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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 60 del 23 giugno 2017


RICORSO

Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri alla Corte Costituzionale per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge regionale 21 febbraio 2017 n. 6 "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n.32 ''Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi''", pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto del 24 febbraio 2017 n. 21.

AL 14830/17 - 398

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE
RICORSO

del Presidente del Consiglio dei Ministri, rapp to e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso cui è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

Regione Veneto in persona del Presidente pro tempore; per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge regionale 21 febbraio 2017 n. 6, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto del 24 febbraio 2017 n. 21, nella parte in cui modifica l'art. 8, comma 4, della legge regionale 23 aprile 1990 n. 32 introducendovi la lettera b).

*****

FATTO

L'art. 8 della legge regionale n. 32/1990, dedicata alla "disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi", nel testo originario prevedeva all'art. 8:

 

"Art 8 - (Ammissione e frequenza al servizio).

1. Sono ammessi all'asilo nido i bambini di età non inferiore a tre mesi e non superiore a tre anni.

2. Al fine di perseguire il pieno utilizzo delle risorse attivate nel servizio, il regolamento di cui all'art. 7, può prevedere, anche in relazione alla presenza media dei bambini, un numero di ammissioni superiore ai posti effettivamente attivati, in misura non superiore al 20%.

3. In caso di gravi necessità possono essere ammessi all'asilo nido bambini di età inferiore a tre mesi o può essere consentita la loro permanenza nell'asilo nido fino all'inserimento nella scuola materna.

4. Hanno titolo di precedenza all'ammissione i bambini menomati, disabili o in situazioni di rischio e di svantaggio sociale."

Il 21 febbraio 2017 il Consiglio regionale del Veneto ha approvato la legge in epigrafe, che all'art. 1, comma 1, ha modificato il comma 4 dell'art. 8 della legge regionale n. 32/1990 ora riportato, così trasformandone il dispositivo:

"1. Il comma 4 dell'articolo 8 della legge regionale 23 aprile 1990, n. 32 è sostituito dal seguente:

"4. Hanno titolo di precedenza per l'ammissione all'asilo nido nel seguente ordine di priorità:

a) i bambini portatori di disabilità;

b) i figli di genitori residenti in Veneto anche in modo non continuativo da almeno quindici anni o che prestino attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni, compresi eventuali periodi intermedi di cassa integrazione, o di mobilità o di disoccupazione.”.”

Non forma oggetto della presente impugnativa la modifica relativa alla precedenza riconosciuta ai "bambini portatori di disabilità". Tale previsione, infatti, non comporta (come a prima lettura potrebbe apparire) riduzioni della portata soggettiva della precedenza riconosciuta dal testo originario ai "bambini menomati, disabili ... ". Questa modifica testuale si collega infatti al comma 2 dell'art. 1 della legge regionale n. 6/2017, giusta il quale "2. Al comma 4 dell'articolo 15 della legge regionale 23 aprile 1990, n. 32 le parole:

"menomati o disabili" sono sostituite dalle parole: ''portatori di disabilità""  (il testo originario dell'art. 15 c. 4 stabiliva: "4. L'ente gestore garantisce il personale di sostegno ai bambini menomati o disabili.").

Pur nella scarsa perspicuità della tecnica normativa seguita, deve quindi ritenersi che l'espressione "portatori di disabilità" ora inserita nella legge regionale n. 32/1990 abbia la medesima estensione soggettiva della precedente espressione "menomati, disabili" o "menomati o disabili".

Ha invece indubbiamente portata sostanziale la (discutibile) modifica consistente nell'abolizione della precedenza in origine riconosciuta anche ai "bambini in situazioni di rischio e di svantaggio sociale". Ma deve riconoscersi che equiparare o meno il rischio e lo svantaggio sociale alla disabilità rientra nella discrezionalità del legislatore regionale.

Forma invece oggetto della presente impugnativa la parte del comma 1 che introduce nell'art. 8 c. 4 della legge regionale 32/1990 la lettera b), secondo cui, come si è già trascritto, la precedenza nell'ammissione agli asili nido è ora riconosciuta ai bambini " ... figli di genitori residenti in Veneto anche in modo non continuativo da almeno quindici anni o che prestino attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni, compresi eventuali periodi intermedi di cassa integrazione, o di mobilità o di disoccupazione".

La legge regionale, in questa parte, è costituzionalmente illegittima e, giusta delibera del Consiglio dei ministri del 13 aprile 2017 prodotta unitamente al presente ricorso, viene impugnata per i seguenti

 

MOTIVI

1. Violazione dell'art. 3, commi 1 e 2, Cost.

1.1. Nella relazione alla Commissione consiliare depositata dai presentatori della proposta normativa (consiglieri Conte e Negro), la ratio di quest'ultima veniva così spiegata (enfasi aggiunta):

"La presente proposta di legge - che consta di un solo articolo - è volta a favorire i cittadini che siano residenti o svolgano attività lavorativa in Veneto da un certo lasso di tempo: in particolare mira a far sì che per l'accesso ai servizi di asili nido possano presentare apposita domanda solamente quei cittadini che, per l'appunto, abbiano la residenza o svolgano la loro attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni.

La ratio della proposta di legge in esame è sostanzialmente quella di circoscrivere la categoria di coloro che sono legittimati ad effettuare la predetta domanda, in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie disponibili: in altri termini, riteniamo che si debbano privilegiare quei cittadini che dimostrino di avere un

<<serio legame>> con il territorio della nostra Regione, vuoi perché vi risiedono da almeno quindici anni, vuoi perché vi lavorano da almeno quindici anni."

Il testo della proposta, sostanzialmente analogo a quello infine approvato, contraddiceva peraltro queste dichiarazioni. Esso era del seguente tenore: "1. Il comma 4 dell 'articolo 8 della legge regionale 23 aprile 1990, n. 32 è sostituito dal seguente:

"4. Hanno titolo di precedenza assoluta per l'ammissione all'asilo nido, i figli di genitori residenti o che prestino attività lavorativa in Veneto, ininterrottamente da almeno quindici anni, nonché i bambini menomati e disabili."."

Lungi dall'attribuire, come dichiarato dai proponenti, un diritto esclusivo di usufruire delle prestazioni di asilo nido ai figli di residenti o lavoratori in Veneto da almeno quindici anni, anche il testo proposto disponeva in favore di tali soggetti un diritto di precedenza "assoluta" sugli altri interessati, che dunque

non venivano, almeno in diritto, esclusi dalle prestazioni.

Ed infatti nella relazione per il passaggio in aula la ratio della modifica legislativa venne così spiegata dalla relatrice Negro (enfasi aggiunta): "la presente proposta di legge - che consta di un solo articolo - è volta a favorire i cittadini che siano residenti o svolgano attività lavorativa in Veneto da un certo lasso di tempo: in particolare mira a far sì che nell'accesso ai servizi di asili nido abbiano titolo di precedenza i bambini portatori di disabilità e i figli di cittadini che abbiano la residenza in Veneto ininterrottamente da almeno

quindici anni o che svolgano la loro attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni.

Viene inoltre adeguata la dizione originaria della legge regionale n.32/1990 "bambini menomati, disabili con "bambini portatori di disabilità", più consona con la normativa vigente.

La ratio della proposta di legge in esame è sostanzialmente quella di differenziare i soggetti non già nel momento della presentazione della domanda per l'accesso ai servizi di asili nido, bensì nella formazione delle relative graduatorie, in ragione della limitatezza dei posti disponibili: in altri termini, riteniamo che si debbano privilegiare quei cittadini che dimostrino di avere un serio legame con il territorio della nostra Regione, vuoi perché vi risiedono da almeno quindici anni, vuoi perché vi lavorano da almeno quindici anni."

Nell'introdurre la discussione, la relatrice ulteriormente precisò il concetto dichiarando nella seduta del 14 febbraio 2017: "Questa proposta di legge nasce dall'istanza di molti genitori che lavorando ambedue hanno un ISEE alto e si vedono esclusi continuamente da tutte le graduatorie degli asili nido comunali e sono costretti a rivolgersi agli asili privati pagando ingenti somme, a volte anche il triplo della retta comunale, per poter svolgere e mantenere il proprio posto di lavoro.

Chiediamo la più ampia condivisione su questo progetto, in quanto l'obiettivo è di preservare i genitori che hanno la fortuna di avere un posto di lavoro e dare la possibilità alle mamme e ai papà di avere un posto negli asili nido delle strutture pubbliche che possa accogliere il proprio figlio. Molto spesso, infatti, vi accedono bambini che hanno i genitori con un ISEE basso e uno dei due genitori è a casa senza un lavoro".

Il significato letterale e la finalità della norma impugnata sono quindi inequivocabili: operare una discriminazione nella formazione delle graduatorie di accesso agli asili nido pubblici, favorendo i figli di genitori entrambi residenti in Veneto da almeno quindici anni (anche non continuativi, cioè "cumulando"

periodi di residenza veneta minori) e i figli di genitori entrambi occupati in Veneto da almeno quindici anni; ciò allo scopo di dare a questi presupposti (prolungata residenza di entrambi i genitori; prolungata occupazione di entrambi i genitori) la prevalenza rispetto ai requisiti di ridotta capacità economica dei

genitori, misurati in base all' ISEE, e di dare rilievo allo stato di non occupazione di uno dei genitori, che la norma intende in pratica "adibire" tout court alla cura domestica dei bambini (finalità, quest'ultima, peraltro prontamente contraddetta dal testo della norma stessa, allorché equipara allo stato di occupazione effettiva

i periodi di mobilità, cassa integrazione, disoccupazione, purché "intermedi" e non originari).

Ciò è sufficiente a dimostrare, in primo luogo, la evidente violazione dell'art. 3, c. 1 Cost. commessa dal legislatore regionale.

E' ben noto che il principio di eguaglianza, di cui al primo comma dell'art. 3, comporta innanzitutto il divieto costituzionale di trattare in modo differenziato situazioni che non sono significativamente differenziabili.

Nella specie, è evidente come non siano seriamente differenziabili la situazione, da un lato, dei figli di genitori residenti in Veneto da almeno quindici anni anche non continuativi, o dei figli di genitori entrambi occupati in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni; e, dall'altro, la situazione dei figli di genitori di cui uno solo sia residente in Veneto, e magari sia il genitore con cui il figlio convive, o dei figli di genitori di cui uno solo sia occupato in Veneto, essendo l'altro genitore disoccupato "originario" e non "intermedio", o occupato lontano dal Veneto. Così come non sono seriamente differenziabili la situazione dei figli di genitori entrambi residenti o occupati in Veneto, e la situazione dei figli su cui eserciti la responsabilità genitoriale un solo genitore residente o occupato in Veneto ( essendo l'altro genitore ignoto o deceduto o decaduto dalla responsabilità genitoriale). O la situazione dei figli di genitori residenti o occupati in Veneto da almeno quindici anni, e la situazione dei figli di genitori residenti o occupati in Veneto da meno di quindici anni, ma comunque da un periodo significativo (o dei figli di genitori che non possono accumulare periodi così lunghi di lavoro nella stessa regione perché occupati in attività che comportano frequenti mutamenti di sede). O, per finire gli esempi, la situazione dei figli di genitori residenti o occupati in Veneto da almeno quindici anni quale che sia la loro capacità economica (teoricamente anche molto elevata), e la

situazione dei figli di genitori di capacità economica ridotta, attestata dall'ISEE o da altri indici, come lo stato di disoccupazione. Per non parlare del caso estremo ma non immaginario, del bambino privo di entrambi i genitori.

In tutti i casi descritti, la mera circostanza che lo stato di residenza o di occupazione in Veneto si siano protratti, per entrambi i genitori, per un dato periodo di tempo ( quindici anni) non è idonea a dimostrare che i figli di tali genitori esprimano una necessità di fruire del servizio degli asili nido pubblici maggiore della necessità che esprimono i figli dei genitori che si trovino in una situazione diversa, compresa per lo meno tra quelle descritte.

Nel caso in esame si deve porre a raffronto una prestazione di assistenza pubblica come è il servizio degli asili nido pubblici, con gli interessi, innanzitutto, dei bambini, che sono i diretti destinatari delle prestazioni

pubbliche di asilo nido, e dei genitori, per i quali tali prestazioni costituiscono un ausilio nell'esercizio della responsabilità genitoriale, e che quindi vanno qualificati come destinatari indiretti delle prestazioni stesse.

Anche ad ammettere il presupposto che non sussista un diritto costituzionale assoluto di tutti i bambini in età tra tre mesi e tre anni a fruire delle prestazioni pubbliche in questione nel luogo in cui sono residenti o

occupati i genitori ( e l'analogo diritto "riflesso" dei genitori), poiché è comunque necessario tenere conto della limitatezza delle risorse pubbliche, e quindi ad ammettere che occorra operare una selezione tra gli aspiranti a tali servizi di assistenza pubblica, il criterio differenziatore non può essere la durata della residenza o dell'occupazione dei genitori. Tale criterio, di per sé, non presenta, infatti, alcun percepibile collegamento logico né con le esigenze formative del bambino, né con le esigenze educative ed economiche dei genitori.

Differenziare le situazioni in base ad un criterio (la durata della residenza o dell'occupazione) che è del tutto astratto rispetto alle situazioni e agli interessi concreti che la legge deve disciplinare ( qui, in primo luogo, gli interessi dei bambini in età tra tre mesi e tre anni), significa quindi differenziare tali situazioni e interessi in modo arbitrario, perché inidoneo a valorizzare differenze realmente significative in rapporto agli interessi in gioco, e dunque violare l'art. 3 c. 1 Cost.

Codesta Corte costituzionale già nella sentenza n. 432/2005 ha avvertito in generale che "La circostanza che la Regione abbia nella specie introdotto un regime di favore senz'altro eccedente i limiti dell'"essenziale ", sia sul versante del diritto alla salute, sia su quello delle prestazioni concernenti "i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ", non esclude affatto che le scelte connesse alla individuazione delle categorie dei beneficiari - necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie - debbano essere operate, sempre e comunque, in ossequio al principio di ragionevolezza; al legislatore (statale o regionale che sia) è consentito, infatti, introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una "causa" normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria.". E che si deve quindi sempre ravvisare una "ragionevole correlabilità tra quella condizione positiva di ammissibilità al beneficio [qui, la residenza o l'occupazione protratte di entrambi i genitori] ... e gli altri peculiari requisiti ... che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio e la funzione  [ qui, l'esserci un bambino in età compresa tra tre mesi e tre anni]".

Non varrebbe obiettare che in tale sentenza codesta Corte costituzionale ha affermato, peraltro incidentalmente, che "la residenza, rispetto ad una provvidenza regionale, appare un criterio non irragionevole per l'attribuzione del beneficio". Qui non si discute del fatto (peraltro dubbio) se la residenza

possa legittimamente costituire un presupposto per richiedere la prestazione degli asili nido pubblici. La legge regionale di settore n. 32/ 1990, infatti, non prevede tale requisito di ammissione, e nell'art. 8 comma 1 ammette agli asili nido pubblici tutti i bambini che ne abbiano bisogno (la disposizione, già trascritta, prevede semplicemente che "1. Sono ammessi all'asilo nido i bambini di età non inferiore a tre mesi e non superiore a tre anni."), del tutto a prescindere dalla residenza dei genitori.

Qui si discute della legittimità del criterio della residenza dei genitori protratta per almeno quindici anni, o dell'occupazione parimenti protratta anche in difetto di residenza ( cioè, comunque, di un criterio che non ha nulla a che vedere con la residenza e semmai attiene al domicilio), come criterio di attribuzione di una precedenza nel caso in cui i posti disponibili superino le richieste. E poiché la precedenza rispetto ad una prestazione pubblica assistenziale caratterizzata da "scarsità relativa" non può che essere stabilita in base all'intensità del bisogno di tale prestazione, è evidente che la sola durata della residenza dei genitori o dell'occupazione di essi nel territorio regionale non differenziano l'intensità del bisogno in questione, visto sia come bisogno del beneficiario principale (il bambino), che come bisogno del destinatario "riflesso" (i genitori).

Nella sentenza 168/2014 (osserviamo per prevenire obiezioni fuorvianti), codesta Corte ha affermato (peraltro incidentalmente) che "la previsione dell'obbligo di residenza da almeno otto anni nel territorio

regionale, quale presupposto necessario per la stessa ammissione al beneficio dell'accesso all'edilizia residenziale pubblica (e non, quindi. come mera regola di preferenza), determina un'irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell'Unione, ai quali deve essere garantita la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri (art. 24, par. 1, della direttiva 2004138/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, i quali, in virtù dell'art. 11, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2003/ 109/CE, godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali

per quanto riguarda anche l'accesso alla procedura per l'ottenimento di un alloggio." (enfasi aggiunta).

Ma che l'obbligo di residenza minimo possa non costituire una discriminazione se previsto come mera regola di preferenza ( e non come requisito di ammissione), è stato affermato (incidenter tantum), in quella sentenza innanzitutto con riferimento ai soli cittadini stranieri di Stati membri dell'Unione europea o di paesi terzi; e non anche con riferimento ai rapporti tra cittadini italiani, tutti residenti in Italia.

In secondo luogo, quell'affermazione è stata fatta con riferimento ad un servizio, come l'edilizia residenziale pubblica, riguardo al quale la sentenza stessa ha cura di precisare che "«le politiche sociali delle Regioni legate al soddisfacimento dei bisogni abitativi ben possono prendere in considerazione un radicamento territoriale ulteriore rispetto alla sola residenza» (sentenza n. 222 del 2013), considerato che «L'accesso a un bene di primaria importanza e a godimento tendenzialmente duraturo, come l 'abitazione, [ .. .] può richiedere garanzie di stabilità, che, nell'ambito dell'assegnazione di alloggi pubblici in locazione, scongiurino avvicendamenti troppo ravvicinati tra conduttori, aggravando l'azione amministrativa e riducendone l'efficacia» (sentenza n. 222 del 2013)."

E' evidente come tali caratteri difettino del tutto riguardo ad un servizio di assistenza pubblica quale quello degli asili nido, che è un servizio di natura personale erogato direttamente alla persona del bambino, e circoscritto al breve periodo di tempo compreso tra i tre mesi e i tre anni di età. Il che conferma che, riguardo ad un servizio di tal fatta, il riferimento alla durata della residenza, anche utilizzato come mero criterio di preferenza, non è idoneo a dare conto di differenze reali tra gli interessati.

1.2. Ma la disposizione impugnata viola anche l'art. 3 commi 1 e 2 Cost., inteso come canone di ragionevolezza e proporzionalità della legislazione, in rapporto agli obiettivi sociali che la legge persegue.

Come emerge da quanto già illustrato nel paragrafo precedente, la norma impugnata è manifestamente irragionevole in quanto, in primo luogo, dando valore decisivo alla durata della residenza dei genitori o della loro occupazione, svincola del tutto il diritto preferenziale così attribuito dalle concrete esigenze dei bambini. Eppure, come già ricordato e come dovrebbe essere indiscusso, l'interesse primario al cui soddisfacimento mira il sistema degli asili nido pubblici non è quello dei genitori, bensì quello del bambino. L'interesse dei

genitori è indubbiamente contemplato dalla legge, ma si pone su un piano, come già osservato, derivato o "riflesso".

Invero, già l'art. 1 della legge 6.12.1971 n. 1044 (tuttora vigente) prevedeva che "1. L'assistenza negli asili-nido ai bambini di età fino a tre anni, nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico.

Gli asili-nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l'accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale."

L'assistito è il bambino, il cui bisogno di assistenza emerge proprio a causa del mutamento dell'organizzazione familiare e del lavoro rispetto a modelli risalenti a fasi sociali ormai concluse. Nel momento in cui la famiglia diviene "nucleare" e si afferma la parità lavorativa (attuale o potenziale non

interessa) di entrambi i genitori, diviene necessario assistere il bambino nei primi tre anni anche attraverso l'intervento di strutture pubbliche. E' solo di riflesso che, in tal modo, si agevolano i genitori ad intraprendere l'evoluzione ora descritta ( evoluzione che, comunque, la dinamica sociale rende di per sé irreversibile e che quindi sarebbe intrapresa comunque). Sicché è manifestamente irragionevole subordinare la precedenza nelle graduatorie ad una condizione, come la durata per almeno quindici anni della residenza o dell'occupazione nella regione, che può riguardare soltanto i genitori ed è, ovviamente, del tutto estranea alla condizione specifica del bambino.

In secondo luogo, anche a voler considerare il solo interesse "riflesso" dei genitori, è manifestamente irragionevole svincolare del tutto la selezione da criteri di natura economica, riferiti al reddito o al patrimonio della famiglia. Il criterio della protratta residenza e, soprattutto, quello della protratta occupazione stabile nel territorio regionale, manifestamente possono portare a privilegiare situazioni familiari economicamente migliori e a discriminare situazioni familiari economicamente più precarie. Il che non è razionalmente giustificabile, anche in considerazione del fatto pacifico (e, come visto all'inizio, presente ai lavori preparatori della legge) che con gli asili nido pubblici concorre l'offerta delle strutture private, senz'altro accessibili alle famiglie con redditi più elevati.

Insomma, anche al caso qui in esame possono applicarsi le parole della citata sentenza 168/2014 di codesta Corte, secondo cui deve valere "il principio che «se al legislatore, sia statale che regionale (e provinciale), è consentito introdurre una disciplina differenziata per l'accesso alle prestazioni assistenziali al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili» (sentenza n. 133 del 2013), tuttavia «la legittimità di una simile scelta non esclude che i canoni selettivi

adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza» (sentenza n. 133 del 2013) e che, quindi, debbano essere in ogni caso coerenti ed adeguati a fronteggiare le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto principale di fruibilità delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011)."

1.3. Infine, anche a voler ammettere, in subordine, che la durata della residenza o dell'occupazione nel territorio regionale possa costituire (il che non è) un criterio selettivo logicamente congruo rispetto all'obiettivo di graduare gli aspiranti al servizio degli asili nido pubblici, appare palese come una durata pari

addirittura a quindici anni sia eccessiva e comunque fonte di applicazioni irrazionali.

La legge neppure precisa se tale periodo debba calcolarsi con riferimento a ciascun genitore considerato separatamente o, invece, con riferimento ad entrambi i genitori, nel senso che non i singoli componenti bensì la "coppia" in quanto tale deve avere risieduto o essere stata occupata in Veneto per almeno quindici anni.

Nella prima ipotesi, è evidente che la norma favorirebbe indebitamente i nati in Veneto, che è plausibile che vi abbiano risieduto per i primi quindici anni di vita, attribuendo loro "de futuro" un "diritto di prelazione" esercitabile anche molti anni dopo, semplicemente tornando a risiedere in Veneto per un breve periodo, una volta divenuti genitori, magari dopo una lunga assenza che non è certo indice di radicamento territoriale.

Nella seconda ipotesi, l'irrazionalità appare manifesta perché la norma si rivelerebbe completamente inutile per tutti i genitori che, come è statisticamente normale, siano divenuti tali prima che siano decorsi quindici anni di residenza comune o di occupazione continuativa.

E' evidente, quindi, la mancanza di qualsiasi nesso tra una durata così protratta della residenza o dell'occupazione, e la finalità di ammettere con preferenza alla prestazione degli asili nido i soggetti che presentino un maggiore "radicamento" con il territorio veneto. Il primo esempio dimostra come la norma

consenta di favorire soggetti niente affatto "radicati"; il secondo esempio dimostra come la norma possa tranquillamente escludere dal beneficio soggetti certamente "radicati", ma divenuti genitori in giovane età.

In entrambe le ipotesi interpretative ( calcolo "separato" o "congiunto" del periodo di quindici anni), poi, si vede bene come il requisito consistente nella durata dell'occupazione chiaramente venga a costituire un disincentivo a divenire genitori prima di avere accumulato una anzianità lavorativa di almeno quindici anni, e così contraddice una delle finalità proprie del sistema degli asili nido, che è quella di favorire, contemporaneamente, il lavoro e la natalità.

Anche sotto gli aspetti ora illustrati la norma impugnata contrasta quindi con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 1.4. A conclusione di questo motivo, si precisa che esso è stato svolto partendo dal presupposto interpretativo, che emerge dalla lettera della disposizione impugnata e dai lavori preparatori, che l'espressione "genitori" significhi "entrambi i genitori". Con la conseguenza, già illustrata, che sarebbero

automaticamente esclusi dalla possibilità di fruire della precedenza in questione i figli di cui solo un genitore sia residente o sia occupato da almeno quindici anni in Veneto, nonché i figli privi di entrambi i genitori.

Si è già illustrata la evidente portata discriminatoria, oltre che l'irrazionalità, di questo specifico aspetto della norma impugnata.

Qui si osserva che tutte le censure finora svolte valgono, peraltro, anche nell'ipotesi subordinata in cui si proponga ex adverso, e che codesta Corte condivida, un diverso presupposto interpretativo, alla stregua del quale l'espressione "genitori" vada intesa come contenente un plurale meramente "di genere"; e quindi sia idonea ad includere anche le situazioni in cui il bambino abbia un solo genitore esercente la responsabilità genitoriale (per essere l'altro ignoto o deceduto o decaduto dalla suddetta responsabilità), e, in ipotesi, ad

includere anche le situazioni in cui entrambi i genitori esercitino la responsabilità genitoriale ma solo uno possieda il requisito della residenza o dell'occupazione per almeno quindici anni nel Veneto.

E' sufficiente, a tale proposito, osservare che sarebbero comunque discriminati i bambini privi di entrambi i genitori. Inoltre, al di fuori di questo caso, la considerazione della condizione di residenza o di occupazione di un solo genitore, trascurando quella dell'altro, non muterebbe le conclusioni già illustrate circa l'insussistenza di una valida "ratio distinguendi" tra la situazione di tale genitore, e soprattutto del figlio di tale genitore, e la situazione dei genitori ( e relativi figli) che non versino in tale condizione di residenza o di

occupazione protratte; né circa la manifesta irrazionalità del criterio di preferenza basato sulla durata della residenza o dell'occupazione nella regione del genitore, anziché sulla condizione del bambino, e sulla completa esclusione di qualsiasi rilievo della situazione economica del genitore; né, infine, circa la eccessiva durata del periodo di residenza o di occupazione richiesto.

Anzi, tali conclusioni si aggraverebbero nella misura in cui dare rilievo alla posizione di un so lo genitore, ovviamente, amplierebbe l'area delle situazioni indebitamente privilegiate; laddove pretendere, almeno, che il requisito di residenza o di occupazione sia posseduto da entrambi i genitori, ferma la sua illegittimità, comporterebbe una restrizione dell'area dei soggetti privilegiati.

 

2. Violazione dell'art. 31 c. 2 Cost.

Sviluppando talune delle osservazioni contenute nel motivo che precede, emerge poi la contrarietà della norma impugnata all'art. 31 c. 2 Cost.

Il meccanismo di formazione delle graduatorie per accedere al servizio degli asili nido pubblici ideato dal legislatore regionale frustra, infatti, i valori costituzionali ivi codificati della tutela dell'infanzia e della promozione dei necessari istituti. La disposizione contenuta nell'art. 31 c. 2 implica che l'infanzia sia tutelata nei suoi bisogni specifici, e che a ciò provvedano "istituti" legislativi e amministrativi operanti esclusivamente a tale scopo.

Gli asili nido, per le ragioni illustrate e qui richiamate, debbono servire innanzitutto a soddisfare un essenziale bisogno di assistenza e di educazione, intesa anche come prima socializzazione, dei bambini nella prima infanzia.

Una disciplina che porta a formare le graduatorie di ammissione agli asili nido basandosi sulle condizioni di residenza e di lavoro dei genitori (per di più in modo "inversamente proporzionale"), mentre trascura del tutto di considerare la condizione dei bambini, confligge con i valori suddetti.

Il solo modo conforme all'art. 31 c. 2 Cost. di regolare la formazione delle graduatorie in questione è infatti quello che si basi su criteri atti a misurare, innanzitutto, il bisogno di assistenza e di educazione del bambino, che è il soggetto della tutela di cui all'art. 31 c. 2, dando rilievo alle condizioni della famiglia in cui il bambino è inserito che siano concretamente atte ad influire su tale bisogno (si pensi al caso in cui manchi o sia inabile un genitore, o addirittura entrambi; oltre che al livello di reddito della famiglia). Solo in via secondaria e integrativa, conformemente al descritto carattere "riflesso" dell'interesse dei genitori, potrà darsi rilievo a condizioni personali dei genitori stessi, quali la residenza o l'occupazione.

Diversamente, gli "istituti" previsti dalla legge a tutela dell'infanzia, come il sistema degli asili nido pubblici, verrebbero deviati dal loro "scopo" istituzionale, e trasformati in potenziali fonti di discriminazione tra genitori e, correlativamente, tra bambini.

 

3. Violazione degli artt. 16 c. 1 e 120 c. 1 Cost.

L'art. 16 Cost. garantisce nel comma 1 la libertà di tutti i cittadini di spostarsi nel territorio nazionale, trasferendo liberamente in ogni sua parte la propria residenza o il proprio luogo di lavoro (domicilio). Allo stesso modo, l'art. 120 c. 1 Cost. vieta alle regioni di adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone, da intendere come comprensiva anche della libertà di stabilire la propria residenza e il proprio luogo di lavoro.

Proprio ponendosi dal punto di vista dei genitori interessati agli asili nido pubblici della regione Veneto, è evidente come la disposizione impugnata, a causa della irragionevole discriminazione che introduce, violi anche questi principi costituzionali.

La norma, infatti, palesemente ostacola il trasferimento in Veneto di famiglie che nella propria regione di residenza o di lavoro godano di provvidenze simili, in quanto con il trasferimento in Veneto le perderebbero

(non potendole riacquistare prima di quindici anni); e, reciprocamente, costituisce un incentivo indebito (una specie di "premio fedeltà" del tipo tante volte censurato dalla giurisprudenza europea: v. sentenza Kobler e altre) a non lasciare il Veneto per coloro che già vi risiedano o vi lavorino, inducendoli indirettamente a rimanervi almeno quindici anni con la prospettiva di conseguire il requisito utile a questa precedenza, o con il timore di perderla trasferendosi (ciò vale in particolare con riferimento al requisito dell'occupazione protratta per almeno quindici anni, poiché questa, diversamente dalla residenza, secondo la norma impugnata deve essere ininterrotta).

 

4. Violazione dell'art. 117 c. 1 Cost.

La norma impugnata viola poi l'art. 117 c. 1 Cost., nella parte in cui assoggetta anche la legislazione regionale al rispetto del diritto dell'Unione europea.

4.1. In primo luogo va evidenziato il contrasto con la normativa europea in materia di libera circolazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari. La norma impugnata costituisce infatti, come già rilevato nel terzo motivo, una misura restrittiva delle libertà di circolazione e di soggiorno.

In tal modo, essa contrasta con le libertà garantite ai cittadini dell'Unione dall'art. 21, par. 1, del TFUE, in quanto il requisito preferenziale ivi previsto, richiedendo un periodo così prolungato, eccede quanto necessario al raggiungimento del legittimo obiettivo di accertare l'esistenza di un nesso reale tra il richiedente una prestazione e lo Stato membro competente, ovvero di preservare l' equilibrio finanziario del sistema locale di assistenza sociale mediante la previsione di un collegamento tra il richiedente il servizio e l'ente

competente alla sua erogazione (vd. sentenza Stewart C-503/09, punti 89-95).

4.2. Inoltre, la previsione regionale in oggetto si pone in contrasto con l'articolo 19 del D.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, di recepimento (dell'art. 24) della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

L'art. 24 di tale direttiva garantisce parità di trattamento ai cittadini di Stati membri che risiedano da più di tre mesi in un diverso Stato membro, nonché ai loro familiari anche non residenti, rispetto ai cittadini dello Stato ospitante, senza esigere alcun periodo pregresso di residenza a tal fine. Ciò implica che, nel caso di specie, verrebbero discriminati dalla normativa regionale tutti i cittadini dell'Unione che soggiornino in Veneto da più di tre mesi o comunque che abbiano ottenuto il diritto di soggiorno permanente, non avendo però maturato 15 anni di residenza anche non continuativa o di lavoro continuativo in Veneto.

4.3. Un'altra categoria di soggetti che è discriminata dalla previsione di un requisito di residenza o di svolgimento di attività lavorativa sul territorio regionale per periodi così prolungati è quella dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, i quali, secondo quanto previsto dall'art. 11, paragrafo 1, lettera d) e f), della direttiva 2003/109/CE, recepita con D. lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, trascorsi cinque anni di soggiorno regolare sull'intero territorio nazionale (non necessariamente tutti in un'unica regione), dovrebbero

godere dello stesso trattamento dei cittadini nazionali sia per quanto riguarda "le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale", sia per quanto riguarda "l'accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico e all'erogazione degli stessi".

Dalla suddetta disposizione regionale, invece, scaturisce un effetto discriminatorio per quei soggiornanti di lungo periodo, residenti in Veneto, che abbiano trascorso parte del proprio soggiorno regolare quinquennale anche in altre regioni italiane, con conseguente violazione del principio di parità di trattamento previsto dalla direttiva 2003/109/CE tra questi soggiornanti di lungo periodo e i cittadini nazionali.

Inoltre, è evidente come la previsione di un requisito minimo di residenza di quindici anni vanifichi il requisito previsto dalla direttiva ai fini del godimento delle prestazioni sociali, che è limitato ad un soggiorno di cinque anni.

4.4. Nella citata sentenza n. 168 del 2014 codesta Corte costituzionale, trattando. una questione di legittimità costituzionale di una legge valdostana che subordinava ad una residenza minima di otto anni nella regione l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, ravvisava la violazione delle norme europee citate nei paragrafi precedenti.

La sentenza ha infatti affermato che un requisito di residenza, anche se previsto sia per gli italiani che per gli stranieri, è idoneo a creare una discriminazione indiretta o 'dissimulata' vietata dal diritto UE sia nei confronti dei cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea che hanno esercitato il diritto alla libera circolazione, in quanto detto requisito sarebbe più difficile da soddisfare per loro rispetto ai cittadini nazionali; sia nei confronti dei cittadini di Stati terzi titolari dello status di lungo soggiornante, in quanto per tali soggetti il requisito di anzianità di residenza eccede temporalmente la durata di quello prescritto per l'accesso allo status.

Inoltre, la previsione della legge veneta è palesemente più grave di quella trattata da codesta Corte Costituzionale con la suddetta pronuncia n. 168 del 2014: in quel caso si prevedeva, per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, indipendentemente dalla nazionalità, il requisito della residenza nella Regione da almeno otto anni, a fronte dei quindici anni (ancorché come titolo preferenziale, che però di fatto si risolve in un analogo ostacolo per la fruizione del servizio regionale) di pregressa residenza o svolgimento di attività lavorativa sul territorio veneto.

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Tutto ciò premesso, il Presidente del Consiglio come sopra rapp.to e difeso ricorre a codesta Ecc.ma Corte Costituzionale affinché voglia dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge regionale del Veneto 21 febbraio 2017 n. 6, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto del 24 febbraio 2017 n. 21, nella parte in cui modifica l'art. 8, comma 4, della legge regionale 23 aprile 1990 n. 32 introducendovi la lettera b).

Si produce in estratto conforme la delibera del Consiglio dei ministri del 13 aprile 2017.

Si producono altresì i seguenti documenti:

1) legge regionale impugnata;

2) relazione dei proponenti per la commissione consiliare;

3) relazione per l'aula del relatore Negro.

Roma, 26 aprile 2017

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