Menu veloce: Pagina iniziale | Consultazione | Filtri di selezione | Contenuto
Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 66 del 21 giugno 2019


Ordinanza

N. 94 Registro ordinanze 2019. Ordinanza del 1 marzo 2019 del Consiglio di Stato nei procedimenti amministrativi promossi da Antares srl, Cecchin srl e Comune di Catelfranco Veneto c/Veronica Pavan.

Pubblicato il 01/03/2019
n. 01431/2019 REG. PROV. COLL.
n. 00395/2018 REG. RIC.
n. 00485/2018 REG. RIC.

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 395 del 2018, proposto da Antares S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Gaz, Stefano Gattamelata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore 22;

contro

Veronica Pavan, rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo Laghi, Giulia Corona, Massimo Zaccheo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Massimo Zaccheo in Roma, viale di Villa Grazioli n. 29;

nei confronti

Comune di Castelfranco Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pierfrancesco Zen, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Daniele Vagnozzi in Roma, via Giunio Bazzoni n. 3; Cecchin S.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Emanuel Fogale, Renzo Cuonzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Renzo Cuonzo in Roma, via di Monte Fiore 22; sul ricorso numero di registro generale 485 del 2018, proposto da Comune di Castelfranco Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pierfrancesco Zen, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Daniele Vagnozzi in Roma, via Giunio Bazzoni n. 3;

contro

Veronica Pavan, rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo Laghi, Giulia Corona, Massimo Zaccheo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Massimo Zaccheo in Roma, viale di Villa Grazioli n. 29;

nei confronti

Antares S.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Gaz, Stefano Gattamelata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore 22;

Cecchin S.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Emanuel Fogale, Renzo Cuonzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Renzo Cuonzo in Roma, via di Monte Fiore 22;

per la riforma

entrambi i ricorsi, della stessa sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Veneto (sezione Seconda) n. 00944/2017, resa tra le parti, pubblicata mediante deposito in Segreteria avvenuto il 24.10.2017 e notificata dalla signora Pavan Veronica al Comune di Castelfranco Veneto, con pec del 08.11.2017, assunta al protocollo comunale n. 0049500 del 09.11.2017, con riferimento al capo con il quale accoglie i ricorsi promossi dall'odierna appellata «nella parte in cui il Comune di Castelfranco si è determinato erroneamente riguardo la verifica dell'altezza del costruendo edificio» e, pertanto, «ordina al Comune di Castelfranco di adottare i necessari provvedimenti di ripristino riguardo il rispetto dell'altezza».

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Veronica Pavan e di Comune di Castelfranco Veneto e di Cecchin S.r.l. e di Veronica Pavan e di Antares S.r.l. e di Cecchin S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Enrico Gaz, Giulia Corona, Renzo Cuonzo e Pierfrancesco Zen Enrico Gaz, Giulia Corona, Renzo Cuonzo e Pierfrancesco Zen;

Rilevato in fatto.

Con il primo degli appelli di cui in epigrafe l’impresa Antares, odierna prima parte appellante, impugnava la sentenza n. 944 del 2017, nella parte in cui il Tar veneto aveva accolto l’originario ricorso, tra i diversi proposti dall’odierna parte appellata Pavan avverso l’intervento edilizio avviato dalla stessa Antares, annullando i provvedimenti del comune di Castelfranco Veneto in quanto la verifica della d.i.a. operata dal comune stesso non ha applicato i parametri di legge per quanto riguarda la verifica delle altezze.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello:

  • erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 9 comma 8 bis l.r. 14\2009, come introdotto dal comma 13 dell’art. 10 l.r. Veneto. n. 32 del 29 novembre 2013, in relazione all’art. 2 bis del T.U. dell’Edilizia e all’art. 8 del D.M. Lavori Pubblici 2 aprile 1968, n.1444;

  • violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost. e 3 cod.proc.amm. per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione appellata, con particolare riguardo agli artt. 19 e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.

La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello e riproponendo i motivi non esaminati o assorbiti.

Alla camera di consiglio de 22\2\2018 l’istanza cautelare veniva rinunciata in vista della trattazione del merito.

Con il secondo appello di cui in epigrafe la medesima sentenza veniva impugnata, nella stessa parte di accoglimento, dal Comune di Castelfranco Veneto che, nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, formulava i seguenti motivi di appello:

  • mancato pronunciamento su di un punto decisivo del petitum e violazione dell’art. 12 preleggi, in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 9, co. 8 bis, della L.R. Veneto n. 14/2009;

  • carente motivazione in ordine all’asserita violazione della medesima norma regionale;

  • illegittimità nella parte in cui ritiene che il Comune abbia violato i limiti di altezza di cui alla predetta norma, travisamento dei fatti e contraddittorietà; Anche in tale giudizio la parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del gravame e riproponendo i motivi non esaminati o assorbiti.

Alla pubblica udienza del 14\2\2019 le cause passavano in decisione.

Considerato in diritto.

1.  Preliminarmente, va disposta la riunione degli appelli di cui in epigrafe, sia in quanto proposti avverso la medesima sentenza, a norma dell’art. 96, comma 1, cod. proc. amm., sia in considerazione della sussistenza di una evidente connessione, sia soggettiva che oggettiva, dei ricorsi: nella prima direzione, soggettiva, assume rilievo l’identità delle parti; nella seconda direzione, oggettiva, i gravami risultano avere ad oggetto il medesimo contesto immobiliare e la legittimità degli atti adottati dall’amministrazione comunale in ordine all’iniziativa edificatoria della società proprietaria, con particolare riferimento al vizio oggetto di accoglimento nel giudizio di prime cure in relazione al rispetto delle altezze, nei termini derivanti dalla norma regionale in questione (art. 9, co. 8 bis, della L.R. Veneto n. 14/2009).

2.1  Sempre in via preliminare, emergono i presupposti per la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale della norma regionale oggetto di applicazione e controversa nell’interpretazione fra le parti in causa.

2.2  I fatti di causa, che appaiono sostanzialmente incontroversi fra le parti, concernono un intervento di edilizia abitativa realizzato in Castelfranco Veneto dalla società Antares, con appalto dei lavori alla ditta Cecchin s.r.l., relativo ad un edificio residenziale degli anni cinquanta di cui è stata progettata la demolizione e ricostruzione accedendo alle facoltà premiali introdotte con la normativa regionale veneta relativa al cosiddetto “piano- casa” (ll.rr. nn. 14 del 2009, 13 del 2011 e 32 del 2013), compreso un ampliamento del fabbricato.

Con una serie di ricorsi proposti dalla odierna parte appellata, contitolare di un confinante complesso condominiale, venivano impugnati gli atti adottati dal Comune interessato in relazione al predetto intervento.

All’esito del giudizio di prime cure il Tar Veneto, riuniti i ricorsi, dichiarato inammissibile l’ultimo (in quanto avente ad oggetto un atto meramente confermativo) e respinti per il resto gli altri gravami, accoglieva in parte qua le domande di parte ricorrente, in specie annullando gli atti impugnati limitatamente alla parte in cui il comune di Castelfranco si è determinato erroneamente riguardo la verifica dell'altezza del costruendo edificio. Ciò in accoglimento delle censure dedotte da parte ricorrente con riferimento alla corretta applicazione del comma 8 bis dell'art. 9 della legge regionale n. 14 del 2009; secondo il Tar tale norma, di riferimento per il caso di specie, non consente di considerare come edificio esistente l'edificio circostante più alto, come invece erroneamente imputato dai Giudici di prime cure al comune di Castelfranco.

2.3  Anche le censure dedotte coi vizi di appello, richiamati nella narrativa in fatto, si basano sulla contestata applicazione della norma regionale predetta, di cui occorre pertanto richiamare il tenore letterale: “Al fine di consentire il riordino e la rigenerazione del tessuto edilizio urbano già consolidato ed in coerenza con l'obiettivo prioritario di ridurre o annullare il consumo di suolo, anche mediante la creazione di nuovi spazi liberi, in attuazione dell'articolo 2-bis del D.P.R. n. 380/2001 gli ampliamenti e le ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C, realizzati ai sensi della presente legge, sono consentiti anche in deroga alle disposizioni in materia di altezze previste dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e successive modificazioni, sino ad un massimo del 40 per cento dell'altezza dell'edificio esistente”.

3.1  Ebbene, ritiene il Collegio che la previsione legislativa all’esame non si sottragga alla questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117, comma 2 lett. l) e comma 3, della Costituzione, quale di seguito rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 23, comma 3, della legge n. 87/1953.

3.2  Si precisa, al riguardo, che la questione è senz’altro rilevante, non potendosi dubitare dell’ammissibilità di questioni di legittimità costituzionale attinenti a leggi di cui il giudice a quo debba fare diretta applicazione ai fini della decisione della causa in relazione al thema decidendum (e, nel giudizio d’appello, al devolutum). Ipotesi, questa, che esattamente ricorre nella fattispecie, risultando con i motivi d’appello devoluti al presente grado questioni che non possono essere decise indipendentemente dall’applicazione della citata disposizione di legge regionale, posta da tutte la parti, pubblica e private, a fondamento sia dei provvedimenti adottati, sia delle tesi dedotte in giudizio in ordine all’ammissibilità o meno dell’intervento progettato.

3.2  In punto di non manifesta infondatezza, ritiene il Collegio che la citata disposizione, nella parte in cui consenta le deroghe alle disposizioni in materia di altezze previste dal noto d.m. 1444 cit. sia in contrasto con i principi della legislazione statale, dettati dallo stesso d.m. e dall’art. 2 bis dPR 380\2001, con conseguente violazione dell’art. 117 comma 2 lett. l) e

3 Cost., in specie laddove non si prevede che le consentite deroghe debbano operare nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.

3.3  Come noto, con l'introduzione dell'art. 2-bis del TUE, da parte dell'art. 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, l’ordinamento ha sostanzialmente recepito l'orientamento della giurisprudenza costituzionale, inserendo nel testo unico sull'edilizia i principi fondamentali della vincolatività, anche per le Regioni e le Province autonome, delle distanze legali e più in generale delle previsioni stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968 e dell'ammissibilità delle deroghe, solo a condizione che siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (cfr. ad es. sentenze nn. 185 del 2016 e 189 del 2016). La norma statuisce quanto segue: “Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”. La deroga alla disciplina dei parametri in tema di densità, di altezze e di distanze, realizzata dagli strumenti urbanistici deve quindi ritenersi legittima sempre che faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati e sia fondata su previsioni planovolumetriche che evidenzino, cioè, una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio unitario (artt. 8 lett. B nel caso di specie e 9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968).

3.4  Alla luce delle considerazioni svolte, appare non coerente, rispetto alle indicazioni interpretative offerte dalla giurisprudenza costituzionale e ribadite dal disposto di cui all'art 2 bis t.u. edilizia, il mancato riferimento della norma impugnata a quella tipologia di atti menzionati nel testo del d.m. n. 1444 del 1968 richiamato, cui va riconosciuta la possibilità di derogare al regime delle altezze e delle distanze.

Inoltre, la stessa giurisprudenza costituzionale ha stabilito, con riferimento alle distanze sebbene con una considerazione che pare potersi estendere anche qui alle altezze stante l’analogia del testo del d.m. e la generalità della previsione letterale dell’art. 2 bis (ben più ampia della mera rubrica), che la deroga alle distanze minime potrà essere contenuta, oltre che in piani particolareggiati o di lottizzazione, in ogni strumento urbanistico equivalente sotto il profilo della sostanza e delle finalità, purché caratterizzato da una progettazione dettagliata e definita degli interventi (sentenza n. 6 del 2013).

Ne consegue che devono ritenersi ammissibili le deroghe predisposte nel contesto dei piani urbanistici attuativi, in quanto strumenti funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio, secondo quanto richiesto, al fine di attivare le deroghe in esame, dall'art 2-bis del TUE, in linea con l'interpretazione nel tempo tracciata da questa Corte (ex multis, sentenze nn. 231, 189, 185 e 178 del 2016 e n. 134 del 2014).

3.5  Peraltro, tali peculiari elementi presupposti della deroga non si rivengono del testo della norma regionale in contestazione.

Il riferimento agli ampliamenti ed alle ricostruzioni di edifici esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di tipo B e C, nell’espressione utilizzata dal legislatore regionale veneto al comma 9 bis in oggetto, appare infatti in contrasto con lo stringente contenuto che dovrebbe assumere una previsione siffatta, risultando destinata a legittimare deroghe al di fuori di una adeguata pianificazione urbanistica.

L'assenza di precise indicazioni, in coerenza con quanto già evidenziato dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, non consente di attribuire agli interventi in questione un perimetro di azione necessariamente coerente con l'esigenza di garantire omogeneità di assetto a determinate zone del territorio; infatti, la dizione della norma si presta, sul piano semantico, a legittimare (come avvenuto nel caso di specie) anche interventi diretti a singoli edifici, in aperto contrasto con le indicazioni interpretative offerte in precedenza.

In tale ottica appare pertanto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma censurata, in quanto legittima deroghe alla disciplina delle altezze dei fabbricati al di fuori dell'ambito della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, afronte dle principio contenuto nell’art. 2 bis cit., ed in violazione del limite dell'ordinamento civile assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

3.6  In materia va altresì richiamata, a fini di completezza e di estensione dei principi predetti allo specifico tema delle altezze, la valenza generale del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 che, essendo stato emanato su delega dell'art. 41 quinquies, l. 17 agosto 1942 n. 1150, inserito dall'art. 17, l. 6 agosto 1967 n. 765, ha efficacia e valore di legge, sicché sono comunque inderogabili le sue disposizioni in tema di limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 5732). Le relative disposizioni in tema di distanze tra costruzioni non vincolano solo i Comuni, tenuti ad adeguarvisi nell'approvazione di nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli esistenti, ma sono immediatamente operanti nei confronti dei proprietari frontisti; tale conclusione vale, analogamente, per le altezze, poiché scopo delle norme regolamentari concernenti l'altezza degli edifici non è soltanto la tutela dell'igiene pubblica, ma, insieme, quella del decoro e dell'indirizzo urbanistico dell'abitato (cfr. in termini ad es. Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3931).

Analogamente la giurisprudenza è da tempo orientata in modo univoco ad affermare che il decreto ministeriale in questione (ascrivibile secondo una preminente teoria all'atipica categoria dei regolamenti delegati o liberi) ha efficacia di legge, cosicché le sue disposizioni, anche in tema di limiti inderogabili di altezza dei fabbricati, prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, alle quali si sostituiscono per inserzione automatica, con conseguente loro diretta operatività nei rapporti tra privati (cfr. a partire da Cass ss.uu. 1 luglio 1997 n. 5889, nonché ad es. Cass., sez. II, 14 marzo 2012, n. 4076 e Cass., sez. un., 7 luglio 2011, n. 14953).

A fronte della riconosciuta valenza del d.m. 1444, confermata dalla consolidata giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenze 114\2012, 282\2016, 185\2016, 178\2016, 41\2017), gli spazi di derogabilità appaiono ammissibili, in capo al legislatore regionale, nei limiti dettati dal legislatore statale, dotato di competenza in tema appunto di principi fondamentali in materia di governo del territorio; orbene, nel caso di specie il legislatore regionale appare aver oltrepassato detti limiti, nella parte in cui consente le indicate deroghe al di fuori dell’ammesso ambito di “definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.

4. Sussistendo tutti i presupposti per sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 23 l. 11 marzo 1953, n. 87, la questione, quale sopra sollevata, deve essere devoluta alla Corte Costituzionale, cui gli atti del presente giudizio vanno pertanto immediatamente trasmessi, previa sospensione del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 comma 8 bis della legge regionale del Veneto 8 luglio 2009, n. 14 (Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche), in riferimento all’art. 117, secondo comma lett l) e terzo comma, della Costituzione, nei sensi e nei termini di cui al punto 3.2 della parte motiva della presente ordinanza.

Dispone la sospensione del presente giudizio sino alla decisione della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale quale sopra sollevata.

Riserva alla sentenza definitiva ogni statuizione sulle spese di causa. Dispone che la Segreteria provveda:

  • alla trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;

  • alla notificazione della presente ordinanza alla Presidenza della Giunta regionale del Veneto;

  • alla comunicazione della medesima ordinanza al Presidente del Consiglio regionale del Veneto ed alle parti costituite.
     

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2019 con l'intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente FF

Bernhard Lageder, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere, Estensore
 

L'ESTENSORE
Davide Ponte

IL PRESIDENTE
Diego Sabatino

Torna indietro