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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 64 del 26 giugno 2015


Ricorsi

Ricorso n. 54 del Presidente del Consiglio dei Ministri alla Corte Costituzionale per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera a), della Legge della Regione Veneto del 16 marzo 2015, n. 4 "Modifiche di leggi regionali e disposizioni in materia di governo del territorio e di aree naturali protette regionali", pubblicata nel BUR n. 27 del 20 marzo 2015.

Pubblicazione disposta dal Presidente della Corte costituzionale a norma dell’art. 20 delle Norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale

Ricorso n. 54

Depositato il 26 maggio 2015

per la Presidenza del Consiglio dei Ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente in carica, rappresentata e difesa per mandato ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi 12 (fax 0696514000 – PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it)

ricorrente

contro

REGIONE VENETO, in persona del Presidente della Giunta Regionale attualmente in carica

resistente

per l’impugnazione e la dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge regionale 16 marzo 2015, n. 4, avente ad oggetto “Modifiche di leggi regionale e disposizioni in materia di governo del territorio e di aree naturali protette regionali”, pubblicata sul BUR n. 27 del 20 marzo 2015.

***

La Regione Veneto ha approvato ed emanato la legge 4/2015 con cui in dieci articoli ha introdotto modifiche a svariate norme regionali vigenti in materia di governo, assetto ad uso del territorio, di paesaggio, di edilizia ed urbanistica, nonché in materia di aree protette.

In particolare, per quanto qui interessa, con l’art. 8 in dichiarata attuazione della norma statale di cui all’art. 2 bis del DPR 380/2001 (“Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”) ha demandato allo strumento urbanistico generale la fissazione dei limiti di densità, altezza e distanza in deroga a quelli stabiliti dall’ordinamento statale in una serie di ipotesi espressamente elencate.

Così testualmente la nuova norma regionale:

“In attuazione di quanto previsto dall’art. 2 bis del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, lo strumento urbanistico generale, con le procedure di cui al comma 4, può fissare limiti di densità, di altezza e di distanza in deroga a quelli stabiliti dagli articoli 7, 8, e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444 “Limiti inderogabili i densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765”:

  1. nei casi  di cui all’articolo 17, comma 3, lettere a) e b) della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio ed in materia di paesaggio”, con riferimento ai limiti di distanza da rispettarsi all’interno degli ambiti dei Piani Urbanistici Attuativi (PUA) e degli ambiti degli interventi disciplinati puntualmente;
  2. in specifiche aree o ambiti, individuati all’interno delle zone di complemento, comunque denominate nello strumento urbanistico comunale, qualora i diversi limiti fissati siamo funzionali a confermare un assetto morfologicamente ordinato ed unitario di tessuti urbani consolidati prevalentemente composti da fabbricati realizzati prima dell’entrata in vigore del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444”.

Ad avviso della Presidenza del Consiglio questa norma viola la competenza legislativa esclusiva dello Stato, e deve pertanto essere impugnata per il seguente

MOTIVO

  1. Violazione dell’articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione che demanda alla competenza legislativa esclusiva dello Stato le norme appartenenti all’ordinamento civile.

Come noto, il decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito con legge 98/2013, ha introdotto una serie di misure di semplificazione del quadro amministrativo e normativo al fine di rilanciare l’economia nazionale e di favorire la crescita economica.

L’articolo 30 del testo legislativo si è occupato specificamente della semplificazione nel settore edilizio, introducendo nel DPR 380/2001 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) l’art. 2 bis, che consente alle regioni ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano di dettare proprie norme anche in deroga alle disposizioni del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444.

Quel regolamento ministeriale, di competenza del Ministero dei lavori pubblici, si occupa essenzialmente di due questioni:

  1. La fissazione di limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza e di distanza fra i fabbricati (articoli 7, 8 e 9);
  2. La fissazione dei cc.dd. “standard”, ossia i  rapporti massimi da osservare nella formazione o nella revisione degli strumenti urbanistici, tra spazi con destinazione residenziale e produttiva e spazi da destinare ad attività collettive, a verde pubblico, a parcheggi.

Il potere derogatorio attribuito alle regioni dall’art. 2 bis del DPR 380/2001 come introdotto nel 2013, però, lascia espressamente ferma la competenza statale in materia di ordinamento civile, con riferimento al diritto di proprietà ed alle connesse norme del codice civile e alle sue disposizioni integrative..

Ora, come ha già ripetutamente chiarito la giurisprudenza costituzionale, la disciplina delle distanze minime tra le costruzioni rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in quanto attinente all’ordinamento civile (Corte Cost. 21 maggio 2014 n. 134; Corte Cost. 16 gennaio 2013 n. 6; Corte Cost. 7 maggio 2012 n. 114; Corte Cost. 15 maggio 2005 n. 232).

E, del resto, il principio appare evidentemente giusto ove si osservi che la disciplina delle distanze tra edifici, è oggetto di specifica norma del codice civile nel libro della proprietà in generale, e nel titolo della proprietà edilizia in particolare (art.773 cod. civ.); così come non possono non attenere alla proprietà, in funzione limitativa della stessa, le disposizioni dettate, in attuazione della legge 765/1965, dal DM 1444/1968 con riferimento alla densità ed all’altezza degli edifici.

La stessa Corte ha tuttavia precisato, sulla scorta della considerazione che le distanze tra gli edifici possono anche incidere sull’assetto del territorio, e quindi fuoriuscire dai limiti dei rapporti tra privati, che la loro disciplina possa essere oggetto pure di legislazione concorrente regionale quando essa possa essere funzionale agli interessi pubblici legati al governo del territorio. Ed in questa ottica il potere legislativo regionale può anche operare in deroga alle norme statali, purché tale discostamento persegua finalità di carattere urbanistico destinate ad assicurare “un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio”.

D’altra parte, la stessa inderogabilità dei (soli) limiti di distanza era stata dallo stesso Stato attenuata ammettendo la possibilità di distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche (art. 9 del DM 1444/1968). Quindi, la legittimazione a derogare per ragioni urbanistiche era principio già presente nella normativa statale.

Nel caso di specie, però, la Regione Veneto non ha utilizzato in modo corretto la facoltà derogatoria concessagli dall’interpretazione costituzionale ora ricordata, ed ha pertanto invaso per l’eccessiva ampiezza della previsione la competenza dello Stato..

Intanto, essa ha assegnato agli strumenti urbanistici un potere più esteso di quello che potrebbe essere esercitato, dal momento che – in presenza di una norma statale (l’art. 2 bis del DPR 380/2001) che ammette deroghe al DM 1444/1968 solo per le distanze (art. 9), ed in presenza di un’apertura della giurisprudenza costituzionale che pure consente la discriminante urbanistica per le deroghe in materia di distanze – la norma regionale qui censurata introduce una derogabilità alla disciplina statale anche relativamente alle altezze ed alla densità (articoli 7 e 8), i cui limiti invece dovrebbero rimanere inderogabili.

E poi, la norma regionale censurata consente le deroghe in parola nei casi di cui all’art. 17, comma 3, lettere a) e b) delle legge regionale 11/2004 con esplicito riferimento ai PUA e agli ambiti degli interventi disciplinati puntualmente.

Ora, la legge regionale 11/2004 all’art. 17 prevede che il piano degli interventi si attui mediante Piani Urbanistici Attuativi (PUA), e che minori distanze tra edifici rispetto ai limiti di cui al DM 1444/1968 possano essere fissati nel caso di gruppi di edifici in ambito PUA o in caso di interventi disciplinati puntualmente.

Come si vede, si tratta di previsioni urbanistiche (e di contenuto di strumenti urbanistici) del tutto generali e generiche, che non contengono alcun riferimento a quelle particolari e specifiche esigenze legate al territorio – a quel particolare territorio, con quelle particolari caratteristiche dettate da ragioni naturali e storiche (così Corte Cost. 134/2014 in parte motiva) – che consentirebbe una disciplina delle distanze diversa da quella inderogabilmente fissata dal legislatore statale.

Né quelle specificità sono in qualche modo desumibili dalle altre disposizioni della norma qui in esame.

Non è sufficiente, infatti, una generica motivazione urbanistica per legittimamente derogare ai limiti di matrice statale in tema di distanza tra edifici (se si ragionasse così, è evidente che ogni strumento urbanistico, in quanto tale, potrebbe farlo), ma occorre una specifica motivazione di omogeneità, complessività ed unitarietà che giustifichi per determinate zone una eccezionale – nel senso che fa eccezione – previsione di assetto fisico.

D’altra parte, gli stessi requisiti di omogeneità, complessività ed unitarietà richiesti dalla giurisprudenza costituzionale perché prevalga la discriminante urbanistica, appaiono incompatibili con la norma regionale che consente la deroga elle distanze nel caso di interventi puntuali, che – proprio perché puntuali – sono per loro natura svincolati dal contesto.  

Quindi, il contrasto con i principi affermati dalla Corte si manifesta qui con il consentire una deroga alla norma statale sia in caso di Piano Urbanistico Attuativo (strumento in sé assolutamente generale per ambito territoriale di efficacia, generico in termini di contestualizzazione di intervento, indefinito e per previsioni di contenuto) senza alcuna indicazione di specificità, sia in caso di intervento puntuale (che prescinde da ogni elemento di omogeneità di contesto e di unitarietà di assetto del territorio).

Per tutte le esposte ragioni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri come sopra rappresentata e difesa

Conclude

Affinché la Corte Costituzionale voglia accogliere il presente ricorso e per l’effetto dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera a) della Legge Regionale del Veneto 16 marzo 2015, n. 4 per contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione.

Roma, 19 maggio 2015

 

                                                                                                                                MARCO CORSINI
                                                                                                                               Avvocato dello Stato

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