Se, alla stregua di quanto precede, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge regionale del Veneto si dimostra non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, comma 2, 36 e 53 della Costituzione, rileva ulteriormente il Collegio come tale questione evidenzi, quanto alla controversia all'esame, carattere di rilevanza.

Premessa, infatti, l'accoglibilità della censura, formulata dall'appellante Regione Veneto (si confrontino i precedenti punti 8. e 9.), va rilevato come il soddisfacimento della pretesa sostanziale della quale è portatrice la parte appellata (la quale, nel presente grado di appello, così come dinanzi al giudice di prime cure, ha eccepito l'incostituzionalità della norma) necessariamente venga a trovarsi intermediato dalla caducazione della disposizione di legge regionale di che trattasi, atteso che soltanto la dichiarata incostituzionalità di quest'ultima potrebbe consentire la piena riespansione della modificata previsione di cui all'art. 7 della legge regionale n. 42 del 1988, con riveniente (ri)configurazione del trattamento indennitario in discorso nella sua integrale (ed originaria) commisurazione.

Né la sopravvenuta abrogazione della disposizione da ultimo richiamata per effetto dell'ati. 17 della legge regionale del Veneto, 24 dicembre 2013, n. 37 attenua la rilevanza della questione, atteso che:

-  se, ai sensi del successivo art. 19, comma 2, "il Difensore civico di cui alla legge regionale 6 giugno 1988, n. 28 nonché il titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori di cui alla legge regionale 9 agosto 1988, n. 42, in caricaall'entrata in vigore della presente Legge, rimangono in carica fino all’insediamento del Garante e ad essi ed all'esercizio delle rispettive funzioni continuano ad applicarsi le disposizioni rispettivamente di cui alle leggi regionali 6 giugno 1988, n. 28 e 9 agosto 1988, n. 42 e successive modificazioni, ivi compresa la disciplina di cui all'articolo 61, comma 2, della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 53 "Autonomia del Consiglio regionale";

-  e se l'appellata dott.ssa Assegna, per quanto emergente dagli atti di causa, ha continuato a svolgere le funzioni alle medesima conferite, fino al previsto esaurimento della durata del mandato;

con ogni evidenza, la persistente attualità dell'interesse riconoscibile in capo alla parte (e, con essa, la rilevanza della questione da essa sollevata) consegue alla reintegrabilità, con valenza evidentemente ex tunc, del trattamento indennitario che quest'ultima assume essere stato illegittimamente decurtato; né la presente controversia è suscettibile di definizione, fuori dalla delibazione della questione precedentemente illustrata.

12. Conclusivamente ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dedotta dalla parte appellata, questo Consiglio di Stato solleva - con riferimento agli artt. 3, comma 2, 36 e 53 della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge regionale del Veneto 6 aprile 2012, n. 13, nella parte in cui prevede(va) che "al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori spetta il 30 per cento dell'indennità della diaria a titolo di rimborso spese, del rimborso spese di trasporto e del trattamento di missione previsti dalla legge regionale 30 gennaio 1997, n. 5 "Trattamento indennitario dei consiglieri regionali" e successive modificazioni, per i consiglieri regionali e secondo le modalità per gli stessi previste".

Il presente giudizio deve, pertanto, essere sospeso, con trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, per ogni conseguente statuizione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), non definitivamente

pronunciando:

a)  dichiara rilevante e non manifestamente infondata - con riferimento agli artt. 3, comma 2, 36 e 53 della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge regionale del Veneto 6 aprile 2012, n. 13, nella parte in cui prevede che "al titolare dell'Ufficio di protezione e pubblica tutela dei minori spetta il 30 per cento dell'indennità della diaria a titolo di rimborso spese, del rimborso spese di trasporto e del trattamento di missione previsti dalla legge regionale 30 gennaio 1997, n. 5 "Trattamento indennitario dei consiglieri regionali" e successive modificazioni, per i consiglieri regionali e secondo le modalità per gli stessi previste", per come precisato in motivazione;

b)  sospende il presente giudizio, ai sensi dell'art. 79, primo comma, c.p.a.;

c)  ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, per il competente controllo di legittimità sulla questione, come sopra sollevata;

d)  rinvia ogni definitiva statuizione in rito e nel merito del ricorso in epigrafe, nonché sulle spese di lite, all'esito del promosso giudizio di legittimità costituzionale, ai sensi degli artt.,79, 80 c.p.a.

Ordina, ai sensi dell'art 23 comma 4,'della legge 11 marzo 1953, n. 87, che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite nel presente giudizio, nonché al Presidente della Giunta regionale del Veneto, e comunicata al Presidente del Consiglio regionale.

Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con Sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 20 aprile 2021, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:

Ermanno de Francisco, Presidente
Giancarlo Luttazi, Consigliere 
Giovanni Sabbato, Consigliere 
Cecilia Altavista, Consigliere 
Roberto Politi, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE
Roberto Politi

IL PRESIDENTE
Ermanno de Francisco

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