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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 71 del 22 luglio 2016


Ricorso

Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri alla Corte Costituzionale per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'articolo 2 della Legge Regionale Veneto n. 12 del 12 aprile 2016, recante "Modifica della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio" e successive modificazioni", pubblicata nel B.U.R. n. 35 del 15 aprile 2016.

CT 20955/16 Avv. G. Palmieri

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE
RICORSO EX ART. 27 COSTITUZIONE

del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato C.F. 80224030587, Fax 06/96514000 e PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12

nei confronti

della Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro-tempore, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’articolo 2 della Legge Regionale Veneto n. 12 del 12 aprile 2016, recante “Modifica della legge regionale 233 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e successive modificazioni”, pubblicata nel B.U.R. n. 35 del 15 aprile 2016, giusta delibera del Consiglio dei Ministri in data 31 maggio 2016.

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Con la Legge Regionale n. 12 del 12 aprile 2016, indicata in epigrafe, che consta di cinque articoli, la Regione Veneto ha emanato le disposizioni per la “Modifica della legge regionale 233 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e successive modificazioni”.

In particolare, l’articolo 2, recante “Inserimento degli articoli 31 bis e 31 ter nella legge regionale 233 aprile 2004, n. 11 Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”, inserisce nella Legge Regionale n. 11/2014 citata gli articoli 31-bis “Edifici e attrezzature di interesse comune per servizi religiosi” e 31-ter “Realizzazione e pianificazione delle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi”.

E’ avviso del Governo che, con la norma denunciata in epigrafe, la Regione Veneto abbia ecceduto dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale, come si confida di dimostrare in appresso con l’illustrazione dei seguenti

MOTIVI

  1. L’articolo 2 della Legge Regionale Veneto 12 aprile 2016, n. 12 viola gli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione.

Come si è detto, l’art. 2 citato introduce, dopo l’art. 31 della Legge Regione Veneto n. 11/2004 citata, l’art. 31-bis e l’art. 31-ter.

La disciplina contenuta nell’articolo 31-bis prevede che la Regione e i Comuni del Veneto, ciascuno nell’esercizio delle rispettive competenze, individuino i criteri e le modalità per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi da effettuarsi, distinguendo, da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica, delle confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione, e delle altre confessioni religiose.

La norma di cui all’art. 31-bis citato, come introdotto dall’articolo 2 della Legge Regionale n. 12/2016, contrasta con gli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione nella parte in cui riconosce alle Regioni e ai Comuni del Veneto la potestà amministrativa di individuare i criteri e le modalità per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi.

La disposizione presenta profili di incostituzionalità, perché, richiamando con formula generica e ambigua “i criteri e le modalità” da individuare per la realizzazione delle attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi, da un lato, si presta ad applicazioni ampiamente discrezionali, potenzialmente discriminatorie nei confronti di alcuni enti religiosi, in palese violazione degli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione; dall’altro consente che la Regione e i comuni del Veneto effettuino una valutazione differenziata dei criteri e delle modalità di realizzazione delle suddette attrezzature per le diverse confessioni religiose, in violazione degli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione.

Ciò in contrasto anche con i principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui “il legislatore non può operare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o meno regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese” (sentenza n. 63/2016; punto 4.1. del Considerato in diritto; sentenza n. 52/16, punto 5.1. del Considerato in diritto).

Il libero esercizio del culto è, infatti, “un aspetto essenziale della libertà di religione (art. 19) ed è, pertanto, riconosciuto egualmente a tutti e a tutte le confessioni religiose (art. 8, primo e secondo comma), a prescindere dalla stipulazione di una intesa con lo Stato” (sentenza n. 63/2016 citata; punto 4.1. del Considerato in diritto).

Come ribadito dalla Corte, “altro è la libertà religiosa, garantita a tutti senza distinzioni, altro è il regime pattizio (artt. 7 e 8, terzo comma, Cost.) che si basa sulla “concorde volontà” del Governo e delle confessioni religiose di regolare specifici aspetti del rapporto di queste ultime con l’ordinamento giuridico statale (sentenza n. 52 del 2016). Data l’ampia discrezionalità politica del Governo in materia, il concordato o l’intesa non possono costituire condicio sine qua non per l’esercizio della libertà religiosa” (sentenza n. 63/2016 citata; punto 4.1. del Considerato in diritto).

Nel solco della giurisprudenza costituzionale, nel sistema costituzionale, le intese non sono mai una “condizione imposta dai pubblici poteri” per consentire alle confessioni religiose di avere libertà di organizzazione e di azione (sentenza n. 52/16 citata, punto 5.1. del Considerato in diritto), poiché, “a prescindere dalla stipulazione di intese, l’eguale libertà di organizzazione e di azione è garantita a tutte le confessioni dai primi due commi dell’art. 8 Cost. (sentenza n. 43 del 1988) e dall’art. 19 Cost., che tutela l’esercizio della libertà religiosa anche in forma associata. La giurisprudenza di questa Corte è anzi costante nell’affermare che il legislatore non può operare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese (sentenze n. 346 del 2002 e n. 195 del 1993).”

Al riguardo, come affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 63/16 citata, punto 4.2. del Considerato in diritto), “vale il divieto di discriminazione, sancito in generale dall’art. 3 Cost. e ribadito, per quanto qui specificamente interessa, dagli artt. 8, primo comma, 19 e 20 Cost.; e ciò anche per assicurare “l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto, di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario” (sentenza n. 346 del 2002).”

  1. L’articolo 2 della Legge Regione Veneto 12 aprile 2016, n. 12 viola gli articoli 2, 3, 8, 19 e 117, comma 2, lett. c) ed h), della Costituzione.

Come si è detto, l’art. 2 citato introduce dopo l’art. 31 della Legge Regione Veneto n. 11/2004 citata l’art. 31-bis e l’art. 31-ter.

La disciplina contenuta nell’articolo 31-ter, “Realizzazione e pianificazione delle attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi”, prevede, al primo comma, che “al fine di assicurare una adeguata qualità urbana”, lo strumento urbanistico comunale, per le aree e per gli immobili da destinarsi alla realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, garantisca: “a) la presenza di strade di collegamento adeguatamente dimensionate o, se assenti o inadeguate, ne prevede l’esecuzione o l’adeguamento con onere a carico dei richiedenti; b) la presenza di opere di urbanizzazione primaria o, se assenti o inadeguate, ne prevede l’esecuzione o l’adeguamento con onere a carico dei richiedenti; c) la presenza di distanze adeguate tra le aree o gli edifici da destinare alle diverse confessioni religiose; d) spazi adeguati da destinare a parcheggio pubblico; e) la realizzazione di adeguati servizi igienici, nonché l’accessibilità alle strutture da parte di disabili; f) la conformità e la congruità con le previsioni degli strumenti territoriali sovraordinati ed in particolare con riferimento al loro inserimento nel contesto urbano e paesaggistico”.

Il secondo comma dell’art. 31-ter citato estende tale disciplina anche alle aree scoperte destinate o utilizzate per il culto, ancorché saltuario.

Il terzo comma dell’art. 31-ter citato prevede che, per la realizzazione delle attrezzature suddette, nonché per l’attuazione degli impegni assunti, il richiedente sottoscriva con il Comune una convenzione contenente un impegno fideiussorio. “Nella convenzione può essere previsto l’impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto”.

L’art. 31-ter della Legge Regione Veneto n. 11/2004 citata, come introdotto dall’articolo 2 della Legge Regione Veneto n. 12/16 citata, contrasta con gli artt. 2, 3, 8, 19 e 117, comma 2, lett. c) ed h), della Costituzione.

Come si è già detto, il terzo comma dell’art. 31-ter prevede una convenzione tra il Comune e il soggetto richiedente la realizzazione di attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi e stabilisce che nelle convenzioni può essere previsto, appunto, “l’impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto”.

Va osservato che le convenzioni dovrebbero, invero, rispondere alla finalità già indicata sopra, tipicamente urbanistica, di assicurare lo sviluppo equilibrato e armonico dei centri abitati. Ne deriva che esse dovrebbero unicamente consentire la previsione, in forma concordata e negoziale, degli impegni strettamente connessi all’ottenimento da parte dell’Ente interessato del rilascio delle necessarie autorizzazioni urbanistiche per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi.

In questa prospettiva, appare palesemente irragionevole la previsione dell’art. 2 della Legge Regionale n. 12/16 citato che, aggiungendo l’art. 31-ter citato, consente, al terzo comma, di inserire, nel contesto pattizio della convenzione, l’impegno ad utilizzare la lingua italiana.

La norma così formulata appare travalicare gli ambiti rimessi alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. c), della Costituzione.

Si rileva, al riguardo, che spetta allo Stato il compito di garantire, sia ai singoli, sia alle formazioni sociali, il godimento effettivo e sostanziale del diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, adottando le pertinenti misure per favorirne l’esercizio nel senso più ampio possibile, cioè, non strettamente legato al solo svolgimento delle pratiche rituali di culto, bensì fino a ricomprendere anche le attività collaterali, come quelle ricreative, aggregative, culturali, sociali, educative, nell’ambito delle quali la libertà religiosa trova la sua pienezza di espressione.

Il contrasto con gli articoli 2 e 3 della Costituzione deriva dalla circostanza che si tratta di attività inserite nell’ambito del principio di libertà di religione, che siano espressione diretta di fede, ivi compresa la realizzazione di luoghi diretti al culto e alla discussione degli interessi sociali e culturali della comunità. Va, peraltro, osservato che la necessaria interferenza con la predetta libertà di religione pone la norma regionale in contrasto con la previsione di cui all’art. 19 della costituzione.

La norma regionale, inoltre, nella parte in cui persegue una finalità di controllo delle modalità con le quali in concreto è esercitata l’attività sociale e culturale svolta nelle attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi, per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, invade la podestà legislativa esclusiva statale e viola l’art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione (sentenza n. 55/2001).

La giurisprudenza costituzionale, infatti, è consolidata nel ritenere che, se tra gli interessi costituzionali da considerare “nel modulare la tutela della libertà di culto” rientrano anche “quelli relativi alla sicurezza, all’ordine pubblico e alla pacifica convivenza”, il perseguimento di tali interessi spetta in via esclusiva allo Stato, in base all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., mentre alle Regioni è riservato un ruolo di cooperazione in tema di contrasto dell’illegalità, ordine pubblico e sicurezza (sentenze n. 35 del 2012; e n. 63 del 2016 citata, punto 8. del Considerato in diritto).

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Per i suesposti  motivi si conclude perché l’articolo 2 della Legge Regionale Veneto n. 12 del 12 aprile 2016, recante “Modifica della legge regionale 233 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e successive modificazioni”, indicata in epigrafe, sia dichiarato costituzionalmente illegittimo.

Si produce l’estratto della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 maggio 2016.

Roma, 14 giugno 2016

Il Vice Avvocato Generale dello Stato
Gabriella PALMIERI

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