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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 31 del 31 marzo 2006


Sentenze e ordinanze

CORTE DI APPELLO DI VENEZIA. Sentenza civile n. 334/06 emessa in data 16 febbraio 2006/2 marzo 2006, relativa agli appelli proposti da Stefano Ferro e Andrea Astolfi contro Leonardo Padrin avverso la sentenza n. 2354/05 di data 2 novembre 2005 del Tribunale di Venezia.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA
SEZIONE PRIMA CIVILE

in persona dei magistrati:
dr. Gabriella Radaelli d'Avino Presidente
dr. Enricomaria Garbellotto Consigliere
dr. Domenico Taglialatela Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa d'appello promossa con ricorso depositato in data 9/12/05
da:
Ferro Stefano
col proc. e dom. in Stra (Ve) avv. Ivone Cacciavillani
per mandato in atto di appello
Appellante
contro:
Padrin Leonardo
col proc. e dom. in Venezia avv. W. Falciani
e col patrocinio degli avv.ti F. Bonon e C. Michelon
per mandato a margine del ricorso 19/7/05
Appellato
e contro
Astolfi Andrea
elett. dom. in Venezia presso lo studio dell'avv. E. Rizzi
e col patrocinio dell'avv. S. De Nardi
per mandato in comparsa di costituzione
Appellato
nonché da
Astolfi Andrea
elett. dom. in Venezia presso lo studio dell'avv. E. Rizzi
col patrocinio dell'avv. S. De Nardi
per mandato in atto di appello
Appellante
Contro
\Padrin Leonardo
col proc. e dom, in Venezia avv. W. Falciani
e col patrocinio degli avv.ti F. Bonon e C. Michelon
per mandato a margine del ricorso 19/7/05
Appellato
con l'intervento del P.M. in persona dell'Avvocato Generale dott. A. Nepi
Oggetto: riforma della sentenza n. 2354 in data 17/11/05 del Tribunale di Venezia, in punto: elettorato passivo.
CONCLUSIONI:
Il procuratore dell'appellante Ferro Stefano ha concluso:
a) in rito ed in principalità: annullarsi la sentenza per il primo motivo dedotto; salva ogni determinazione in ordine alla pregiudizialità della decisione della querela di falso;
in subordine: in riforma della sentenza gravata;
aa) dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
bb) rigettarsi lo stesso perché infondato;
b) pregiudizialmente: ritenuta la non manifesta infondatezza e rilevanza delle due eccezioni di costituzionalità formalmente sollevate, sospendersi il giudizio e rimettersi gli atti alla Corte Costituzionale per il più a praticarsi.
Il procuratore dell'appellato Padrin Leonardo ha concluso:
in via preliminare: accertare e dichiarare l'inammissibilità dell'intervento ad adiuvandum promosso dal sig. Ferro Stefano e conseguentemente l'inammissibilità del relativo appello per i motivi esposti;
nel merito: rigettarsi l'appello perché infondato in fatto e diritto e per l'effetto confermarsi la sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza.
Il procuratore dell'appellante Astolfi Andrea ha concluso:
in rito: che venga dichiarata la nullità della sentenza di primo grado e che, comunque, in totale riforma della sentenza qui appellata, venga dichiarata l'improponibilità, l'improcedibilità e l'inammissibilità del ricorso proposto dal dott. Leonardo Padrin;
nel merito: che, previa declaratoria di nullità della notifica della sentenza effettuata su istanza del Presidente del Consiglio Regionale del Veneto, in totale riforma della sentenza qui appellata, venga rigettato il ricorso proposto dal dott. Leonardo Padrin perché infondato, se del caso previa sospensione del presente giudizio per rimessione degli atti di causa alla Corte Costituzionale affinché risolva le numerose questioni di legittimità costituzionale che sono rilevanti e non manifestamente infondate;
che vengano emanati i provvedimenti di rito previsti dalla legge.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari di entrambi i gradi di giudizio.
Il P.M ha concluso: confermarsi la sentenza impugnata.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 21/7/05 Leonardo Padrin, in qualità di elettore e candidato, partecipante alla consultazione elettorale del 3 e 4 aprile del 2005 per la elezione dei membri del Consiglio Regionale del Veneto, premesso che era risultato eletto anche Andrea Astolfi il quale, all'epoca della candidatura e della consultazione, rivestiva la carica di amministratore della società Veneto Acque spa, interamente partecipata dalla Regione Veneto, con conseguente sua ineleggibilità ai sensi dell'art. 2 della legge 23/4/81 n. 154 nonostante le dimissioni rassegnate solo ad elezione avvenuta, chiedeva che fosse dichiarata la ineleggibilità dell'Astolfi alla carica di consigliere regionale o la sua decadenza dalla medesima carica laddove nelle more fosse intervenuta la convalida da parte del Consiglio Regionale.
L'Astolfi si costituiva eccependo preliminarmente la improponibilità del ricorso in difetto di previa impugnazione della delibera di convalida; nel merito deduceva che, interpretato l'istituto della ineleggibilità secondo un criterio di ragionevolezza, trattandosi di eccezione alla regola della generale eleggibilità, e tenuto conto dei fini cui esso mira, e dunque evitare la captatio benevolentiae o il metus pubblicae potestatis dell'elettore, così realizzando la par condicio tra i vari candidati, la norma invocata dal ricorrente non poteva applicarsi alla fattispecie atteso che la consultazione elettorale in oggetto era stata tenuta con il nuovo sistema elettorale misto; che detto sistema prevede che parte (4/5) dei consiglieri vengano eletti con sistema proporzionale e altra (1/5) secondo un sistema maggioritario, c.d. listino del Presidente, e che esso controricorrente era stato eletto proprio quale componente di detto listino, con conseguente insussistenza di ogni pericolo di condizionamento del voto; che in caso contrario andava sollevata questione di illegittimità costituzionale della norma dell'art. 2 della legge n. 154 del 1981 in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost. attesa la irragionevole e irrazionale parità di trattamento tra ipotesi di ineleggibilità del tutto diverse;
che in ogni caso la stessa disposizione doveva ritenersi abrogata in conseguenza dell'assoluta incompatibilità con l'art. 2 della più recente legge n. 165/04; che ancora, in via subordinata, laddove esclusa la tacita abrogazione, andava sollevata questione di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 1,2,3,48, 51, 122 Cost. nella parte in cui le norme della legge n. 154/81 si pongono in contrasto con le più recenti disposizioni in materia, mentre la normativa del 1981 andava ritenuta incostituzionale sin dall'origine ove aveva qualificato come ipotesi di ineleggibilità situazioni di mera incompatibilità perché legate alla sola necessità di evitare conflitti di interesse; che altrettanto incostituzionale risultava la previsione di un termine ("non oltre il giorno fissato per le candidature") assai prossimo alla consultazione posto che la posizione di vantaggio potrebbe farsi valere anche nel periodo precedente; che la qualifica di dirigente prevista dal n. 10 dell'art. 2 l.n. 154/81 non può essere equiparata a quello di mero amministratore; che la normativa, infine, appariva incostituzionale anche alla luce del nuovo diritto societario che ha determinato un evidente incremento dell'autonomia dell'organo gestionale rispetto la maggioranza assembleare; concludeva per la inammissibilità del ricorso o il suo rigetto per infondatezza, previa eventuale rimessione delle questioni di costituzionalità al Giudice delle leggi.
Interveniva volontariamente in giudizio, nella qualità di elettore, Stefano Ferro avvalendosi dell'azione popolare di cui all'art. 19 legge n. 108/68 ed associandosi alle difese del controricorrente.
Interveniva altresì il P.M.
Con sentenza 2/11/05 l'adito Tribunale di Venezia accoglieva il ricorso e, accertata l'ineleggibilità dell'Astolfi, lo dichiarava decaduto dalla carica di consigliere regionale.
Avverso detta pronuncia, con ricorso depositato il 9/12/05, Stefano Ferro proponeva appello; analoga impugnazione, con ricorso depositato il 16/12/05, proponeva l'Astolfi; si costituiva per resistere ad entrambe le impugnazioni il Padrin; interveniva in ambedue i procedimenti, poi riuniti all'udienza collegiale odierna, il P.M.
La Corte, previa discussione delle parti, pronunciava il dispositivo in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Tribunale per quanto ancora interessa, ha dapprima affermato la sicura indipendenza e alternatività tra l'azione di impugnazione della delibera consiliare di convalida degli eletti e di quella popolare di contestazione, con la precisazione che la seconda è svincolata da termini decadenziali, senza peraltro che il procedimento amministrativo possa incidere sulla sua proponibilità; ha quindi sottolineato come detta ultima azione, spettando in linea di principio ad ogni elettore, possa essere esercitata anche dal candidato, quale era il Padrin, senza che una tale posizione lo escluda dal novero dei legittimati; ha poi rilevato, nel merito, che la fattispecie in esame non si attaglia alla previsione di cui al n. 11 dell'art. 2 l. n. 154/81 ("amministratori e dipendenti .....di istituto, consorzio o azienda dipendente....") ma che il caso è assumibile piuttosto nella ipotesi di cui al n. 10 ("legali rappresentanti e dirigenti delle società con capitale maggioritario...."), ipotesi che configura, atteso il chiaro tenore letterale, un caso di ineleggibilità e non (come pure prospettato dall'Astolfi) di incompatibilità; che detta disposizione trova applicazione nei confronti di tutti coloro che rivestono cariche implicanti l'esercizio di poteri gestori, tali da condizionare la par condicio tra i candidati e che la nozione di dirigente non è da intendersi nel senso proprio di cui all'art. 2095 cc ma con riferimento alla posizione di quanti concorrono alla elaborazione delle scelte gestorie e di politica economica della società; che l'impedimento alla candidatura previsto dal n. 10, considerate le finalità della legge, deve essere rimosso nel termine perentorio previsto e cioè antecedentemente alla celebrazione delle elezioni, poiché solo in tal modo è possibile evitare la captatio benevolentiae e il metus pubblicae potestatis che la legge prefigura con una presunzione iuris et de iure; che la inclusione nel solo "listino" del Presidente non può significare che il candidato non partecipi alla campagna elettorale o non sia stato eletto dagli aventi diritto al voto mentre è certo che egli, partecipando alla campagna elettorale, ha comunque goduto della sua posizione di privilegio all'interno della società partecipata, privilegio che va visto con riferimento non solo ai candidati della sua stessa coalizione ma alla totalità di essi.
Il Tribunale ha conseguentemente escluso il profilo di incostituzionalità all'uopo prospettato e negato che l'articolo 2 della legge 154/81 sia stato tacitamente abrogato dalla normativa successiva posto che la legge n. 165/04 è una legge quadro che abbisogna di norme di dettaglio da emanarsi dalle regioni interessate e che la Regione Veneto non ha ancora provveduto in tal senso; ha quindi ritenuto manifestamente infondate tutte le ulteriori eccezioni di incostituzionalità sollevate dal resistente e dall'interventore.
Con i motivi di appello l'Astolfi eccepisce innanzitutto la nullità della sentenza impugnata per avere il Tribunale letto il dispositivo non immediatamente all'esito della orale discussione ma , sia pure nella stessa giornata, dopo la trattazione di altre cause e dunque con palese soluzione di continuità tra la stessa discussione e la sua lettura, come peraltro dimostrato dalla sottoscrizione di un primo verbale e di uno successivo, questo relativo, quindi, ad una diversa udienza.
Reitera inoltre la eccezione di improponibilità del ricorso in difetto di previa impugnazione della delibera di convalida (delibera formalmente intervenuta solo il 21/9/05) anche laddove per il superamento dei termini previsti dalla legge (7/8/05) dovesse ritenersi intervenuta una forma di convalida tacita; assume che in difetto di tale delibera mancherebbe lo stesso interesse ad agire che rappresenta la condizione essenziale per la proponibilità della domanda; configura tale interesse come presupposto processuale dell'azione, con irrilevanza della sua sopravvivenza e sottolinea come il Tribunale sia prevenuto alla diversa decisione in conseguenza di una evidente confusione tra l'azione volta a far dichiarare la ineleggibilità, che deve necessariamente attendere la convalida dell'elezione, e quella volta invece alla decadenza, che può essere fatta valere in ogni momento anche perché riguardante fattispecie sopravvenute alla elezione.
L'appellante ribadisce inoltre l'infondatezza nel merito dell'originario ricorso deducendo nuovamente l'inapplicabilità dell'ipotesi di cui n. 10 dell'art. 2 l. 154/81; in proposito sottolinea che con il nuovo sistema elettorale regionale, introdotto dalla l. n. 43/95, parte dei candidati è eletto con metodo maggioritario per essere iscritti nel c.d. listino del Presidente e che per costoro, come dunque per esso appellante, non vi è alcuna possibilità di influenza sul voto posto che la loro elezione è determinata da quella del Presidente, ancor più come nella specie in cui la posizione nel listino (dodicesima) accentuava addirittura l'interesse ad una raccolta dei voti per la coalizione collegata al Presidente inferiore al limite del 50%, l'unico che consentiva di eleggere tutti i candidati del listino (al fine di garantire la maggioranza) e non solo i primi sei, come nell'ipotesi in cui la coalizione raccolga già, nella parte proporzionale, la maggioranza dei consiglieri regionali. In via subordinata a tale conclusione domanda che la Corte sollevi questione di costituzionalità della normativa in esame nella parte in cui equipara le cause di ineleggibilità dei candidati eletti nella parte proporzionale con quelli eletti invece nel c.d. listino.
Con le ulteriori censure l'Astolfi critica l'impugnata sentenza laddove ha negato che la nuova legge quadro n. 165/04, in mancanza di una disciplina regionale adeguatrice dei principi espressi, fosse applicabile in luogo della normativa di cui alla l. 154/81; dopo aver dedotto che anche i principi contenuti in una legge "cornice" sono in grado di abrogare le regole di dettaglio previste da preesistenti leggi regionali e precisato che egli non ha mai prospettato l'abrogazione ma solo che la vecchia legge va interpretata alla luce della successiva, atteso che la prima non mira ad evitare la captatio benvolentiae o il metus pubblicae potestatis ma piuttosto il conflitto di interesse tra l'eletto e l'ente, mentre la seconda (all'art. 2) apertamente persegue quelle e solo quelle finalità, riconducendo invece il conflitto alle ipotesi di incompatibilità (art. 3), ha evidenziato difatti che la nuova normativa realizza in definitiva una abrogazione implicita della precedente.
In subordine domanda che la Corte sollevi questione di costituzionalità della normativa del 1981 in relazione alle disposizioni della Costituzione in materia che ne impongono una reinterpretazione alla luce dei nuovi principi oppure con riguardo al principio di eguaglianza poiché la normativa regionale non avrebbe potuto omettere di regolare la ineleggibilità conformemente alla nuova legge e non avendolo fatto pone i suoi cittadini in una posizione di evidente discriminazione con quelli di altre regioni che hanno adottato le norme di dettaglio.
Reitera ancora l'eccezione di illegittimità costituzionale, ab origine, della legge n. 154/81, nella parte in cui riconducendo un'ipotesi di incompatibilità (conflitto di interesse) alla ineleggibilità, cionononostante ancora la sua valenza non al momento della elezione, quando cioè il conflitto rileva, ma della sola candidatura; sotto diverso profilo ribadisce che la incostituzionalità sussiste anche per il termine irragionevolmente fissato con riferimento alla presentazione delle candidature posto che l'eventuale influenza sul voto potrebbe essere esercitata anche prima e la sua brevità risulta del tutto inidonea ad evitare la captatio benevolentiae e il metus pubblicae potestatis.
Critica infine l'estensione analogica del disposto del n. 10 dell'art. 2 l. n. 154/81 della nozione di dirigente anche ai semplici componenti del consiglio di amministrazione non dotati di poteri di rappresentanza ed evidenzia che l'amministratore privo di deleghe, come esso appellante, non ha alcuna concreta possibilità di influenzare il corpo elettorale.
Eccepisce ancora l'incostituzionalità dell'art. 2 n. 10, in riferimento agli artt. 1,2,3,5 e 97 Cost., nella misura in cui sancisce l'ineleggibilità del rapp. legale e del dirigente di una spa con capitale maggioritario della Regione mentre l'art. 3 della stessa legge si limita a sancire la sola incompatibilità alla carica di consigliere dell'amministrazione di "ente, istituto o azienda" che sono soggetti a vigilanza della stessa Regione e dunque anche di una srl con evidente discriminazione in ragione della sola forma della società partecipata (situazione riprodotta anche nel più recente T.U. n. 267/00); incostituzionalità ancor più palese per effetto delle nuove norme del diritto societario che, separando in misura assi marcata l'organo amministrativo dalla maggioranza societaria e dunque sancendone una sua evidente autonomia, renderebbero del tutto irragionevole la causa di ineleggibilità.
Censure in gran parte analoghe ha proposto il Ferro che, però, non possono esaminarsi posto che il suo intervento in causa è inammissibile difettando della necessaria legittimazione, difetto com'è noto rilevabile in qualsiasi stato e grado del giudizio con solo limite del giudicato (nelle specie il Tribunale non ha in alcun modo delibato sul punto).
L'azione popolare correttiva, che consente ad ogni elettore di agire o intervenire in giudizio per invocare il controllo giurisdizionale sul rispetto delle norme in materia di ineleggibilità, è volta ad ottenere una pronuncia di ineleggibilità a tutela dell'interesse pubblico mentre nella specie il Ferro, intervenendo ad adiuvandum dell'Astolfi, cioè del resistente,persegue un interesse diverso da quello che la legge gli accorda, così piegando l'azione proposta a scopi che non le sono propri (Cass. 7142/91).
Le censure dell'Astolfi sono tutte infondate così come manifestamente infondate si palesano le eccezioni di incostituzionalità riproposte in questo grado.
Deve innanzitutto escludersi che la sentenza impugnata sia affetta da nullità per i profili prospettati (nullità che peraltro si convertirebbe in motivo di gravame e certo non imporrebbe la rimessione al primo giudice. Cass. 15371/03, con la conseguente, sostanziale ininfluenza sul giudizio che, in questa fase, vede investito il giudice di appello di tutte le questioni affrontate da quello di prime cure); è pacifico difatti che il Tribunale ha letto il dispositivo in udienza e appare palesemente pretestuoso individuare nella sola lettura, avvenuta dopo l'intervallo costituito dalla discussione e deliberazione di altre cause, una sorta di udienza diversa da quella ove le parti hanno discusso la causa e questo per il fatto che il verbale risulta sottoscritto dal Presidente e dal Cancelliere sia all'esito della discussione che della lettura del dispositivo.
Inoltre è consolidato in giurisprudenza il principio che una siffatta modalità (intervallo tra la discussione e la lettura in conseguenza della trattazione di altre cause) non configura una ipotesi di nullità (Cass. 7830/95 e 12061/95), nemmeno quando la lettura avvenga ad una udienza diversa (ma non è questo il caso) da quella di discussione (Cass. 5877/04).
Riguardo la proponibilità dell'azione popolare in difetto di previa impugnazione della delibera di convalida va precisato che l'appellante, contraddittoriamente, prima deduce che una siffatta situazione escluderebbe lo stesso interesse alla pronuncia, interesse che configura una condizione dell'azione e dunque sarebbe di certo maturato prima della decisione, posto che risulta incontroverso che nelle more (il 21/9/05) detta delibera è intervenuta, e poi assume che l'impugnativa della delibera di convalida integra un presupposto processuale, con la conseguenza che anche la sua sopravvenienza non sanerebbe la originaria improponibilità della domanda.
Ora, la più recente giurisprudenza, che questo Collegio condivide, ha ben evidenziato che l'art. 7 della legge n. 154/81, concernente la fase amministrativa della convalida, non ha abrogato l'art. 9 bis della legge n. 1147/66 che consente la immediata denuncia di ineleggibilità a prescindere dalla delibera di convalida e dalla conclusione del procedimento amministrativo (Cass. 7697/98) e che detta azione si pone su di un piano di assoluta autonomia rispetto alla medesima delibera e alla sua impugnazione posto che è data al cittadino elettore anche a tutela di deliberazioni che possono essere soggette a logiche politiche di maggioranza in difesa di propri esponenti, cosicché essa può essere proposta in assenza di un deliberato consiliare come a prescindere dalla sua impugnativa (Cass. 7886/94, 4597/97, 7697/98, 18128/02).
Peraltro, quand'anche si volesse aderire alla tesi dell'appellante, pare davvero evidente che la fattispecie "elettorale", che agirebbe quale condizione per l'esercizio dell'azione, si è comunque, nelle more del giudizio, completata, dunque maturando prima della decisione.
Riguardo invece la ribadita inapplicabilità della fattispecie in esame alla nuova legge elettorale regionale ed in particolare per i candidati eletti nel c.d. listino del Presidente, deve sottolinearsi che il meccanismo elettorale non incide affatto sulla ricorrenza della ipotesi di ineleggibilità poiché il candidato nel listino partecipa alla campagna elettorale e questo solo è sufficiente a integrare il pericolo, che la legge accerta con una presunzione iuris et de iure, di alterazione della par condicio, non solo riguardo i candidati della medesima lista o coalizione collegata al candidato alla Presidenza della Giunta ma anche tutti gli altri partecipanti alla elezione.
Né può ragionevolmente dubitarsi della costituzionalità della norma di cui al n. 10 dell'art. 2 della l. n. 154/81 solo perché, rispetto ai candidati nella parte proporzionale, l'inclusione nel listino integrerebbe una sorta di inferiore potenzialità di condizionamento; anche qui basterebbe rilevare che quand'anche fosse esatto quanto prospettato (ma si tratta in verità di una mera congettura) la sola possibilità di condizionamento sarebbe del tutto sufficiente non solo ad accordare alla norma una sicura ragionevolezza ma anche ad escludere un'ipotesi di palese disparità di trattamento.
Circa la implicita abrogazione della normativa in esame per effetto della disciplina introdotta dalla l. n. 165/04 (precisato che anche in questo caso l'appellante contraddittoriamente prima afferma che non si è avuta abrogazione ma che la vecchia norma deve necessariamente interpretarsi alla luce delle disposizioni della più recente, ma poi comunque ne prospetta la caducazione) occorre rilevare come la premessa secondo la quale il n. 10 del comma primo della legge n. 154/81 codifica un'ipotesi di conflitto di interesse, che dovrebbe quindi ricondursi alla incompatibilità e non alla ineleggibilità, e pertanto risulterebbe inconciliabile con l'art. 2 della legge 165/04 , che invece disciplina solo casi di ineleggibilità, è sostanzialmente priva di rilievo perché anche la posizione di conflitto è idonea a configurare quei pericoli di condizionamento del voto che la legge mira ad evitare (confr. ad es. Cass. 2777/83); in altri termini, la ineleggibilità può ragionevolmente comprendere anche profili di conflitto di interesse poiché anche l'appartenenza, come nella specie, a società pubbliche è in grado di inquinare la par condicio, per aspetti che paiono così evidenti da non doversi spiegare; peraltro, aderendo alla prospettazione dell'Astolfi, la norma non sarebbe stata applicabile sin dall'origine poiché sin dall'origine avrebbe travasato nella ineleggibilità una ipotesi di incompatibilità.
Ora, che la nuova legge espressamente richieda una idoneità della funzione svolta a condizionare "...in modo diretto la libera decisione di voto....", per il ragionamento esposto, non ha nessun rilievo, considerato che le ipotesi regolande di ineleggibilità potranno sicuramente comprendere anche profili che coincidano con quel conflitto che consiglia (anche) la incompatibilità, profilo che dunque non è esclusivo di detta ultima causa, la quale, naturalmente, a differenza della ineleggibilità, può manifestarsi e concretarsi anche successivamente alla elezione.
Nel contempo, se si vuole ritenere con la censura in oggetto che la nuova disciplina abbia abrogato in toto la precedente ancor prima che le Regioni emanino le norme di dettaglio, è del tutto evidente, come sottolineato dal Tribunale, che si verificherebbe un inammissibile vuoto legislativo non altrimenti colmabile (non certo rilasciando al giudice, come pure si è prospettato all'odierna udienza, di determinare caso per caso, in conseguenza della asserita abrogazione, le ipotesi di ineleggibilità, con una patente violazione del principio della riserva di legge cui si sostituirebbe, pur nell'ambito dei principi di cui all'art. 2 della l. 165/04, una enucleazione di natura pretoria).
Del resto, sempre alla stregua delle considerazioni già svolte, che la norma contempli una ipotesi in astratto riferibile al conflitto di interesse e la configuri come causa di ineleggibilità non la rende di per se stessa, ab. origine, incostituzionale, anche se per effetto di tale scelta la causa (di ineleggibilità) deve essere necessariamente rimossa prima della elezione e non dopo; non si tratta cioè di una scelta irragionevole o discriminatoria e in questo senso può ricordarsi come per i dipendenti e solo per essi la stessa disposizione consente anche, in luogo delle dimissioni, la richiesta di aspettativa, sicchè è evidente che solo per alcune categorie le conseguenze della causa di ineleggibilità possono essere attenuate garantendo al candidato la conservazione del posto di lavoro (anche per effetto della nota sentenza n. 388/91 della Corte Cost. e di quelle ad essa successive).
Ancora infondata si palesa la prospettata incostituzionalità della norma in commento per la disuguaglianza che risulterebbe determinata dalla mancata approvazione da parte della Regione Veneto delle norme di dettaglio rispetto ai cittadini di altre regioni che invece godrebbero, in ipotesi di normazione regionale applicativa di quella nazionale, di una disciplina più favorevole; si tratta anche in questo caso, pur a voler tralasciare gli argomenti già ricordati, di una mera ipotesi sulla quale non può certo costruirsi un'eccezione di incostituzionalità con rimessione alla Corte per il suo scrutinio.
Né sembra davvero irragionevole la scelta di ancorare alla presentazione delle liste il termine ultimo per optare tra candidatura e carica ricoperta e così rimuovere la causa di ineleggibilità; non si vede difatti a quale altro momento avrebbe potuto rilasciarsi la scelta del candidato (se non in termini ancora più restrittivi e rigorosi, ma allora effettivamente irragionevoli) mentre la brevità e la asserita insufficienza del periodo per il quale il pericolo di inquinamento viene evitato non significa (posto che lo stesso candidato abbia un qualche interesse a lamentarsene) che la disposizione non conservi comunque l'idoneità al perseguimento delle finalità per le quali è sorta.
Circa la ricomprensione del componente del consiglio di amministrazione di una società partecipata dalla Regione tra i destinatari del precetto dell'art. 2 l. n. 154/81 è pacifico in giurisprudenza che la nozione di "dirigente" recepita nella norma non è da intendere nel senso proprio dell'art. 2095 cc, come indicativa di una particolare categoria di prestatori di lavoro subordinato, ma deve essere letta nel contesto normativo in cui è inserita cioè con specifico riguardo alla disciplina delle società per azioni e quindi alla posizione di quanti concorrono, come coloro che compongono il consiglio di amministrazione di una s.p.a., alla elaborazione delle scelte gestorie e di politica economica della società (Cass. 93/109701, 1992/00, 10779/03 17981/03).
In questo quadro, sembra del tutto infondato, da un lato, che la concreta situazione del Padrin, asseritamene privo di deleghe, possa sottrarlo all'applicazione della norma, posto che la sua partecipazione alle scelte gestorie della società è fuor di dubbio e, dall'altro, che la nuova normativa sull'assetto delle società di capitali, pur nella maggior autonomia riconosciuta agli amministratori, determini una diversa interpretazione della disciplina.
Riguardo l'ultima eccezione di incostituzionalità prospettata è noto al Collegio che il Tribunale di Massa, con ordinanza 10/12/04 (G.U. 6/4/05), ha investito la Corte Costituzionale; ciò non toglie che essa si palesi manifestamente infondata posto che le ipotesi considerate dall'art. 2 e dall'art. 3 della legge 154/81, riprodotte dagli artt. 60 e 63 del D.Lgs. n. 267/00 (queste invero oggetto della predetta ordinanza) sono del tutto diverse perché mentre l'art. 2 al n. 10 prende in considerazione la società partecipata dall'ente con capitale maggioritario (oggi per per l'art. 60 "superiore al 50% per effetto della modifica apportata con legge n. 168/05), dunque direttamente riconducibile all'ente stesso che, in tal modo, la controlla, il successivo art. 3 considera invece l'ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza, ove cioè il rapporto con l'ente "vigilante" è diverso e meno intenso (che poi la giurisprudenza abbia in alcuni casi esteso la causa di incompatibilità anche agli amministratori di srl partecipate non incide certo sulla ragionevolezza della diversa regolamentazione della ineleggibilità, posto che detta giurisprudenza ha inciso sulla sola incompatibilità, estendendone l'applicazione, e certo non ha "aggravato" le ipotesi di ineleggibilità).
L'appello dell'Astolfi va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
la Corte, definitivamente decidendo sugli appelli proposti da Stefano Ferro e Andrea Astolfi contro Leonardo Padrin avverso la sentenza n. 2354/05 di data 2/11/05 del Tribunale di Venezia, dichiara inammissibile il primo e rigetta il secondo; condanna gli appellanti Stefano Ferro e Andrea Astolfi, in solido, alla rifusione, in favore di Leonardo Padrin, delle spese del grado liquidate in complessivi Euro 7.300,00 di cui Euro 1000,00 per diritti ed Euro 6.000,00 per onorari e il residuo per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Venezia, 16/2/06

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