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Scarica versione stampabile Legge Regionale

Bur n. 37 del 26 aprile 2013


LEGGE REGIONALE  n. 5 del 23 aprile 2013

Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza contro le donne.

Il Consiglio regionale ha approvato

Il Presidente della Giunta regionale

promulga

la seguente legge regionale:

Art. 1
Principi e finalità

1. La Regione del Veneto, in coerenza con i principi costituzionali, le leggi vigenti, le risoluzioni dell’Organizzazione delle nazioni unite (ONU) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), le risoluzioni e i programmi dell’Unione europea, riconosce che ogni forma di violenza contro le donne rappresenta una violazione dei diritti umani fondamentali alla vita, alla dignità, alla libertà, alla sicurezza e all’integrità fisica e psichica della persona e ne afferma, altresì, la natura strutturale in quanto basata sul genere e sottolinea come le donne, anche quelle di minore età, siano spesso esposte a gravi forme di violenza, che costituiscono grave violazione dei diritti umani oltre che principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi.

2. La Regione, con la presente legge, promuove nei confronti delle donne vittime di violenza interventi di sostegno volti a consentire di ripristinare la propria inviolabilità e di riconquistare la propria libertà, nel pieno rispetto della riservatezza e dell’anonimato.

3. Ai fini di cui ai commi 1 e 2 e per assicurare la necessaria tutela e il recupero di una condizione di vita normale, la Regione, in collaborazione con gli enti locali, le istituzioni, le associazioni e le organizzazioni che abbiano tra i loro scopi prioritari la lotta e la prevenzione alla violenza contro le donne e i minori ed abbiano sviluppato esperienza e competenze specifiche, promuove e favorisce l’attivazione di centri antiviolenza, di case rifugio e di case di secondo livello per donne vittime di violenza e loro figlie e figli minori.

Art. 2
Interventi regionali

1. In attuazione di quanto previsto dall’articolo 1 la Regione promuove:

a) la realizzazione e il miglioramento strutturale di centri antiviolenza, di case rifugio e di case di secondo livello destinate ad ospitare le donne e loro figlie e figli minori vittime di violenza, persecuzione e maltrattamenti, da parte di enti locali singoli o associati, in eventuale partenariato o convenzione con soggetti privati senza finalità di lucro, che perseguono le finalità di cui alla presente legge e di associazioni e organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell’aiuto alle donne vittime di violenza;

b) attività di sostegno agli enti locali e alle aziende unità locali socio-sanitarie (ULSS) per la creazione, l’implementazione e la gestione di strutture e servizi di supporto alle donne vittime di violenza;

c) l’individuazione di strumenti e strategie interistituzionali atti a garantire il necessario coordinamento e le sinergie fra gli enti pubblici e fra questi e gli organismi sociali delle comunità locali, in special modo attraverso il coinvolgimento degli enti locali, delle forze dell’ordine, delle prefetture, del sistema sanitario regionale, della magistratura;

d) la formazione delle operatrici e degli operatori che, nei diversi ambiti istituzionali, svolgono attività connesse alla prevenzione e al contrasto della violenza contro le donne e al sostegno delle vittime;

e) la realizzazione di attività di prevenzione, monitoraggio e studio dei fenomeni e la individuazione di proposte per mettere in atto misure efficaci di contrasto nonché di specifiche attività di carattere informativo, culturale, educativo e formativo da svolgere in collaborazione con le istituzioni scolastiche e universitarie e di ricerca, gli enti locali, e i soggetti pubblici e privati senza finalità di lucro, che perseguono le finalità di cui alla presente legge, per prevenire e contrastare la violenza contro le donne attraverso l’educazione alla pari dignità delle persone e alla legalità.

2. Nel finanziare lo svolgimento delle attività di cui al comma 1 la Regione persegue l’obiettivo di consolidare ed estendere la rete territoriale istituzionale dei soggetti e dei servizi, favorendo la messa in comune di informazioni, buone pratiche ed esperienze formative attraverso la stipula di accordi tra istituzioni, servizi e soggetti pubblici e privati senza finalità di lucro, che perseguono le finalità di cui alla presente legge anche tramite un protocollo generale che impegni alla collaborazione reciproca tutti i soggetti coinvolti, per realizzare il massimo delle sinergie a livello territoriale e per assicurare una efficace azione di prevenzione e contrasto alle varie tipologie di violenza contro le donne.

Art. 3
Centri antiviolenza

1. I centri antiviolenza sono strutture, pubbliche o private, predisposte per accogliere donne e loro figlie e figli minori che hanno subito violenza di genere, in qualsiasi forma essa si concretizzi, indipendentemente dalla loro nazionalità, etnia, religione, orientamento sessuale, stato civile, credo politico e condizione economica. Sono gestiti da organizzazioni, attive ed esperte nell’accoglienza, protezione, sostegno a donne vittime di violenza intra e extra-familiare e ai loro figlie e figli minori. Garantiscono alle donne vittime di violenza e loro figlie e figli servizi e spazi dedicati, che non devono essere usati per altri scopi o altri tipi di utenza. Tali spazi devono essere adeguatamente protetti, pertanto, nei centri antiviolenza è attribuita la massima priorità alla sicurezza. I centri antiviolenza garantiscono a tutte le donne anonimato e segretezza e in ogni aspetto delle proprie attività, quali in particolare strutture, metodologia di intervento, personale, standard minimi, gli stessi fanno riferimento alle direttive e alle raccomandazioni sulla violenza contro le donne delle organizzazioni internazionali, quali l’Unione europea, ONU e OMS. La metodologia di accoglienza è basata sulla relazione tra donne.

2. I centri antiviolenza possono essere promossi:

a) da enti locali, singoli o associati;

b) da singoli, associazioni e organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell’aiuto alle donne vittime di violenza, che abbiano maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne, che utilizzino una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificatamente formato;

c) dai soggetti di cui alle lettere a) e b), di concerto, d’intesa o in forma consorziata.

3. I centri antiviolenza svolgono, in particolare, le seguenti funzioni e attività:

a) ascolto telefonico;

b) colloqui preliminari per individuare i bisogni e fornire le prime indicazioni utili;

c) percorsi personalizzati di uscita dalla spirale della violenza attraverso colloqui di sostegno psicologico e/o accompagnamento nei gruppi di mutuo aiuto;

d) colloqui informativi di carattere legale;

e) affiancamento della donna, qualora la stessa lo richieda, nella fruizione dei servizi pubblici o privati, nel rispetto dell’identità culturale e della libera scelta di ognuna;

f) raccolta e analisi dei dati relativi all’accoglienza ed all’ospitalità;

g) formazione e aggiornamento delle operatrici e degli operatori che, nei diversi ambiti di competenza, svolgono attività connesse alla prevenzione e al contrasto della violenza contro le donne nonché al sostegno delle vittime;

h) iniziative culturali di prevenzione, di pubblicizzazione, di sensibilizzazione e di denuncia in merito al problema della violenza contro le donne, anche in collaborazione con altri enti, istituzioni e associazioni;

i) raccolta di documentazione sul fenomeno della violenza sulle donne da mettere a disposizione di singole persone o di gruppi interessati.

4. I centri antiviolenza possono, altresì, svolgere attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle violenze che le vittime subiscono all’interno della famiglia e della società, e collaborano alle indagini sulle caratteristiche della violenza contro le donne, alle ricerche finalizzate, all’individuazione di strategie di prevenzione dei comportamenti violenti e alla raccolta di dati statistici, al fine di approfondire i contesti in cui la violenza è esercitata e subita.

5. I centri antiviolenza svolgono anche attività di sensibilizzazione negli istituti scolastici e universitari.

Art. 4
Case rifugio

1. Le case rifugio sono strutture, pubbliche o private, in grado di offrire accoglienza e protezione alle donne vittime di violenza e loro figlie e figli minori nell’ambito di un programma personalizzato di recupero e di inclusione sociale, che assicuri, inoltre, un sostegno per consentire loro di ripristinare la propria autonoma individualità, nel pieno rispetto della riservatezza e dell’anonimato.

2. Alle case rifugio deve essere garantita la segretezza dell’ubicazione finalizzata alla sicurezza delle vittime di violenza.

3. Le donne vittime di violenza e loro figlie e figli minori, indipendentemente dallo stato giuridico o dalla cittadinanza, possono ricorrere alle case rifugio. Tali strutture assicurano l’anonimato, salvo diversa decisione della persona stessa, offrono i loro servizi anche a chi non risiede nel comune in cui è ubicata la struttura nonché alle vittime straniere e si applica la metodologia di accoglienza dei centri antiviolenza.

4. Le case rifugio possono essere promosse:

a) da enti locali, singoli o associati;

b) da singoli, associazioni e organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell’aiuto alle donne vittime di violenza che abbiamo maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne;

c) dai soggetti di cui alle lettere a) e b), di concerto, d’intesa o in forma consorziata.

5. Le case rifugio svolgono, in particolare, le seguenti funzioni e attività:

a) accogliere e sostenere donne in condizione di disagio a causa di violenza o maltrattamenti, anche assieme ai loro figli;

b) costruire cultura e spazi di libertà per le donne vittime di gravi maltrattamenti;

c) dare valore alle relazioni tra donne anche in presenza di grave disagio.

6. L’accesso alle case rifugio avviene esclusivamente per il tramite dei centri antiviolenza, anche su segnalazione del pronto soccorso degli ospedali, del medico di famiglia, dei servizi sociali dei comuni, delle forze dell’ordine o di un privato cittadino.

Art. 5
Case di secondo livello per donne vittime di violenza

1. La casa di secondo livello per donne vittime di violenza è una struttura di ospitalità temporanea per le donne vittime di violenza e loro figlie e figli minori, che non si trovino in situazione di pericolo immediato a causa della violenza e che necessitino di un periodo limitato di tempo per compiere il percorso di uscita dalla violenza e raggiungere l’autonomia.

2. L’accesso alle case di secondo livello per donne vittime di violenza avviene per il tramite delle case rifugio, in raccordo con la rete dei servizi sociali del territorio.

3. Alle case di secondo livello per donne vittime di violenza si applicano le disposizioni relative alle case rifugio di cui all’articolo 4, compatibilmente con le finalità che le stesse perseguono ai sensi del comma 1.

Art. 6
Gratuità

1. I servizi dei centri antiviolenza, delle case rifugio e delle case di secondo livello per donne vittime di violenza sono gratuiti.

2. Il soggiorno nelle case rifugio e nelle case di secondo livello per donne vittime di violenza è gratuito, sia per le donne che per i loro figli, fino ad un massimo di centoventi giorni, salvo diverse previsioni e necessità documentate dagli operatori e dalle operatrici responsabili delle strutture di accoglienza.

Art. 7
Disposizioni attuative

1. Le strutture di cui agli articoli 3, 4 e 5 comunicano la loro articolazione organizzativa alla Giunta regionale, che la approva.

2. La Giunta regionale, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, sentita la commissione consiliare competente in materia di sanità e sociale, definisce l’ammontare del contributo giornaliero per ospite da erogare alle strutture previste dagli articoli 4 e 5.

Art. 8
Tavolo di coordinamento regionale per la prevenzione ed il contrasto alla violenza contro le donne

1. Presso la Giunta regionale è istituito il Tavolo di coordinamento regionale per la prevenzione ed il contrasto alla violenza contro le donne, al quale partecipano enti, istituzioni ed altri soggetti individuati in modo da assicurare la più ampia partecipazione. La composizione del Tavolo viene individuata dalla Giunta regionale, entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della presente legge, sentita la commissione consiliare competente in materia di sanità e sociale.

2. Il Tavolo svolge i seguenti compiti:

a) formula annualmente proposte alla Giunta regionale in ordine alle azioni e agli interventi di cui alla presente legge;

b) svolge attività di consulenza nei confronti degli organi regionali e si raccorda con gli enti pubblici, le associazioni, gli enti privati e le aziende ULSS che adottino progetti o sviluppino iniziative a sostegno delle finalità della presente legge;

c) promuove e coordina il monitoraggio e le analisi dei casi e delle tipologie di violenza contro le donne avvenuti nel territorio e la loro elaborazione al fine di individuare le aree a maggiore rischio;

d) promuove e coordina il monitoraggio delle azioni e delle iniziative di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne e di sostegno alle vittime, ivi comprese le azioni e le iniziative delle strutture di accoglienza e dei centri di riferimento attivi nel territorio e la sensibilizzazione negli istituti scolastici e universitari;

e) mantiene gli opportuni collegamenti con la rete nazionale antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Art. 9
Rapporti con le strutture pubbliche

1. I centri antiviolenza, le case rifugio e le case di secondo livello per donne vittime di violenza mantengono costanti e funzionali rapporti, anche attraverso eventuali protocolli d’intesa, con gli enti pubblici a cui compete l’assistenza, la prevenzione e la repressione di reati, quali le forze dell’ordine, l’autorità giudiziaria nonché con le strutture pubbliche quali enti locali, aziende sanitarie e istituzioni scolastiche operanti nel territorio al fine di garantire risposte adeguate alle diverse condizioni personali di provenienza nel rispetto delle rispettive competenze e attribuzioni istituzionali.

Art. 10
Relazione e monitoraggio

1. La Giunta regionale relaziona al Consiglio regionale in ordine all’attuazione della presente legge e ai risultati ottenuti in termini di contributo alla prevenzione, all’informazione, alla formazione e al supporto alle vittime di violenza.

2. Per il fine di cui al comma 1 la Giunta regionale, con periodicità annuale, presenta una relazione sulle attività svolte in applicazione della presente legge.

3. La relazione prevista al comma 2, unitamente agli eventuali documenti del Consiglio regionale che ne concludono l’esame, è resa disponibile nei siti internet del Consiglio e della Giunta regionale.

4. Tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nell’attuazione della presente legge forniscono alla Giunta regionale le informazioni necessarie per l’elaborazione della relazione di cui al comma 2, anche attraverso l’ente locale coordinatore del progetto, e presentano ogni anno alla Giunta regionale una relazione sull’andamento e sulle funzionalità delle strutture che gestiscono.

Art. 11
Convenzioni

1. Gli enti locali, singoli o associati, possono stipulare apposite convenzioni con i soggetti coinvolti nell’attuazione della presente legge per definire le modalità di erogazione dei servizi e degli interventi e assicurarne la continuità.

2. Gli enti locali possono concorrere alle spese di gestione e garantiscono, in particolare:

a) strutture adeguate in relazione alla popolazione e al territorio, anche di concerto o in associazione con altri soggetti pubblici o privati senza finalità di lucro;

b) adeguate e periodiche campagne informative in merito all’attività e ai servizi offerti dai centri antiviolenza, dalle case rifugio e dalle case di secondo livello per donne vittime di violenza.

Art. 12
Contributi regionali

1. La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente in materia di sanità e sociale, stabilisce, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, i criteri, le priorità e le modalità per la concessione di contributi agli enti locali, diretti a finanziare le attività e le strutture di cui alla presente legge, riconoscendo carattere prioritario agli interventi previsti dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 2.

2. Possono beneficiare dei finanziamenti di cui al comma 1 i progetti presentati da:

a) enti locali, singoli o associati;

b) singoli, associazioni e organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell’aiuto alle donne vittime di violenza che abbiano maturato comprovate esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne;

c) enti locali, singoli o associati, in partenariato con le associazioni ed organizzazioni di cui alla lettera b);

d) istituzioni scolastiche, universitarie e di ricerca.

3. I finanziamenti concessi ai sensi della presente legge sono cumulabili con quelli previsti da altre normative, sempre che non sia da queste diversamente stabilito, secondo le procedure e le modalità previste dalle norme medesime.

Art. 13
Istituzione del Fondo regionale per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne

1. Nello stato di previsione della spesa del bilancio è istituito il Fondo regionale per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne, alimentato dalle risorse finanziarie di seguito elencate:

a) stanziamenti previsti dal bilancio della Regione;

b) assegnazioni dello Stato finalizzate ad interventi di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne;

c) eventuali risorse e contributi comunque disposti da soggetti pubblici o privati, anche sotto forma di lasciti e donazioni.

Art. 14
Norma finanziaria

1. Agli oneri di natura corrente derivanti dall’applicazione della presente legge, quantificati in euro 400.000,00 per l’esercizio 2013, si fa fronte per euro 200.000,00 con le risorse già allocate nell’upb U0242 "Pari opportunità" e per euro 200.000,00 con le risorse dell’upb U0148 "Servizi ed interventi per lo sviluppo sociale della famiglia", la cui dotazione viene incrementata di pari importo prelevando euro 200.000,00 dall’upb U0185 "Fondo speciale per le spese correnti", partita n. 6.

Art. 15
Abrogazioni

1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:

a) l’articolo 20 della legge regionale 27 febbraio 2008, n. 1 "Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2008";

b) l’articolo 30 della legge regionale 16 febbraio 2010, n. 11 "Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2010".

2. Ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni indicate al comma 1.

La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione veneta. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione veneta.

Venezia, 23 aprile 2013

Luca Zaia


INDICE

Art. 1 - Principi e finalità
Art. 2 - Interventi regionali
Art. 3 - Centri antiviolenza
Art. 4 - Case rifugio
Art. 5 - Case di secondo livello per donne vittime di violenza
Art. 6 - Gratuità
Art. 7 - Disposizioni attuative
Art. 8 - Tavolo di coordinamento regionale per la prevenzione ed il contrasto alla violenza contro le donne
Art. 9 - Rapporti con le strutture pubbliche
Art. 10 - Relazione e monitoraggio
Art. 11 - Convenzioni
Art. 12 - Contributi regionali
Art. 13 - Istituzione del Fondo regionale per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne
Art. 14 - Norma finanziaria
Art. 15 - Abrogazioni

Dati informativi concernenti la legge regionale 23 aprile 2013, n. 5

Il presente elaborato ha carattere meramente informativo, per cui è sprovvisto di qualsiasi valenza vincolante o di carattere interpretativo. Pertanto, si declina  ogni responsabilità conseguente a eventuali errori od omissioni.
Per comodità del lettore sono qui di seguito pubblicati:
1 -   Procedimento di formazione
2 -   Relazione al Consiglio regionale
3 -   Struttura di riferimento

1. Procedimento di formazione

- Il procedimento di formazione della legge regionale è stato avviato su iniziativa dei sottoelencati consiglieri regionali, che hanno presentato due proposte di legge, a ciascuna delle quali è stato attribuito uno specifico numero di progetto di legge:
- proposta di legge d’iniziativa dei consiglieri Padrin, Tiozzo, Bond, Cortelazzo, Ruzzante, Toniolo, Laroni, Chisso, Tesserin, Teso, Zorzato, Pettenò, Ruffato, Bendinelli, Mainardi, Caner, Lazzarini, Sandri, Possamai, Corazzari, Furlanetto, Bozza, Cenci, Finco, Cappon, Bassi, Tosato, Stival, Grazia, Peraro, Pipitone, Bottacin, Franchetto, Causin e Marotta relativa a “Norme per l’istituzione dei centri antiviolenza e delle case di accoglienza per le donne vittime di violenza”; (progetto di legge n. 261);
- proposta di legge d’iniziativa dei consiglieri Ruzzante, Coppola, Puppato, Azzalin, Berlato Sella, Bonfante, Bortoli, Cortelazzo, Fasoli, Fracasso, Franchetto, Marotta, Padrin, Pettenò, Pigozzo, Pipitone, Reolon, Sandri, Sinigaglia e Tiozzo relativa a “Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza di genere e la violenza domestica” (progetto di legge n. 263);
- I progetti di legge sono stati assegnati alla  Quinta Commissione consiliare;
- La Quinta Commissione consiliare, sulla base dei succitati progetti, ha elaborato un unico progetto di legge denominato “Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza contro le donne”;
- La Quinta Commissione consiliare ha espresso parere sul progetto di legge in data 6 dicembre 2012;
- Il Consiglio regionale, su relazione della Quinta Commissione consiliare, relatore il Presidente della stessa, consigliere Leonardo Padrin e su relazione di minoranza della Quinta Commissione consiliare, consigliere Sergio Reolon, ha esaminato e approvato il progetto di legge con deliberazione legislativa 10 aprile 2013, n. 5.

2. Relazione al Consiglio regionale

- Relazione della Quinta Commissione consiliare, relatore il Presidente della stessa, consigliere Leonardo Padrin, nel testo che segue:

“Signor Presidente, colleghi consiglieri,
le cronache raccontano che la violenza contro le donne è un problema in costante e drammatico aumento.
Dall’inizio dell’anno 2012 si contano già 46 donne uccise. L’Osservatorio nazionale violenze domestiche certifica nel suo rapporto su “Il fenomeno degli omicidi domestici in Veneto, nel triennio 2009-2011”, pubblicato dalla commissione Pari opportunità della Regione del Veneto, che “In particolare per donne e bambini il focolare domestico non è (mai) stato un’isola sicura, ma il luogo statisticamente più a rischio”.
La Conferenza mondiale della Nazioni Unite ha definito la violenza contro le donne come “qualsiasi atto di violenza di genere che comporta, o è probabile che comporti, una sofferenza fisica, sessuale o psicologica o una qualsiasi forma di sofferenza alla donna, comprese minacce di tali violenze, comprese forme di coercizione o forme arbitrarie di privazione della libertà personale sia che si verifichino nel contesto della vita privata che di quella pubblica”.
La legislazione italiana possiede numerose leggi che regolano il tema: le più importanti e specifiche sono quelle contro lo stalking (legge 23 aprile 2009, n. 38); contro la violenza nelle relazioni familiari (legge 5 aprile 2001, n. 154); contro la tratta delle persone (legge 11 agosto 2003, n. 228) e contro la violenza sessuale (legge 15 febbraio 1996, n. 66).
In questo contesto la Regione del Veneto è chiamata a dare una risposta alla problematica promuovendo e stimolando iniziative volte a combattere la violenza sulle donne, garantendo una serie di strumenti che permettano il soccorso ed il supporto alle donne oggetto di violenza.
Con la presente legge si vuole pertanto riconoscere che ogni forma di violenza contro le donne rappresenta una violazione dei diritti fondamentali alla vita, alla dignità, alla libertà, alla sicurezza e all’integrità fisica e psichica della persona (articolo 1).
La Regione del Veneto promuove (anche in collaborazione con altri soggetti, quali gli enti locali, le ULSS, soggetti pubblici e privati senza finalità di lucro), i centri antiviolenza, i centri di accoglienza, le case rifugio e le case di secondo livello, come strutture di sostegno e soccorso a cui possono ricorrere tutte le donne vittime di violenza - sole o con figli minori - indipendentemente dal loro status giuridico o di cittadinanza (articolo 1).
La Regione del Veneto individua gli strumenti e le strategie atti a garantire il necessario coordinamento tra tutti i soggetti che operano in questo ambito: enti locali, forze dell’ordine, prefetture, magistratura e sistema sanitario regionale, anche al fine di garantire risposte adeguate alle diverse condizioni di provenienza (articolo 2).
I centri antiviolenza sono strutture pubbliche o private che offrono assistenza, sostegno e percorsi di superamento del disagio alle donne vittime di violenza. In particolare svolgono colloqui per individuare i bisogni e fornire le prime indicazioni utili, individuano percorsi personalizzati di uscita dalla spirale della violenza e di affiancamento della donna, qualora la stessa lo richieda, nella fruizione dei servizi pubblici o privati, nel rispetto dell’identità culturale e della libera scelta di ognuna (articolo 3).
I centri di accoglienza e le case rifugio sono strutture pubbliche o private in grado di offrire accoglienza e protezione alle donne vittime di violenza e ai loro figli, nell’ambito di un programma personalizzato di recupero e di inclusione sociale, finalizzato a ripristinare l’autonoma individualità, nel pieno rispetto della riservatezza e dell’anonimato (articolo 4).
Le case di secondo livello sono strutture di ospitalità temporanea per le donne che sono state vittime di violenza e che, passato il pericolo per l’incolumità propria e/o dei figli, necessitano di un periodo di tempo per rientrare nella precedente abitazione o per raggiungere l’autonomia abitativa (articolo 5).
La fruizione delle strutture suindicate è gratuita (articolo 6).
Al fine di garantire nel modo migliore il coordinamento delle iniziative in materia di violenza contro le donne e di monitorare il fenomeno, viene istituito presso la Giunta regionale “Il Tavolo di coordinamento regionale per la prevenzione ed il contrasto alla violenza contro le donne”, la cui composizione viene individuata dalla Giunta stessa, in modo tale da assicurare la più ampia partecipazione (articolo 8).
I centri antiviolenza, i centri di accoglienza, le case rifugio e le case di secondo livello mantengono costanti e funzionali rapporti con i soggetti pubblici ai quali compete l’assistenza, la prevenzione e la repressione dei reati (articolo 9).
La Giunta regionale è tenuta a relazionare al Consiglio regionale in ordine all’attuazione della presente legge (articolo 10).
La presente legge prevede, inoltre, che gli enti locali singoli e associati possano stipulare apposite convenzioni con i soggetti coinvolti nell’attuazione della legge stessa, al fine di definire le modalità di erogazione dei servizi (articolo 11).
La Giunta regionale definisce criteri, priorità e modalità per la concessione di contributi agli enti locali finalizzati a finanziare le attività e le strutture di cui alla presente legge (articolo 12). A tal fine è istituito il Fondo regionale per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne (articolo 13).
La Quinta Commissione ha ultimato l’esame del progetto di legge nella seduta n. 85 del 6 dicembre 2012 esprimendo a maggioranza (favorevoli: Liga Veneta Lega Nord Padania, Popolo della Libertà; Partito Democratico Veneto, Unione Democratica di Centro, Italia del Valori; astenuti: Gruppo Misto), parere favorevole in ordine alla sua approvazione da parte del Consiglio regionale.”;

- Relazione di minoranza della Quinta Commissione consiliare, relatore il consigliere Sergio Reolon, nel testo che segue:

“Signor Presidente, colleghi consiglieri,
la violenza contro le donne è un fenomeno drammaticamente diffuso, che ogni anno uccide, tortura e mutila, sia fisicamente che psicologicamente, sessualmente ed economicamente migliaia di donne. Benché riconosciuta dalla comunità internazionale come una violazione dei diritti umani fondamentali, continua a rimanere un dramma troppo spesso consumato nel silenzio e nella solitudine.
La violenza di genere è la conseguenza di una società che risente ancora della sua struttura patriarcale, in cui le donne sono, in misura diversa nei diversi paesi, dominate e oppresse. Nel 1993 l’ONU l’ha definita “la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell’ uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro e ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne”, riconoscendo che la violenza maschile viola i diritti delle donne in quanto esseri umani.
La violenza di genere é trasversale, interessando donne di tutte le età, razze, etnie, religioni, culture, livelli socio-economici ed istruzione; la trasversalità riguarda non solo le vittime, ma anche gli autori delle violenze, che sono in gran parte uomini, uomini “normali”, senza problemi psichiatrici, ne di alcool o droga. Uomini che la donna quasi sempre conosce e di cui si fida; la forma più frequente di violenza contro le donne é infatti quella agita da partner o ex-partner; uomini accomunati da un’idea della donna come un essere inferiore, che non ha diritto all’autonomia e alla libertà, e di sé stessi come legittimati a controllare, dominare, possedere questa donna.
Se consideriamo solo le violenze da un partner o ex partner, sappiamo che nei paesi industrializzati tra il 25 e il 30 per cento delle donne ha subito violenze fisiche o sessuali nel corso della vita. Le violenze psicologiche sono ben più frequenti.
Secondo il Rapporto 2005 del Fondo delle Nazioni Unite sulla popolazione mondiale, 1 donna su 5 subisce stupro o tentato stupro nel corso della vita, 1 su 3 viene picchiata.
Sono più colpite le donne giovani e nemmeno la condizione di gravidanza protegge dai maltrattamenti; anzi, secondo alcuni autori, sarebbe un periodo particolarmente a rischio.
I dati nazionali confermano che anche in un paese industrializzato come l’Italia la violenza contro le donne è un fenomeno frequente: secondo i dati presentati nel 2007 dall’ ISTAT, 5 milioni di donne hanno subito nella vita violenza sessuale (circa 1 milione gli stupri e i tentati stupri), quasi 4 milioni violenza fisica, più di 7 milioni hanno subito violenza psicologica dal partner; autori delle violenza sono prevalentemente partner o ex-partner.
Anche il Rapporto sulla sicurezza 2006 in Italia, nei dati relativi alle violenze contro le donne, ha evidenziato come oltre un milione di donne negli ultimi 12 mesi siano state oggetto di violenza. Il 62,4 per cento delle violenze fisiche, il 68,3 per cento delle violenze sessuali e il 69,7 per cento degli stupri sono stati commessi dal partner.
Le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita sono 6 milioni 743 mila. Un milione 400 mila donne hanno subito violenza sessuale e fisica da un familiare prima dei 16 anni.
Due milioni 77 mila donne hanno subito forme di stalking, cioè di persecuzione, al momento della separazione o successivamente ad essa.
In Italia nel 2012 i casi di femicidio (donne uccise da un uomo per motivi di genere) sono stati 124, 40 i tentati omicidi.
La violenza contro le donne è una questione politica e di diritti umani, ma è anche una questione sanitaria, perché causa importante di sofferenza, cattiva salute e morte prematura per le donne; gli effetti della violenza sulla salute vanno dalle conseguenze psicologiche e comportamentali, a quelle fisiche, a quelle sulla vita sessuale e riproduttiva, e sono talmente gravi (specie se la violenza è cronica) da indurre nel 1996 l’Organizzazione mondiale della sanità (WHO) a definire la prevenzione della violenza di genere una priorità della sanità pubblica e successivamente un emergenza sanitaria.
Una ricerca svolta a Trieste da P. Romito e D. Gerin tra le utenti di diversi servizi socio-sanitari mostra che una donna su dieci aveva subito violenze fisiche e sessuali negli ultimi 12 mesi e molte di più avevano subito gravi maltrattamenti psicologici. La violenza era particolarmente frequente tra le donne giovani (maltrattate dal fidanzato o ex fidanzato o da un familiare) e tra le donne separate e divorziate, maltrattate dall’ex partner. Anche donne anziane avevano subito maltrattamenti gravi, dal marito o, più raramente, dai figli. Nella maggior parte dei casi, le violenze duravano da anni: queste donne si erano rivolte ripetutamente ai servizi (per problemi di salute o per chiedere un aiuto economico) e nessuno aveva chiesto loro se subivano violenza.
Una ricerca condotta nel 2001 nel bellunese da P. Romito e M. De Marchi sulle pazienti di 6 ambulatori di medici di medicina generale mostra non solo che un quarto delle donne intervistate ha subito violenza fisica e/o sessuale da un uomo nel corso della propria vita e 1 su 10 l’ha subita dal partner o ex-partner, ma anche che tra le donne vittime di violenza 1 su 2 soffre di depressione.
Già nel 2001 la Banca mondiale aveva sottolineato l’enorme costo economico che questa violenza comporta per la società: infatti la vittimizzazione causata dalle violenze è responsabile di 1 giorno di malattia su 5 persi dalle donne in età riproduttiva e le donne che hanno subito violenza costano alla società più del doppio delle donne che non l’hanno subita.
Malgrado ciò la formazione del personale sanitario sul territorio nazionale non è ancora stata assunta come priorità e questo contribuisce grandemente alla mancata emersione del fenomeno.
Le direttive e raccomandazioni degli organismi internazionali (ONU, OMS) e delle istituzioni Europee in tema di violenza contro le donne rappresentano un riferimento indispensabile nella pianificazione di azioni di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne. Tali documenti sottolineano l’importante ruolo svolto dalle associazioni autonome di donne, stabiliscono con chiarezza i requisiti metodologici da privilegiare e forniscono al legislatore precise indicazioni sulla tipologia degli interventi più efficaci da mettere in campo a livello nazionale e locale, al fine di consentire alle donne vittime di tale fenomeno e ai loro figli/e di disporre di aiuti comprovati nell’efficacia e maturati da esperienze consolidate in questo settore.
A questo proposito è utile ricordare che l’Unione Europea ha definito gli standard di qualità per i Centri antiviolenza e le Case rifugio in numerosi documenti sottoscritti anche dal nostro Paese: nel 1997 il Gruppo di Esperte del Consiglio d’Europa ha raccomandato che vi fosse disponibile un posto letto nelle Case rifugio ogni 7.500 abitanti; lo stesso gruppo, nel 1999, ha indicato gli standard di qualità e le priorità con cui gestire le Case rifugio e gli altri servizi per le donne e i minori vittime di violenza:
- “Tutti i governi nazionali sono obbligati ad istituire e a finanziare un sostegno, complessivo e gratuito, per le donne che hanno subìto violenza e i loro bambini ... gestito direttamente da associazioni di donne ...”;
- “Tutti i governi nazionali sono obbligati ad elaborare un Piano nazionale sulla violenza contro le donne prima della prossima Conferenza dell’Unione Europea, in collaborazione con le associazioni di donne, mettendo a disposizione i mezzi per implementare detti progetti ...”.
Per quanto riguarda gli standard per i servizi di aiuto alle donne, questi devono essere gratuiti e basati sull’empowerment. I Centri antiviolenza devono assicurare un’apertura 24 su 24, devono dare priorità alla sicurezza delle donne e dei bambini, deve trattarsi di donne che aiutano donne (personale femminile), devono garantire l’anonimato e la riservatezza, la durata della permanenza delle donne deve essere svincolata dai finanziamenti disponibili, devono essere gestiti da associazioni di donne con prospettiva femminista, devono basarsi sull’empowerment e l’autoaiuto, devono ricevere sufficiente finanziamento da parte dei governi e devono avere un’ equipe di lavoro pagata e formata.
A fronte di tali indicazioni, la realtà italiana, così come emerge dalla rilevazione condotta nel 2011 dall’Associazione nazionale dei centri antiviolenza (D.i.Re, donne in rete contro la violenza) su 56 dei 66 centri antiviolenza iscritti, è drammatica e preoccupante: solo il 55,4 per cento dei centri dispone di strutture (protette e non) per ospitare le donne ed i loro figli/e, solo il 33,9 per cento ha un numero verde dedicato, solo il 53,6 per cento è in grado di assicurare una reperibilità h 24 e la durata della permanenza a volte non è sufficiente a coprire del tutto le necessità di protezione delle donne.
I Centri antiviolenza da tempo denunciano l’ insufficienza delle risorse messe a disposizione per prevenire e combattere il fenomeno; gli scarsi e discontinui finanziamenti costringono i centri a rivolgersi a molteplici fonti di finanziamento, pubbliche e/o private, con conseguente dispendio di energie e insicurezza costante, che possono pregiudicare l’efficienza dei Centri stessi: dei 56 centri il 60,7 per cento (34) ha come fonte principale di finanziamento l’Ente pubblico (Regione, Comune, Provincia, UE, altri soggetti pubblici), ma nel 37,9 per cento tale finanziamento è irrisorio (< 10.000 euro). Il 12,5 per cento (7) ha l’ente pubblico come unica fonte di finanziamento. Gli altri centri o si autofinanziano o si sostengono con le rette od hanno un finanziamento di provenienza prevalentemente dal privato.
Nel 2012 2013 Centri antiviolenza hanno dovuto chiudere per mancanza di fondi e 8 sono tuttora a rischio di chiusura.
A fronte di queste enormi difficoltà nel 2011 sono state più di 13.000 le donne in situazione di violenza intra ed extra familiare che si sono rivolte ai centri antiviolenza di D.i.Re; di queste 464 (con 407 figli/e minori) sono state ospitate nelle Case.
Tutto ciò è la conseguenza in primis dello scarso (in alcuni territori nullo) riconoscimento da parte delle istituzioni delle competenze ed esperienza dei Centri, riconoscimento che anche lì dove c’è stato ha raramente prodotto scelte politiche efficaci per un concreto sostegno ai Centri stessi.
Servono politiche concrete ed una vera azione di governo affinché si possa scongiurare la chiusura dei Centri antiviolenza ed assicurarne il buon funzionamento, perché si ratifichi la Convenzione di Istanbul (che rappresenta il primo strumento vincolante a livello europeo per la creazione di un quadro giuridico completo per combattere la violenza) e si doti il nostro Paese di politiche serie di prevenzione e contrasto al fenomeno.
Sono pesantissimi i richiami fatti all’Italia nel 2012 dall’ONU, tramite il suo organismo CEDAW (Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del ‘79), per gli enormi ritardi nell’attuazione delle politiche di genere e in particolare nelle politiche di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne.
Finora nessun governo se n’è seriamente occupato, ponendo questo tema tra le priorità dell’agenda politica.
Siamo consapevoli che avere una legge regionale specifica sulla violenza di genere non è di per sé requisito sufficiente per lo sviluppo di buone politiche e pratiche, né per la certezza di un fattivo sostegno ai centri, ma una buona legge regionale può certamente essere UNO degli strumenti di risposta, importante se accompagnato, naturalmente, da una forte volontà politica di attuazione.
Il percorso della proposta di legge regionale veneta è a mio parere un esempio di buone prassi e di buona politica: la presentazione dei due progetti di legge dei consiglieri Padrin e Ruzzante, il lavoro della Quinta Commissione per giungere ad un testo unificato, la decisione di ascoltare le rappresentanti dei centri antiviolenza avvalendosi così della loro esperienza e competenza, sono tutte componenti positive e qualificanti di questa buona prassi.
Lo sforzo che dovremmo ancora compiere è quello di arrivare ad una legge innovativa sia nei contenuti che nel linguaggio, una legge che non sia semplicemente una copia più o meno bella di altre leggi regionali e che non ne riproduca gli errori e i limiti.
Il lavoro compiuto va in questa direzione, ma permangono alcuni limiti e qualche ambiguità che sarebbe utile correggere in aula, se vogliamo raggiungere l’obiettivo di una buona legge.
È indispensabile che la legge faccia riferimento in ogni sua parte alla normativa internazionale e europea: nella definizione del fenomeno, nell’individuazione della metodologia da utilizzare per contrastarlo, nel riconoscimento dei soggetti che operano per questo fine. In linea con le raccomandazioni dello stesso Governo italiano (Piano d’azione nazionale), la legge deve “riconoscere e ... avvalersi delle esperienze e delle competenze espresse localmente da associazioni e organizzazioni di donne, che abbiano, tra i loro scopi prioritari, la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne ed i minori”.
Una delle criticità maggiori della proposta all’esame dell’aula è la mancanza di chiarezza sulla definizione di Centro antiviolenza, delle strutture atte ad ospitare le donne e i loro figli, della figura di “operatrice di accoglienza”. È indispensabile che la legge ne contenga una definizione precisa e completa, facendo anche in questo caso riferimento agli organismi internazionali e in particolare agli standard minimi da questi richiesti; ciò anche per evitare l’accesso ai finanziamenti di soggetti che di fatto non hanno maturato alcuna esperienza e competenza specifica sul fenomeno della violenza contro le donne.
Inoltre è necessario definire criteri e requisiti specifici per l’ accesso ai contributi, tra cui: prevalente finalità statutaria di lotta alla violenza contro le donne, qualità e durata dell’esperienza sviluppata (3 anni), metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, formazione specifica e continua delle operatrici, che devono essere esclusivamente donne, rispetto dell’anonimato e della privacy, rispetto della libertà di scelta della donna.
Pertanto, in linea con le Raccomandazioni del Forum delle Esperte della Conferenza dell’Unione europea sulla Violenza contro le donne (Colonia 1999), propongo la seguente definizione di Centro antiviolenza:

I Centri antiviolenza, le case Rifugio e di secondo livello sono luoghi predisposti per accogliere le donne che hanno subìto violenza di genere, in qualsiasi forma essa si concretizzi, indipendentemente dalla loro nazionalità, etnia, religione, orientamento sessuale, stato civile, credo politico e condizione economica. Sono gestiti da organizzazioni di donne, attive ed esperte nell’accoglienza, protezione, sostegno a donne vittime di violenza intra e extra-familiare e ai loro figli/figlie minori.
Garantiscono alle donne vittime di violenza e ai loro figli/e servizi e spazi dedicati, che non devono essere usati per altri scopi o altri tipi di utenza. Tali spazi devono essere adeguatamente protetti, pertanto nei centri antiviolenza deve essere attribuita la massima priorità alla sicurezza. I Centri Antiviolenza garantiscono a tutte le donne anonimato e segretezza. I servizi offerti sono gratuiti.
In un centro antiviolenza le donne e i bambini ricevono sostegno specifico per uscire dalla violenza, superare le esperienze traumatiche, riconquistare la propria autostima e porre le basi per una vita indipendente e autonoma.
I Centri si riconoscono in principi comuni, basati su una lettura sociale del fenomeno della violenza contro le donne, inteso come frutto di un costrutto culturale, quindi non necessariamente collegato ad un patologia individuale del maltrattatore o della vittima, bensì conseguenza della disparità di potere tra uomini e donne.
La metodologia di accoglienza con le donne è basata sul rafforzamento (empowerment) della loro identità di donne e sulla relazione tra donne; per questo i Centri si avvalgono di personale esclusivamente femminile, in quanto è proprio attraverso la relazione fra donne che si può innescare un processo virtuoso di reciproco riconoscimento e sostegno.
L’intervento è di carattere relazionale o psico-sociale, non terapeutico in senso tecnico, e consiste in un percorso di colloqui a cadenza periodica e di durata variabile, finalizzato al raggiungimento di obiettivi stabiliti con la donna, secondo tappe concordate. La metodologia prevede che ogni azione (denunce, separazione, attivazione dei servizi, ecc.) venga intrapresa solo con il consenso della donna e che si lavori sempre per il suo vantaggio.
Le operatrici, sia volontarie che retribuite, devono avere almeno 2 anni di formazione specifica sulla violenza, aggiornamenti continuativi e una supervisione periodica atta a proteggerle dal rischio di “burnout” e di traumatizzazione secondaria.
I Centri si avvalgono di aiuto esterno e collaborazioni, eventualmente anche maschili, finalizzate a progetti specifici, dopo una accurata selezione e formazione.
Il Centro antiviolenza offre alle donne vittime di violenza:
- ascolto telefonico, per individuare i bisogni e fornire le prime informazioni;
- colloqui di accoglienza finalizzati all’analisi della situazione e dei bisogni, strutturazione del percorso di uscita dalla violenza (con particolare attenzione alla sicurezza), definizione degli obiettivi;
- consulenza legale di primo livello con le avvocate che collaborano con il Centro;
- consulenza psicologica, nel caso in cui le operatrici con la donna ne rilevino la necessità;
- accompagnamento nella ricerca di una soluzione abitativa;
- accompagnamento nella ricerca di un inserimento lavorativo;
- affiancamento nella fruizione dei servizi, nelle procedure amministrative-burocratiche, nel percorso giudiziario;
- gruppi di auto-aiuto.
I Centri inoltre svolgono:
- attività di rete e coordinamento con i servizi pubblici e privati presenti sul territorio, che concorrono a fornire sicurezza, protezione e aiuto alle donne (pronto soccorso, servizi socio-sanitari, forze dell’ordine, istituzioni giudiziarie, associazioni ecc.) al fine di ottimizzare e coordinare il percorso di uscita dalla violenza;
- formazione del personale interno e dei soggetti esterni;
- consulenze per operatori di altri servizi;
- attività di promozione e prevenzione nelle scuole;
- promozione di eventi, sensibilizzazione e campagne di prevenzione sul territorio contro la violenza;
- promozione della ricerca (indagini qualitative e quantitative), anche attraverso la raccolta e l’elaborazione dei dati anonimi relativi alle donne che accedono al Centro stesso;
- promozione di politiche e piani d’azione locali, nazionali e internazionali contro la violenza, interloquendo con le amministrazioni nazionali, regionali e locali.
In ogni aspetto delle proprie attività (strutture, metodologia di intervento, personale, standard minimi) i Centri antiviolenza fanno riferimento ai principi elaborati a livello internazionale e nazionale dalle esperte del movimento delle donne, recepiti dalle direttive e raccomandazioni sulla violenza contro le donne degli organismi internazionali, quali UE, Nazioni Unite e OMS.

Sarebbe infine opportuno inserire nei piani di zona dei servizi sociali l’area d’intervento “donne vittime di violenza di genere”.
Approvare una legge di contrasto e di prevenzione alla violenza contro le donne è importante; più importante ancora che sia una legge innovativa ed efficace, ma ciò ha senso solo se si prevede che il tema della violenza diventi una priorità dell’agenda politica della regione, con tutte le misure necessarie (amministrative ed economiche) per la creazione di un “sistema” di interventi efficaci; in quest’ottica la legge non deve rappresentare una mera enunciazione di principi, bensì una garanzia di attuazione.”.

3. Struttura di riferimento

Direzione relazioni internazionali

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