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Bur n. 38 del 08 maggio 2009


Ordinanza n. 106 del 23 febbraio 2009 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sul ricorso proposto da Ditta Fardous Phone di El Fardous Fatima c/Comune di Padova.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione terza, con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti - Presidente
Marco Buricelli - Consigliere, rel. ed est.
Stefano Mielli - Referendario

ha pronunciato la seguente

Ordinanza

sul ricorso n. 2035 del 2008 proposto dalla Ditta Fardous Phone di El Fardous Fatima, in persona della titolare El Fardous Fatima, rappresentata e difesa dall'avv.Carlo Cappellaro e domiciliata presso la segreteria del t.a.r. ai
sensi dell'art. 35 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054;

Contro

il Comune di Padova, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avvocati Montobbio, Mizzoni, Lotto, Bernardi, Munari e Bicocchi, e domiciliato presso la segreteria del t.a.r. ai sensi dell'art. 35 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054,

per l'annullamento

del provvedimento del Comune di Padova - Settore commercio e attività economiche, prot. n. 0201912 del 25 luglio 2008, concernente rigetto della domanda di autorizzazione per l'esercizio di un centro di telefonia fissa - phone center nei locali di Padova, via G. Tiepolo, 28, e contestuale chiusura della attività, «in quanto all'interno dei locali destinati alla attività di telefonia viene esercitata l'attività di transfer-money - agenzia finanziaria, non considerata attività commerciale accessoria alla attività di telefonia e pertanto in contrasto con quanto previsto dall'art. 2, comma 3, e 12, comma 4 della Lr n. 32/2007».
Visto il ricorso, notificato il 28 ottobre 2008 e depositato in segreteria il 10 novembre 2008, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Padova, con i relativi allegati;
Vista l'ordinanza n. 929 del 26 novembre 2008, con la quale la sezione ha accolto la domanda di emanazione di misure cautelari presentata dal ricorrente «fino alla decisione, da parte della Corte costituzionale, della questione di legittimità costituzionale» dell'art. 12 della legge Reg. Veneto n. 32 del 2007; «questione che viene rimessa con separata ordinanza», con prosecuzione dell'esame della domanda cautelare nella camera di consiglio che sarà fissata dopo la comunicazione di tale decisione;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi, nella camera di consiglio del 26 novembre 2008 (relatore il consigliere Marco Buricelli), gli avvocati Cappellaro per la ditta ricorrente e Bicocchi per il Comune di Padova;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
1. - La ricorrente espone:
- di esercitare, nei locali siti in Padova, via G. Tiepolo, 28, l'attività di telefonia in sede fissa - phone center dal 16 aprile 2007, sulla base della licenza della Questura di Padova, come da domanda presentata in data 31 marzo 2006, in assenza della comunicazione di motivi ostativi nei successivi 60 giorni, e in seguito alla presentazione, in data 27 marzo 2006, della dichiarazione di inizio attività (D.I.A.) al Ministero delle comunicazioni;
- che i locali dove viene esercitata l'attività sono in possesso di regolare agibilità e rispettano le vigenti disposizioni in materia di sorvegliabilità;
- che le persone fisiche che gestiscono l'esercizio sono in possesso dei prescritti requisiti morali;
- che la legge regionale n. 32 del 2007, recante «regolamentazione dell'attività dei centri di telefonia in sede fissa (phone center)», all'art. 12 - norma transitoria, dispone che:
“1. I titolari dei centri di telefonia in sede fissa che già esercitano attività di cessione al pubblico di servizi telefonici alla data di entrata in vigore della presente legge sono tenuti a:
a) richiedere l'autorizzazione di cui all'articolo 4 al comune competente per territorio entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge;
b) porsi in regola con le prescrizioni previste dall'articolo 4, comma 3 e dall'articolo 9 entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvo proroga concessa dal comune, fino ad un massimo di dodici mesi, in caso di comprovata necessità e su istanza motivata.
2. Il comune dispone la chiusura immediata dei centri di telefonia in sede fissa di cui al comma 1 quando il titolare o il gestore o gli altri soggetti indicati dall'articolo 3, comma 3, non risultano in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 3, comma 1. 
3. Il comune effettua la ricognizione dei centri di telefonia in sede fissa di cui al comma 1 e ne dispone la chiusura in caso di decorrenza del termine di cui al comma 1, lettera b), senza che il titolare abbia provveduto a porsi in regola con le prescrizioni previste dall'articolo 4, comma 3 e dall'articolo 9.
4. Nei centri di telefonia in sede fissa di cui al comma 1 cessa, dalla data di entrata in vigore della presente legge, ogni attività diversa da quella di cui all'articolo 2, comma 2, lettere b) ed e)»;
- che l'art. 4 della legge reg. n. 32/2007 – funzioni autorizzatorie dei comuni, stabilisce che:
“1. L'apertura e il trasferimento di sede di un centro di telefonia in sede fissa sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio.
2. La domanda di rilascio dell'autorizzazione contiene tra l'altro copie della dichiarazione di inizio attività presentata al Ministero delle comunicazioni ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259 "Codice delle comunicazioni elettroniche" e della licenza rilasciata dal questore ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale".
3. Il comune rilascia l'autorizzazione previa verifica del possesso dei requisiti di cui all'articolo 3 (vale a dire dei requisiti morali) nonché:
a) della disponibilità, all'atto della presentazione della domanda, del locale nel quale s'intende esercitare l'attività;
b) dell'indicazione del gestore preposto all'esercizio, se diverso dal richiedente l'autorizzazione;
c) del rispetto delle vigenti norme legislative e regolamentari in materia edilizia, urbanistica, igienico-sanitaria, di tutela dall'inquinamento acustico, di sicurezza e prevenzione incendi nonché di destinazione d'uso dei locali e degli edifici e di sorvegliabilità;
d) del possesso della documentazione attestante la conformità delle apparecchiature di comunicazione utilizzate ai requisiti previsti dalla normativa comunitaria ...";
- che l'art. 9 disciplina i requisiti igienico-sanitari dei locali.
Come si è appena visto, l'art. 12 della legge reg. n. 32/2007 stabilisce che i centri di telefonia in sede fissa operanti alla data di entrata in vigore della legge, per adeguarsi ai citati requisiti ex art. 4, comma 3, nonché a quelli previsti dall'art. 9, hanno un anno di tempo, salvo motivata proroga per un ulteriore anno. A questo scopo il Comune effettua una ricognizione dei centri di telefonia in sede fissa operanti nel suo territorio e ne dispone la chiusura nel caso in cui non abbiano provveduto ad adeguarsi entro il predetto termine. L'ultimo comma dell'art. 12 prevede quindi che nei centri di telefonia in sede fissa, dalla data della entrata in vigore della legge, debba cessare ogni altra attività diversa dalla cessione al pubblico dei servizi telefonici e dall'attività commerciale ad essa accessoria (cfr. art. 2, comma 2, lettere b) ed e) legge cit.);
- di avere presentato al Comune di Padova, in data 15 febbraio 2008, rituale domanda di autorizzazione, ex art. 12, comma 1/a), per l'esercizio di un centro di telefonia in sede fissa - phone center con riferimento all'attività esercitata nei locali di via Tiepolo, 28. Nella domanda la ricorrente dichiara che «il money transfer è stato chiuso”;
- che il Comune, con nota in data 16 aprile 2008, ha comunicato l'avvio del procedimento di diniego e di chiusura dell'attività ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge 241 del 1990, in relazione all'esito di un sopralluogo, eseguito il 10 marzo 2008 dalla Polizia municipale presso i locali di via Tiepolo, nel corso del quale sarebbe stato accertato lo svolgimento, congiuntamente alla telefonia, dell'attività di money-transfer;
- di avere controdedotto all'avviso di avvio del procedimento ma che, nonostante ciò, con il provvedimento in epigrafe il Comune ha rigettato la domanda e ha disposto la chiusura dell'attività. Nel provvedimento impugnato il Comune richiama la nota del 18 marzo 2008 con la quale il Comando della Polizia municipale ha comunicato di avere accertato, nel corso del sopralluogo effettuato il 10 marzo 2008, che nei locali di Via Tiepolo viene esercitata, insieme all'attività di telefonia, quella di “transfer money”. Si richiama altresì l'art. 12 della legge reg. e si rigetta la domanda di autorizzazione comunicando che, conseguentemente, l'attività di telefonia non può essere esercitata. Il Comune muove, evidentemente, dall'assunto che l'attività di money transfer non costituisce attività commerciale accessoria ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2/e) della legge reg. n. 32/2007.
Avverso e per l'annullamento del provvedimento sopra riassunto la ditta ricorrente ha formulato cinque censure, concernenti: 1) illegittimità derivata per contrasto della legge reg. n. 32 del 2007 con gli articoli 3, 97 e 117 della Costituzione; 2 e 3) eccesso di potere per travisamento dei presupposti; 4) violazione dell'art. 107 del t. u. n. 267 del 2000 e 5) violazione degli articoli 2 e 20 della legge n. 241 del 1990 e 4, comma 4, della legge reg. n. 32 del 2007.
Il Comune di Padova si è costituito in giudizio, ha controdedotto e ha prodotto in giudizio il provvedimento n. 32 1248 del 24 novembre 2008 del dirigente capo settore commercio e attività economiche, di convalida del provvedimento impugnato, emesso il 25 luglio 2008 da un funzionario con incarico di posizione organizzativa.
Con ordinanza emanata nella camera di consiglio del 26 novembre 2008 il collegio, considerato che l'art. 12 della legge regionale del Veneto n. 32 del 2007, nelle parti in cui, anche per i centri di telefonia in sede fissa esistenti, prescrive l'obbligo di munirsi di autorizzazione comunale, pone il divieto immediato di esercitare attività diverse da quelle di cui all'art. 2, comma 2, lettere b) ed e), vale a dire cessione al pubblico di servizi telefonici e attività commerciale accessoria, e pone l'obbligo di porsi in regola entro un anno con tutte le nuove prescrizioni che riguardano la gestione dei “phone center”, sotto pena della chiusura, sembra presentare profili di incostituzionalità (cfr. C. cost., sent. n. 350/2008 sulla legge Reg. Lombardia n. 6/2006), tali da giustificare la sottoposizione della corrispondente questione dinanzi alla Corte costituzionale; che la questione anzidetta appare rilevante e che il pregiudizio derivante dalla esecuzione del provvedimento impugnato è grave e irreparabile, ha accolto la domanda di misure cautelari e, per l'effetto, ha sospeso l'esecuzione del provvedimento impugnato fino alla decisione, da parte della Corte costituzionale, della questione di legittimità costituzionale, che sarà rimessa con separata ordinanza, con la precisazione che l'esame ulteriore della domanda cautelare va rinviato alla camera di consiglio che sarà fissata dopo la comunicazione della decisione della Corte costituzionale (cfr. C. cost., n. 183/1997, 30/1995 e 451/1993).
2. - In diritto va premesso:
- che la convalida, sopravvenuta il 24 novembre 2008, del provvedimento impugnato, adottato il 25 luglio 2008, elimina il vizio di incompetenza relativa di cui l'atto convalidato avrebbe potuto essere affetto. Restano però fermi il contenuto e gli effetti lesivi del provvedimento sottoposto a convalida, fin dal momento della sua emanazione (25 luglio 2008);
- che l'ordine di esposizione delle censure seguito dalla ricorrente, e l'ordine di esame dei motivi secondo logica possono giustificare una analisi in via prioritaria della censura formulata sub 1), censura che, come si è detto sopra al p. 1., risulta imperniata sulla illegittimità derivata del provvedimento impugnato «per contrasto della Lr n. 32 del 2007 (più correttamente, dell'art. 12 della legge reg. cit., articolo di cui il Comune di Padova ha fatto applicazione) con i principi costituzionali in tema di competenze legislative delle Regioni nonchè con quelli sanciti
dagli articoli 3, 41 e 97 Cost.;
- che non sembra però inutile aggiungere che, anche a voler effettuare una delibazione circa la possibilità di definire il giudizio indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, la conclusione necessitata alla quale giungere dovrebbe essere ugualmente quella di sollevare questione di incostituzionalità. E infatti: la censura di incompetenza relativa è stata sanata mediante il provvedimento dirigenziale di convalida, mentre le violazioni di norme sul procedimento amministrativo alle quali la ricorrente fa riferimento nell'ambito della stessa censura di incompetenza sopra indicata, ove pure sussistenti, non avrebbero una rilevanza tale da determinare l'illegittimità del provvedimento finale, in disparte il rilievo secondo cui un eventuale annullamento dell'atto per le ragioni esclusivamente procedimentali descritte a pag. 13 ric. non precluderebbe il riesercizio del potere da parte della p.a. con risultati ugualmente sfavorevoli per la ricorrente; il travisamento dei presupposti dedotto alle pagine 10 e 11 ric. Non sussiste giacché, dal verbale 10 marzo 2008, prodotto in giudizio sub allegato 3 fasc. p.a., si ricava con chiarezza che al momento del sopralluogo la Polizia municipale aveva riscontrato la visualizzazione di una somma di denaro trasferita all'estero (€ 222,5), e che, nell'occasione, la titolare della Ditta aveva altresì dichiarato, a verbale, di svolgere, insieme alle attività di phone center e internet point, quella di transfer money; quanto poi alla assenta violazione degli articoli 2 e 20 della legge n. 241 del 1990, e dell'art. 4, comma 4, della legge reg. n. 32 del 2007, in relazione al silenzio-assenso che, così si sostiene nel ricorso, si sarebbe formato sulla domanda della Ditta Fardous Phone, la ricorrente non tiene conto del fatto che, in base a ciò che dispone l'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, la comunicazione del preavviso di rigetto interrompe i termini per concludere il procedimento, e i termini iniziano nuovamente a decorrere dalla data della presentazione delle osservazioni (vale a dire, nel caso di specie, dal 6 maggio 2008; circa la censura con la quale si sostiene che il Comune avrebbe dovuto applicare il sistema sanzionatorio di cui agli articoli 11, comma 3, e 10, comma 1, lett. d) della legge reg. n. 32/2007 e, quindi, non avrebbe potuto rifiutare il rilascio dell'autorizzazione a causa del solo esercizio, negli stessi locali del phone center, della attività di money transfer, attività, quest'ultima, da assoggettare esclusivamente a sanzione amministrativa pecuniaria, il collegio ritiene che, indipendentemente dalla possibile consistenza del motivo sopra riassunto, l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale sotto indicata sarebbe in grado di per sé di soddisfare in modo pieno l'interesse perseguito dalla ricorrente giacché, per effetto della dichiarata incostituzionalità del citato art. 12, verrebbe meno la necessità di uno specifico e autonomo provvedimento autorizzatorio comunale per consentire l'esercizio della attività di phone center e inoltre - e in particolare - la dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 4 dell'art. 12 eliminerebbe in modo radicale il sostegno sul quale si regge il provvedimento impugnato.
Tutto ciò premesso, e ribadito che con il provvedimento impugnato è stata rifiutata l'autorizzazione e, conseguentemente, è stata disposta la chiusura dell'esercizio di telefonia per la ragione descritta sopra, al p. 1., il collegio è dell'avviso che l'accoglimento, da parte della Corte costituzionale, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge reg. n. 32 del 2007, nelle parti in cui:
- dispone che i soggetti interessati sono tenuti a richiedere e a conseguire, dal Comune competente per territorio, l'autorizzazione all'esercizio di un centro di telefonia in sede fissa (phone center);
- pone il divieto immediato di esercitare attività diverse da quelle di cui all'art. 2, comma 2, lettere b) ed e), vale a dire dalla cessione al pubblico di servizi telefonici e dalle attività accessorie (nelle quali, secondo il Comune di Padova, non rientra l'attività di transfer money); e sancisce l'obbligo di porsi in regola entro un anno con tutte le nuove prescrizioni che riguardano la gestione dei phone center, sotto pena della chiusura, potrebbe soddisfare in maniera completa l'interesse fatto valere in giudizio dalla ricorrente.
Il collegio è, inoltre, dell'avviso che l'accoglimento della domanda di misure cautelari disposta con l'ordinanza n. 929 del 2008 non tolga rilevanza alla questione di legittimità costituzionale, dato che la sospensiva è stata accordata in via temporanea fino alla ripresa del giudizio cautelare successivamente alla pronuncia della Corte costituzionale e alla sua comunicazione al t.a.r.: la questione di legittimità costituzionale mantiene infatti la propria rilevanza qualora il giudice amministrativo abbia accordato la sospensiva in via provvisoria e interinale, fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalità, atteso che in tale situazione il potere di sospensiva del t.a.r. non sì è ancora esaurito (v. C. cost., sentenze n. 183 del 1997, 30 del 1995, 451
del 1993 e 444 del 1990).
Va aggiunto che appare esatta la premessa interpretativa dalla quale hanno preso le mosse sia il Comune, nell'adottare il provvedimento impugnato, sia la Ditta ricorrente nell'esporre la censura sub 1). Ci si riferisce al fatto che l'attività di trasferimento di denaro all'estero (Money Transfer) non può essere fatta rientrare, secondo ragionevolezza, nell'ambito della “attività commerciale accessoria, ... riferita a servizi e prodotti strettamente connessi alla cessione al pubblico di servizi di telefonia” (cfr. articoli 2, comma 2, lettera e) e 12, comma 4, legge reg. n. 32/2007). Il servizio di money transfer appare infatti analogo al servizio offerto dal sistema interbancario. Si tratta di un servizio che non implica necessariamente l'utilizzo dei servizi telefonici o telematici del phone center.
La legge reg. n. 32 del 2007 e, in particolare, la disciplina transitoria suindicata, nella parte in cui prescrive l'obbligo dell'autorizzazione comunale, nel rispetto dei requisiti di cui agli articoli 3, 4 e 9 legge cit., anche per i titolari di centri di telefonia in sede fissa che già esercitano attività di cessione al pubblico di servizi telefonici alla data di entrata in vigore della legge reg. n. 32/2007, sembra porsi in contrasto con l'art. 117 della Costituzione, in relazione al sistema di riparto delle competenze legislative Stato-regione.
La disciplina dei phone center non ricade infatti nella materia del commercio ma rientra nella materia del «servizio di comunicazione elettronica», come definito dal codice delle comunicazioni elettroniche, approvato con il d. lgs. n. 259 del 2003.
Su questo argomento, come è stato riepilogato da Corte costituzionale al p. 2. del «Considerato in diritto» della sentenza n. 25 del 2009, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 8 della legge Reg. Veneto n. 32 del 2007, la stessa Corte, nel dichiarare, con la sentenza n. 350 del 2008, l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006 sull'insediamento e la gestione dei centri di telefonia in sede fissa, «ha riconosciuto che l'attività svolta dai centri di telefonia in sede fissa è qualificabile, alla luce del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), come fornitura al pubblico di servizi di comunicazione elettronica (si vedano in particolare l'art. 25 e l'Allegato n. 9 del decreto legislativo n. 259 del 2003). Con la succitata sentenza, questa Corte ha precisato che la competenza statale in tema di comunicazioni elettroniche non riguarda solo «la definizione delle tecnologie concernenti gli impianti che, unitariamente, costituiscono la rete delle infrastrutture di comunicazione elettronica" (come asserisce la difesa regionale nel presente giudizio), ma l'intera serie delle infrastrutture relative alle reti ed i relativi servizi pubblici e privati che operano nel settore. Più in generale, questa Corte ha affermato che le disposizioni del suddetto codice intervengono in molteplici ambiti materiali, diversamente tra loro caratterizzati in relazione al riparto di competenza legislativa fra Stato e Regioni: sono, infatti, rinvenibili in questo settore titoli di competenza esclusiva statale (“ordinamento civile”, “coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale”, “tutela della concorrenza”), e titoli di competenza legislativa ripartita (“tutela della salute”, “ordinamento della comunicazione”, “governo del territori”). Vengono, infine in rilievo anche materie di competenza legislativa residuale delle Regioni, quali, in particolare, l’“industria” ed il “commercio”)» (così le sentenze n. 350 del 2008 e n. 336 del 2005).
Inoltre, fin dalla sentenza n. 336 del 2005 questa Corte ha riconosciuto che il codice delle comunicazioni elettroniche, al fine di adeguarsi alla normativa comunitaria, ha inteso perseguire «un vasto processo di liberalizzazione delle reti e dei servizi nei settori convergenti delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell'informazione (...) secondo le linee di un ampio
disegno europeo tendente ad investire l'intera area dei servizi pubblici».
Fra i principi fondamentali espressamente enunciati dall'art. 3 del Codice, in questa sede assumono particolare rilevanza quello secondo il quale sono garantiti «i diritti inderogabili di libertà delle persone nell'uso dei mezzi di comunicazione elettronica, nonché il diritto di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di concorrenza, nel settore delle comunicazioni elettroniche», e quello secondo cui «la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, che è di preminente interesse generale, è libera». Ed è rilevante che, proprio a proposito di questi principi, la citata sentenza n. 350 del 2008 sottolinei come sia «evidente che disposizioni del genere sono espressione della competenza esclusiva dello Stato in tema di "tutela della concorrenza" e di "ordinamento civile", prima ancora di costituire principi fondamentali in tema di "ordinamento della comunicazione"».
Coerentemente con questo assetto, l'art. 25 del Codice prevede che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica debbano semplicemente ottenere una autorizzazione generale da parte del Ministero delle comunicazioni, secondo il modello della denuncia di inizio attività. L'impresa pertanto è abilitata ad iniziare immediatamente la propria attività, salva la possibilità per il Ministero, che verifica l'esistenza dei presupposti e requisiti richiesti, di vietare motivatamente la prosecuzione dell'attività entro il termine perentorio di sessanta giorni.
Senza dubbio il legislatore, sia statale che regionale, è legittimato a porre limiti alle attività in oggetto: il terzo comma dello stesso art. 3 del Codice contempla «limitazioni derivanti da esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell'ambiente e della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione». Appare, inoltre, evidente - ha proseguito C. cost. n. 25/2009 – che possono essere fissati anche ulteriori limiti ... diversi da quelli espressi dalla specifica legislazione sulle comunicazioni elettroniche.
Vale forse aggiungere, alla sintesi sopra trascritta, che la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 350 del 2008, ha altresì statuito: che nell'attività posta in essere dai centri di telefonia sono rinvenibili alcuni degli elementi tipici degli esercizi commerciali, ma si tratta, tuttavia, “di elementi accessori e strumentali rispetto all'oggetto qualificante l'attività svolta dai centri di telefonia in sede fissa, consistente nella erogazione di un servizio di comunicazione elettronica. “Nei centri di telefonia, invero, lo scambio di un servizio verso la corresponsione di un prezzo afferisce a beni ed esigenze fondamentali della persona e, nel contempo, della comunità, coinvolgendo interessi individuali (correlati alla comunicazione con altre persone) e generali (difesa e sicurezza dello Stato; protezione civile; salute pubblica; tutela dell'ambiente; riservatezza e protezione dei dati personali), diversamente da quanto accade nelle ordinarie attività commerciali di cui all'art. 4 del decreto legislativo 31 marzo l998, n. 114 ...”;
- rispetto al “quadro normativo istituito dallo Stato membro” (v., in particolare, quanto statuito dall'art. 25 del Codice), si pone in contrasto la legge Reg. Lombardia n. 6 del 2006 la quale, “in nome della propria competenza legislativa in materia di commercio, pretende di disciplinare organicamente «l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa» (nuovi o già attivi alla data della entrata in vigore della legge reg. cit., “prevedendo, all'art. 4, la necessità di uno speciale provvedimento autorizzatorio, diverso ed ulteriore rispetto a quello previsto dall'art. 25 del Codice ...”;
- la legge Reg. Lombardia subordina il conseguimento dell'autorizzazione, alla sussistenza di requisiti alquanto eterogenei i quali - prosegue C. cost., n. 350/2008 – “si sovrappongono largamente ed in diversi ambiti, ai requisiti previsti dal codice e dalle leggi a cui questo rinvia e, soprattutto, contraddicono palesemente l'unicità del procedimento autorizzativo e le collegate esigenze di semplificazione e tempestività dei procedimenti”;
- confligge, dunque, con le scelte operate dal legislatore statale in tema di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica e di semplificazione procedimentale la introduzione, ad opera del legislatore regionale, di un vero e proprio autonomo procedimento autorizzatorio per lo svolgimento dell'attività dei centri di telefonia; ferma restando la possibilità per i comuni, tramite la loro potestà regolamentare, e le regioni, tramite la loro potestà legislativa, di disciplinare specifici profili incidenti anche su questo settore. Di qui l'illegittimità costituzionale, per violazione dei criteri di riparto delle competenze di cui all'art. 117 Cost., (non solo) delle disposizioni, della legge Reg. Lombardia n. 6/2006, “che configurano l'autorizzazione ivi prevista quale nucleo essenziale del prescelto regime amministrativo”, (ma anche) della “intera disciplina dei centri di telefonia”, dettata dal legislatore lombardo, e ciò per vizio di incostituzionalità derivato ex art. 27 della legge n. 87 del 1953.
Guardando ora più da vicino la fattispecie per cui è causa, al collegio sembra evidente che le statuizioni poste dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 350 del 2008 si riflettano sulla disciplina - transitoria, ma non solo - introdotta dalla Regione Veneto con l'art. 12 della legge n. 32 del 2007, nel senso che il citato art. 12, nelle parti in cui prescrive l'obbligo di munirsi di autorizzazione comunale, nel rispetto dei requisiti di cui agli articoli 3, 4 e 9 della legge stesa, e pone l'obbligo di porsi in regola entro un anno con tutte le nuove prescrizioni che riguardano la gestione dei phone center, sotto pena della chiusura, sembra confliggere con l'art. 117 della Costituzione per le ragioni, sopra riassunte, enunciate nella sentenza n. 350 del 2008 emessa dalla C. cost. con riferimento, per quanto qui più interessa, alle disposizioni, similari rispetto a quelle che rilevano nel giudizio odierno, di cui agli articoli 1, 4, 9 e 12 della citata legge Reg. Lombardia.
A ciò va aggiunto che l'art. 12, comma 4, della legge reg. n. 32 del 2007 (o, per essere più precisi, il combinato disposto di cui agli articoli 12 comma 4 e 2, comma 2, lett. e), secondo cui è vietato, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge n. 32 cit., lo svolgimento di attività commerciali non accessorie a quella di telefonia, tra le quali rientra quella di trasferimento di denaro all'estero (Money Transfer): e si noti che il rigetto della domanda di autorizzazione e la chiusura della attività di phone center sono stati disposti proprio in quanto la Ditta ricorrente, all'interno dei locali, destinati all'attività di telefonia, esercitava attività vietata di transfer money, sembra porsi in contrasto con gli articoli 3 e 41 Cost., dato che viene introdotto un elemento di rigidità del sistema - una «prescrizione eccessivamente penalizzante per gli operatori economici, in specie per quelli già presenti sul mercato» -, che si concretizza in una limitazione quantitativa dell'offerta che si traduce in una limitazione quantitativa dell'offerta economica di servizi, in danno dei gestori di phone center ai quali, diversamente da altri operatori economici, è ingiustificatamente preclusa la possibilità di cumulare l'esercizio dell'attività di cessione al pubblico di servizi telefonici con lo svolgimento di un'altra attività economica – il money transfer, appunto - perfettamente compatibile e liberamente esercitatile dai titolari di attività non disomogenee (come rivendite di tabacchi, ricevitorie e internet point).
Vale richiamare, sul punto, la segnalazione / parere dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato AS 443 del 24 gennaio 2008 che, su questo tema, rileva che “il divieto di svolgimento, nei centri di telefonia fissa, di servizi diversi dalla cessione al pubblico di servizi telefonici e dell'attività commerciale accessoria ... rappresenta una ingiustificata limitazione quantitativa e qualitativa della offerta, in contrasto con le esigenze di salvaguardia della concorrenza e, peraltro, con l'art. 3, lett. c), del d.l. n. 223/2006 che, in una prospettiva di liberalizzazione degli accessi al mercato, esclude l'applicazione di limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto negli esercizi commerciali, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non alimentare”.
Sotto un diverso profilo, il combinato disposto degli articoli 12, comma 4, e 2, comma 2, lett. e) della legge reg. n. 32 del 2007 appare in contrasto con gli articoli 3 e 97 Cost., sotto l'aspetto della irragionevolezza, connessa al carattere sostanzialmente retroattivo del divieto di cumulo tra le diverse attività economiche.
Di per sè, come ha affermato la giurisprudenza costituzionale, il divieto di retroattività della legge, pur costituendo un fondamentale valore di civiltà giuridica non ha dignità costituzionale al di fuori dell'ambito penale. Tuttavia non devono essere sacrificati altri valori e interessi costituzionalmente protetti, tra cui «l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, quale essenziale elemento dello Stato di diritto, non può essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti» (cfr. C. cost., n. 416/1999, 274/2006 e 282/2005). Nel caso di specie, le aspettative dei titolari e dei gestori dei phone center, già attivi, di poter svolgere, e continuare a svolgere, anche altre attività, e non solo le attività accessorie alla telefonia, appaiono essere state irragionevolmente frustrate. Non si riesce a vedere, infatti, per quale ragione plausibile si debba vietare ai gestori di phone center di espletare, insieme alla telefonia, anche altri servizi, come il money transfer, al pari di altri operatori economici presenti sul mercato.
In base alle considerazioni su esposte, il collegio ritiene che sussistano le condizioni indicate dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953 per la proposizione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge Reg. Veneto 30 novembre 2007, n. 32, e, ove occorra, del combinato disposto di cui agli articoli 12, comma 4, e 2, comma 2, lett. e), legge reg. cit., in riferimento agli articoli 3, 41, 97 e 117 della Costituzione.
Si deve quindi disporre la sospensione del presente giudizio e la rimessione della questione all'esame della Corte costituzionale, in base a quanto dispone l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la decisione sulla prospettata questione di costituzionalità.

P. Q. M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza sezione, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge Reg. Veneto 30 novembre 2007, n. 32, e, ove occorra, del combinato disposto di cui agli articoli 12, comma 4, e 2, comma 2, lett. e), legge reg. cit., per contrasto con gli articoli 3, 41, 97 e 117 della Costituzione, secondo quanto stabilito in motivazione.
Sospende il giudizio in corso e dispone che, a cura della segreteria della sezione, gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte costituzionale per la risoluzione della prospettata questione, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente della Giunta regionale, e comunicata al Presidente del Consiglio regionale del Veneto.

Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio del 26 novembre 2008.

Il Presidente: De Zotti
L'estensore: Buricelli

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