Menu veloce: Pagina iniziale | Consultazione | Filtri di selezione | Contenuto
Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 10 del 27 gennaio 2006


Sentenze e ordinanze

Ordinanza del 28 settembre 2005 emessa dal Tribunale amm. Regionale per il Veneto _ Venezia sul ricorso proposto da TIM Italia s.p.a. c/Comune di Sanguinetto ed altra

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, con l'intervento dei signori magistrati:
Lorenzo Stevanato Presidente f.f., relatore
Fulvio Rocco Consigliere
Alessandra Farina Consigliere
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 1652/05, proposto da TIM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Enrico Vedova, con elezione di domicilio presso lo studio dello stesso in Venezia-Mestre Piazza Ferretto 68, come da mandato a margine del ricorso;

CONTRO

il Comune di Sanguinetto, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
La Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Romano Morra e Luisa Londei, con elezione di domicilio presso l'Avvocatura regionale in Venezia _ Dorsoduro 3901;

PER

l'annullamento del provvedimento prot. N. 03903 del 5 maggio 2005 a firma del Responsabile del Settore tecnico del Comune di Sanguinetto.
Visto il ricorso, notificato il 5.7.2005 e depositato presso la Segreteria il 13.7.2005, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Veneto, depositato il 22.7.2005;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 19 settembre 2005 _ relatore il Presidente f.f. Lorenzo Stevanato _ gli avv.ti Enrico Vedova, per la parte ricorrente e Luisa Londei, per la Regione resistente;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con istanza presentata al Comune di Sanguinetto il 18 ottobre 2004 la TIM chiedeva l'autorizzazione, ai sensi del decreto legislativo 259/2003, per la realizzazione di una stazione radio base per telefonia cellulare presso la centrale per telecomunicazioni di proprietà della stessa ricorrente sita nel territorio del predetto Comune e precisamente, in via Cesare Battisti n. 19, e catastalmente identificata al mapp. 315 del Fg. 7.
La stessa TIM, con atto depositato il 20 ottobre successivo, provvedeva a richiedere all'A.R.P.A.V. _ Dipartimento Provinciale di Verona _ il rilascio del parere preventivo relativo alla realizzazione della stazione radio base di cui sopra, così come previsto dall'art. 87 del D.l.gs. n. 259/2003. Parere, questo, che vaniva favorevolmente rilasciato in data 11 novembre 2004.
Con provvedimento pervenuto alla TIM il 10 novembre 2004, il Comune di Sanguinetto negava, però, l'autorizzazione alla realizzazione dell'impianto de quo per contrasto con le disposizioni urbanistiche vigenti nel detto Comune.
Avverso il detto provvedimento la TIM ricorreva a questo Tribunale il quale, con decisione n. 730 del 9 febbraio 2005, accoglieva il ricorso ed annullava l'impugnato diniego.
Successivamente, con atto del 21 marzo 2005 prot. 02472 l'amministrazione comunale, considerato che l'impianto doveva realizzarsi nelle vicinanze di un bene sottoposto a vincolo monumentale e ritenendo che per la detta regione fosse necessario il parere della competente Sovrintendenza convocava, ai sensi dei commi 6 e 7 del D.Lgs 259/03, una conferenza di servizi con le amministrazioni interessate.
Sennonché con atto del 20 aprile 2005 l'amministrazione comunale, annullava ogni effetto relativo alla indetta conferenza di servizi e con successivo atto del 5 maggio 2005 prot. 03903 lo stesso Comune comunicava alla TIM che l'installazione della stazione radio base non poteva essere effettuata per mancanza di uno dei titoli autorizzatori previsti dall'art. 14 della legge regionale del Veneto n. 8/2005, nel frattempo entrata in vigore, e precisamente per mancanza del permesso di costruire.
La TIM, ritenendo che il detto provvedimento e gli atti ad esso presupposti presentino vizi di illegittimità, ne chiede l'annullamento sollevando altresì eccezione di legittimità costituzionale del citato art. 14 L.R. 8/05.
L'amministrazione comunale nel proprio provvedimento del 5 maggio 2005, richiamando quanto previsto nell'articolo 14 della legge Regione Veneto 25 febbraio 2005 n. 8, impedisce la realizzazione dell'impianto autorizzato ai sensi dell'art. 87 del D.Lgs 259/2003 per la mancanza del permesso di costruire previsto dal D.P.R. 380/2001.
Il provvedimento adottato dall'amministrazione comunale si fonda, esclusivamente, sulla norma regionale.
La questione relativa alla legittimità costituzionale della detta norma regionale diviene, quindi, l'elemento unico di valutazione del presente ricorso in quanto la dichiarazione di incostituzionalità di questa travolgerebbe, conseguentemente, l'impugnato atto del Comune.
Pubblicata nel BUR Veneto n. 23 del 1° marzo 2005 e contenente "Disposizioni di riordino e semplificazione normativa _ Collegato alla finanziario 2004 in materia di edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità, urbanistica ed edilizia" la legge regionale del Veneto n. 8 del 2005 ha dettato, tra l'altro, una nuova disciplina per l'installazione, la modifica e l'adeguamento degli impianti per la telefonia mobile nel territorio della detta Regione.
L'articolo 14 prevede, infatti, quanto di seguito giova riprodurre:
1. Ai fini della verifica di compatibilità igienico-sanitaria, l'installazione, la modifica e l'adeguamento degli impianti per la telefonia mobile, nonché la modifica delle caratteristiche di emissione dei medesimi, è subordinata al rilascio del provvedimento autorizzatorio da parte dei comuni territorialmente interessati nelle forme e nei tempi previsti dall'articolo 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 "Codice delle comunicazioni elettroniche" .
2. Ai fini della conformità urbanistica ed edilizia l'installazione, la modifica e l'adeguamento degli impianti per la telefonia mobile necessitano del rilascio del permesso di costruire ai sensi degli articoli 10 e 3, comma 1, lettere e.2) ed e.4) del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia".
Il legislatore regionale veneto ha, così, introdotto la necessità, per il gestore del servizio di telefonia mobile, di ottenere un doppio titolo autorizzatorio per poter realizzare o modificare gli pianti necessari alla fornitura del detto servizio.
Prima di procedere all'analisi delle dette questioni di legittimità, si ritiene opportuno premettere che a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo D.Lgs 259/2003 era stata sollevata la questione se il titolo autorizzatorio rilasciato dagli enti locali _ a seguito del parere dell'Organismo competente ad effettuare i controlli di cui all'art. 14 della legge 2 febbraio 12001 n. 36, della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della citata legge 22 febbraio 2001 n. 36 e relativi provvedimenti di attuazione (art. 87 del D.Lgs 259/2003) _ assorbisse, o meno, anche le valutazioni di carattere urbanistico edilizio.
Secondo la tesi del non assorbimento, le norme dettate in materia di comunicazioni elettroniche, non contenendo alcuna esplicita abrogazione delle norme edilizie e, in particolare, di quelle contenute nel T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con D.P.R. 380/2001, si affiancherebbero al procedimento dettato dalle norme di settore, con conseguente necessità di ottenere, per la materiale realizzazione degli impianti di telefonia mobile, oltre che dell'autorizzazione ai sensi dell'art. 87, anche del permesso di costruire.
Tale circostanza avrebbe trovato conferma nell'articolo 86 del Codice delle comunicazioni elettroniche, ove le infrastrutture di comunicazione sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'articolo 16, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380.
L'espresso richiamo alla normativa vigente applicabile alle dette opere, contenuto nell'art. 86, avrebbe comportato, secondo la citata opinione, l'applicazione delle norme edilizie (art. 3 del D.P.R. 380/2001) che impongono il rilascio del permesso di costruire.
La giurisprudenza amministrative, chiamata a decidere sul punto, dopo una prima fase di incertezza, si è decisamente orientata vero l'altra tesi dell'assorbimento affermando, tra l'altro, che:
- la realizzazione delle stazioni radio base per telefonia cellulare, per il principio di specialità, deve ritenersi disciplinata dalle norme di cui al D.Lgs n. 259/03 e non anche da quelle di cui al D.P.R. n. 380/01, alle quali ultime il provvedimento impugnato si riferisce (TAR Lazio, sez. II bis, ord. 20 maggio 2004, n. 2794):
- L'istanza della ricorrente è disciplinata dal D.Lgs 259/03 che non subordina la realizzazione e l'esercizio dell'impianto al conseguimento di titoli diversi da quello indicato (autorizzazione espressa o tacita) (TAR Lombardia _ Milano _ sez. 1, ord. 19 maggio 2004, n. 1353, si veda anche l'ord. 11 novembre 2004, n. 2781);
- Per l'installazione dell'impianto in questione non è affatto necessario il permesso di costruire dovendosi applicare, per il principio di specialità, le orme di cui al D.Lgs n. 259/03, che non prevedono affatto tale titolo edilizio (TAR Campania, Napoli, sez. I, 24 marzo 2004, n. 4041);
- L'autorizzazione rilasciata ex art. 87 del D.Lgs. 259/03 ( o il silenzio che si sia formato sulla relativa istanza), tenuto conto della specialità della normativa recata dal codice delle comunicazioni elettroniche, ha anche valenza edilizia, essendo onere dell'amministrazione comunale, nel perseguimento dell'esigenza di semplificazione amministrativa indicata dallo stesso art. 87, comma 9, svolgere all'interno dello stesso procedimento anche la necessaria fase istruttoria inerente al giudizio di conformità urbanistica del progetto presentato, con assorbimento, quindi, del permesso di costruire (TAR Veneto, sez. II, sent. 1° dicembre 2004, n. 4234; idem, sent. 8 settembre 2004, n. 3296; idem, sent. 28 luglio 2004 n. 2555; idem, sent. 28 luglio 2004 n. 2561).
In tale senso si è espresso, anche, il Consiglio di Stato (Sez. VI, 11 gennaio 2005 n. 100; id., 5.8.2005 n. 4159) chiarendo, tra l'altro, che le valutazioni di tipo urbanistico _ edilizie devono ritenersi assorbite nel procedimento disciplinato dall'art. 87 del D.Lgs. 259/2003 e ciò sia per ragioni teleologiche ma anche testuali e sistematiche, confutando, così, la tesi del doppio procedimento.
Non vi è dubbio _ afferma il Consiglio di Stato _ che i criteri.... della previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture, della riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché della regolazione uniforme dei medesimi procedimenti, risulterebbero irrimediabilmente vanificati se il nuovo procedimento fosse destinato non a sostituirsi ma ad abbinarsi, peraltro in modo non coordinato sotto il profilo temporale, a quello previsto dal T.U. in materia edilizia.
Sull'interpretazione della norma statale il diritto vivente è perciò assestato nei termini appena esposti.
Sennonché, come ricordato sopra, la Regione Veneto ha ritenuto di dover introduttore, per gli impianti da realizzarsi nel proprio territorio, il doppio binario: autorizzazione ai sensi dell'articolo 87 del D.Lgs. 259/2003, ai fini della compatibilità igienico-sanitaria; permesso di costruire ai sensi degli articoli 10 e 3, comma 1, lettere e.2) ed e.4) del D.P.R. 380/2001 _ ai fini della compatibilità urbanistico-edilizia.
Quindi, con la legge regionale si è proceduto ad una duplicazione di un procedimento che, secondo la legge statale ed il diritto vivente formatosi su di essa è unico.
Ciò premesso, la norma regionale è sospettabile di conflitto con il D.Lgs 259/2003 e con le direttive a cui, con tale decreto si è data attuazione in applicazione di quanto previsto nell'art. 41 della legge 166/2002, per le ragioni che seguono.
E' noto che, con il Decreto Legislativo 259/2003 si sono recepite nell'ordinamento nazionale le direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio 2002/19/CE, 2002/20/CE 2002/21/CE e 2002/22/CE del 7 marzo 2002.
Il legislatore comunitario ha, attraverso tali direttive, perseguito l'obiettivo di realizzare un mercato interno unico delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica dettando una disciplina organica del settore mediante l'armonizzazione e la semplificazione delle norme e delle condizioni di autorizzazione al fine di agevolarne la fornitura in tutta la Comunità (art. 1, Dir. 2002/20/CE).
In particolare, l'art. 4 della direttiva 2002/20/CE riconosce alle imprese autorizzate ai sensi dell'art. 3 il diritto di:
a) fornire reti e servizi di comunicazione elettronica;
b) far si che si esamini la loro domanda per la concessione dei necessari diritti di installare strutture in conformità all'art. 11 della direttiva 2002/21/CE (direttiva quadro).
Quest'ultima direttiva, al fine di garantire che le procedure previste per la concessione del diritto di installare strutture siano tempestive, non discriminatori e trasparenti, oltre che assicurarsi che vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed effettiva ha, all'art. 11, previsto, tra l'altro, l'impegno degli Stati membri ad assicurare che, nell'esaminare le istanze volte alla installazione di infrastrutture per le comunicazioni elettroniche le autorità competenti agiscano in base a procedure trasparenti e pubbliche, applicate senza discriminazioni ne ritardi e nel rispetto dei principi di trasparenza e non discriminazione nel prevedere condizioni per l'esercizio di tali diritti.
Semplificazione, trasparenza, non discriminazione e tempestività sono, quindi, i criteri dettati dal legislatore comunitario ai quali si dovevano attenersi gli Stati membri nel dettare le norme procedurali destinate a regolare l'installazione degli impianti di comunicazione.
A detti criteri si è ispirato il legislatore nazionale nel dettare i principi direttivi cui il Governo doveva attenersi nel esercizio della delega conferita per il recepimento delle norme comunitarie.
L'articolo 41 della legge 1° agosto 2002 n. 166 ha, infatti, previsto espressamente che, il Governo nell'esercizio della delega conferita avrebbe dovuto prevedere procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture (comma 2 n. 3), procedendo, altresì, alla riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi nonché regolazione uniforme dei medesimi procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di autorizzazioni per la installazione delle infrastrutture di reti mobili in conformità ai principi di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241 (comma 2, n. 4).
A tali principi si è ispirato il procedimento previsto nell'art. 87 del D.Lgs 259/2003.
La Corte costituzionale nella recente sentenza n. 336 del 2005 ha invero osservato che "nella fase di attuazione del diritto comunitario la definizione del riparto interno di competenze tra Stato e Regioni in materie di legislazione concorrente e, dunque, la stessa individuazione dei princip¿ fondamentali, non può prescindere dall'analisi dello specifico contenuto e delle stesse finalità ed esigenze perseguite a livello comunitario. In altri termini, gli obiettivi posti dalle direttive comunitarie, pur non incidendo sulle modalità di ripartizione delle competenze, possono di fatto richiedere una peculiare articolazione del rapporto norme di principio-norme di dettaglio. Nella specie, la puntuale attuazione delle prescrizioni comunitarie, secondo cui le procedure di rilascio del titolo abilitativo per la installazione degli impianti devono essere improntate al rispetto dei canoni della tempestività e della non discriminazione, richiede di regola un intervento del legislatore statale che garantisca l'esistenza di un unitario procedimento sull'intero territorio nazionale, caratterizzato, inoltre, da regole che ne consentano una conclusione in tempi brevi."
Da ciò il sospetto di conflitto tra i su richiamati principi e criteri e la norma dettata dal legislatore regionale.
La detta norma, infatti, prevedendo la duplicazione del procedimento autorizzativo comporta un allungamento dei tempi necessari per la realizzazione degli impianti di telefonia mobile concretizzando quel ritardo e quell'aggravamento della procedura che la pongono in antitesi con i principi di concentrazione, tempestività e semplificazione contenuti nelle sopra citate norme comunitarie, e nelle norme di recepimento delle medesime: art. 41 della legge 166/2002 e decreto legislativo 259/2003.
La deviazione della norma regionale dai principi comunitari contenuti nelle predette direttive, così come recepiti dal legislatore nazionale, comporta il mancato rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario ex artt. 11 e 117 cost..
Anche rispetto all'istituto della conferenza di servizi, introdotto all'art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche, la norma regionale in discussione costituisce una deviazione.
Invero, in base al comma 6 dell'art. 87, in sede di esame delle istanze dirette all'adozione del provvedimento di autorizzazione all'installazione di un impianto di comunicazione elettronica, quando una amministrazione interessata abbia espresso motivato dissenso, il responsabile del procedimento deve convocare, entro trenta giorni dalla data di ricezione della domanda, una conferenza di servizi, alla quale prendono parte i rappresentanti degli enti locali interessati, nonché dei soggetti preposti ai controlli di cui all'art. 14 della legge n. 36 del 2001 ed un rappresentante dell'amministrazione dissenziente. Il comma 7 prosegue disponendo che la conferenza di servizi deve pronunciarsi entro trenta giorni dalla prima convocazione e che l'approvazione, adottata a maggioranza dei presenti, «sostituisce ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori».
Ebbene, la prescrizione normativa regionale in esame che impone il rilascio del permesso di costruire, come provvedimento distinto e separato dall'esito di un autonomo procedimento, depotenzia evidentemente l'esito della conferenza di servizi.
Com'è noto, tale istituto costituisce, in generale, uno strumento di semplificazione procedimentale e di snellimento dell'azione amministrativa (cfr. le sentenze della stessa Corte cost. n. 348 e n. 62 del 1993; n. 37 del 1991; cfr. anche sentenza n. 79 del 1996).
Nella citata sentenza n. 336 del 2005, la Corte non ha mancato di rilevare che "tale funzione, nel contesto dello specifico procedimento in esame e degli interessi allo stesso sottesi, consente di ritenere che la previsione contenuta nella disposizione censurata sia espressione di un principio fondamentale della legislazione".
La disposizione legislativa regionale sembra pori in contrasto anche con il comma 9 dell'art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche. Quest'ultimo disciplina una ipotesi di silenzio-assenso, prevedendosi che «le istanze di autorizzazione e le denuncie di attività» cui fa riferimento lo stesso articolo, «nonché quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione per il dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego». Il medesimo comma precisa che gli enti locali possono prevedere termini più brevi per la conclusione dei relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di semplificazione amministrativa, nel rispetto delle disposizioni stabilite dallo stesso comma.
Anche tale disposizione è ispirata ad un evidente criterio di semplificazione che _ secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 336/05 - reca "moduli di definizione del procedimento, informati alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità, espressivi in quanto tali di un principio fondamentale di diretta derivazione comunitaria.
Del resto, l'evoluzione attuale dell'intero sistema amministrativo si caratterizza per una sempre più accentuata valenza dei "princip¿ di semplificazione" nella regolamentazione di talune tipologie procedimentali ed in relazione a determinati interessi che vengono in rilievo (cfr. artt. 19 e 20 della legge 241 del 1990, come modificati dall'art. 3 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante «Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale», convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005 n. 80). Nel caso di specie, la pluralità delle esigenze e dei valori di rilevanza costituzionale sottesi alle "materie" nel cui ambito rientrano le disposizioni censurate, in una con la finalità complessiva di garantire un rapido sviluppo dell'intero sistema delle comunicazioni elettroniche (cfr. sentenza n. 307 del 2003) secondo i dettami sanciti a livello comunitario, induce a ritenere che le norme in esame siano espressione di principi fondamentali. Questa Corte ha, inoltre, già avuto modo di precisare _ sia pure con riferimento a procedimenti aventi una esclusiva valenza urbanistica - in relazione alla denuncia di inizio attività di cui all'art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), ora confluito nell'art. 22 del D.P.R. n. 380 del 2001, che «le fattispecie nelle quali, in alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si può procedere alla realizzazione delle opere con denuncia di inizio attività a scelta dell'interessato integrano il proprium del nuovo principio dell'urbanistica (....). In definitiva, le norme impugnate perseguono il fine, che costituisce un principio dell'urbanistica, che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure» (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2. del Considerato in diritto)".
Orbene, la norma regionale, duplicando i titoli autorizzativi necessari, indebolisce e sostanzialmente rende inutile il meccanismo del silenzio-assenso.
Alla luce di tali considerazioni, la norma regionale in esame aggrava il procedimento disciplinato dall'art. 87 d.lgs. 259/03 e sembra porsi in conflitto con gli anzidetti principi introdotti dallo stesso art. 87, suscitando il sospetto di incostituzionalità per contrasto tra la norma regionale e l'art. 117 della Costituzione nella parte in cui la Regione si è discostata dai principi di semplificazione e concentrazione fissati dal legislatore nazionale nel citato art. 87 d. lgs. 259/03.
Di qui la rilevanza e la non manifesta infondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 della L.R. 25.2.2005 n. 8, per contrasto con gli artt. 11 e 117 Cost..
Sospende quindi il giudizio ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per la risoluzione della prospettata questione.
Dispone che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notifica alle parti in causa ed al Presidente della Giunta Regionale e comunicata al Presidente del Consiglio Regionale del Veneto.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 19 settembre 2005.
Il Presidente f.f., estensore
Lorenzo Stevanato

Il segretario
Luciano Pezzin


TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
REGIONALE PER IL VENETO

Sezione Seconda
Sentenza del 19-9-05 n. 3601
Depositata nella Segreteria della Sezione il 28 SETT. 2005

txt-annessi

Torna indietro