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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 39 del 21 aprile 2017


RICORSO

Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri alla Corte Costituzionale per la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto n. 1 del 17.01.2017, pubblicata sul B.U.R. n. 8 del 17/01/2017 "Norme regionali in materia di disturbo all'esercizio dell'attività venatoria e piscatoria: modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 "Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio" e alla legge regionale 28 aprile 1998, n. 19 "Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell'esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto"".

Ct 8233/17
Avv. Marina Russo

Avvocatura Generale dello Stato
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE
RICORSO

del PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12

contro

Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore

PER LA DECLARATORIA

DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE

della Legge Regionale n. 1 del 17 gennaio 2017 pubblicata nel BUR n. 8 del 17 gennaio 2017, recante Norme Regionali in materia di disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e piscatoria: modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” e alla legge regionale 28 aprile 1998 n. 19 “Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto”

§§§

  1. Violazione dell’art. 117, comma 2 lettera h) della Costituzione;

L’art. 1 della legge regionale in epigrafe dispone: “1. Dopo l’articolo 35 della legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme regionali per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio” è inserito il seguente:

“Art. 35-bis

Disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e molestie agli esercenti l’attività venatoria.

1. Chiunque, con lo scopo di impedire intenzionalmente l’esercizio dell’attività venatoria ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo dai quali possa essere turbata o interrotta la regolare attività di caccia o rechi molestie ai cacciatori nel corso delle loro attività, è punito con la sanzione amministrativa da euro 600,00 a euro 3.600,00.

2. All’accertamento e alla contestazione delle violazioni procedono gli organi cui sono demandate funzioni di polizia.

3. La Regione esercita le funzioni amministrative riguardanti l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla legge e ne introita i proventi.

4. Non integrano, in ogni caso, la fattispecie di cui al comma 1, gli atti rientranti nell’esercizio dell’attività agricola, di cui all’articolo 2135 del Codice Civile, nel rispetto dell’articolo 842 del Codice Civile.”.

L’art. 2, a sua volta, prevede: “1. Dopo l’articolo 33-bis della legge regionale 28 aprile 1998 n. 19 “Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto” è inserito il seguente:

“Art. 33-ter

Disturbo all’esercizio dell’attività piscatoria e molestie agli esercenti l’attività piscatoria.

1. Chiunque, con lo scopo di impedire intenzionalmente l’esercizio dell’attività piscatoria ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo dai quali possa essere turbata o interrotta la regolare attività di pesca o rechi molestie ai pescatori nel corso delle loro attività, è punito con la sanzione amministrativa da euro 600,00 a euro 3.600,00.

2. All’accertamento e alla contestazione delle violazioni procedono gli organi cui sono demandate funzioni di polizia.

3. La Regione esercita le funzioni amministrative riguardanti l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla presente legge e ne introita i proventi.”.

Le norme sopra riportate incidono su materie riservate alla competenza legislativa statale, ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. h) della Costituzione.

Infatti, sanzionando a titolo di illecito amministrativo comportamenti quali il “disturbo”, l’”ostruzionismo”, la “molestia”, le norme in questione disciplinano condotte emulative dirette al solo fine di arrecare nocumento a beni fondamentali, quali l’integrità delle persone e la sicurezza, sussumibili nella categoria dell’ordine pubblico e della sicurezza, sulle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva.

Che si tratti di materia riservata in via esclusiva alla legislazione statale è confermato dalla constatazione (rilevante anche sotto altro profilo, sul quale ci si soffermerà al punto seguente) che le condotte prese in esame dalla legge regionale qui impugnata sono – a ben vedere – agevolmente riconducibili alla fattispecie di reato di cui all’art. 660 c.p. (“Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”), posto che le condotte di disturbo o molestia – coincidenti con quelle contemplate dalla legge regionale – hanno per indefettibile presupposto il compimento in luogo pubblico o aperto al pubblico (tali essendo i luoghi tipici in cui si svolgono le attività venatoria e piscatoria), e che è senza dubbio meritevole di biasimo la finalità della condotta, diretta a recare disturbo a chi svolge un’attività lecita.

 

2. Violazione dell’art. 117, comma 2 lettera l) della Costituzione;

Le norme regionali qui censurate si pongono altresì in contrasto con l’art. 117 comma 2 lett. l), a mente del quale appartengono in via esclusiva alla legislazione statale le materie dell’ordinamento civile e penale.

Come esposto al punto che precede, la scelta del legislatore regionale di sanzionare come illecito amministrativo una condotta che è già prevista e punita dalla legge statale a titolo di illecito penale ex art. 660 c.p. costituisce chiara dimostrazione di come la norma regionale vada ad interferire con un ambito (l’ordinamento penale, appunto) che alla legislazione regionale è sottratto.

Ancora, gli interessi che la legge regionale mira a tutelare sono altresì garantiti da una tutela di tipo privatistico, essendo risarcibili i danni arrecati tramite le condotte prese in esame dalla norma, ciò che evidenzia come la legge veneta finisca con l’incidere anche su un’altra materia (l’ordinamento civile) che le è sottratta, a mente dell’art. 117 comma 2 lett. l) Cost.

 

3. Violazione dei principi di legalità, razionalità e non discriminazione rinvenibili negli artt. 25, 3 e 27 della Costituzione;

La legge regionale qui impugnata sanziona a titolo di illecito amministrativo condotte descritte in termini generici, tali non solo da prospettare ovvie difficoltà a livello applicativo ma anche – più in generale – da determinare un contrasto con il principi costituzionali in materia sanzionatoria, validi anche per gli illeciti amministrativi ed espressamente richiamati dalla legge 689/1981; segnatamente, vengono in considerazione i principi di legalità e razionalità consacrati nelle norme costituzionali in rubrica, dei quali si deduce qui la violazione innanzi tutto in quanto i parametri di individuazione delle condotte sanzionatorie sono insufficienti a garantire la determinatezza della fattispecie.

Inoltre, al fatto che le disposizioni censurate non contengono la clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca reato”, si aggiunge la considerazione che le sanzioni amministrative introdotte dalle norme regionali in esame (da euro 600,00 a euro 3.600,00) sono evidentemente sproporzionate (in violazione dell’art. 3 Cost), sia in comparazione con quelle previste dall’art. 35 della legge regionale n. 50 del 1993, recante Norme per la protezione della fauna selvatica e per  il prelievo venatorio, per la violazione delle disposizioni di tale legge, il cui massimo edittale – nei casi più gravi – è fissato in € 1.200, sia rispetto a quelle previste a carico del cacciatore per le violazioni commesse ai sensi dell’art. 31 della legge n. 157/92, recante Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, anch’esse inferiori, nel massimo edittale, al massimo edittale previsto dalla legge regionale oggetto del presente ricorso.

 

§§§

 

Dall’incostituzionalità degli artt. 1 e 2 discende la necessità di caducare anche l’art. 3 della legge qui impugnata che, recando solo una clausola di neutralità finanziaria, non ha autonoma portata precettiva.

Per tutti i suesposti motivi

 

Si chiede che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale della legge in rubrica.

 

§§§

 

Si producono le norme impugnate e, per estratto, copia conforme della delibera di impugnazione del Consiglio dei Ministri in data 10.3.17, con allegata relazione.

 

Roma, 15.3.17

 

Marina Russo Avvocato dello Stato

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