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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 108 del 11 agosto 2023


Ordinanza

N. 113 Registro ordinanze 2023. Ordinanza del 22 maggio 2023 del Tribunale Civile di Padova nel procedimento civile promosso da ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione e altri c/Comune di Venezia e Regione Veneto.

TRIBUNALE CIVILE DI PADOVA

SEZIONE II
 

Il giudice dott. Alberto Stocco nella causa rubricata al n. 6671/2022, promossa da:

ASGI Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione APS (C.F. 97086880156)
con gli avv.ti ALBERTO GUARISO e DORA ZAPPIA

RAZZISMO STOP ONLUS (C.F. 92073660281)
con l'avv. FERRERO MARCO

SUNIA - Federazione di Padova (C.F. 80035260282)
con l'avv. LUIGI PRETE

G           F          G          A            (C.F.               )
con gli avv.ti IRENE MARCHIORO e CHIARA ROVERSO

N            R           S       (C.F.                 )
E             J            (C. F.                  )
con l'avv. FRANCESCO MASON

RICORRENTI

nei confronti di:

REGIONE DEL VENETO (C.F. 02392630279) in persona del Presidente pro tempore
con l'avv. MUNARI TITO

COMUNE DI VENEZIA (P.I. 00339370272), in persona del Sindaco pro tempore
con gli avv.ti ANTONIO IANNOTTA, NICOLETTA ONGARO, FEDERICO TRENTO

CONVENUTI

ha pronunciato fuori udienza la seguente

ORDINANZA

1. ASGI - Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione APS, Razzismo Stop Onlus, SUNIA - Federazione di Padova, G      A      G       F      , R       S      N       , J       E       hanno agito in giudizio ai sensi degli artt. 28 d.lgs. 150/2011 e 702 bis c.p.c. nei confronti della Regione del Veneto e del Comune di Venezia rassegnando le seguenti conclusioni:

«dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39, per violazione degli artt. 3 e 117, comma 1 della Costituzione, quest'ultimo con riferimento all'art. 34 CDFUE e all'art. 12 direttiva 2011/98 e art. 11 direttiva 2003/109 (ove ritenute non dotate di efficacia diretta) nella parte in cui richiede il requisito di 5 anni di residenza o attività lavorativa negli ultimi 10 nella Regione al fine dell'accesso alle graduatorie per alloggi ERP; e conseguentemente rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per il relativo giudizio

b. accertare e dichiarare il carattere discriminatorio della condotta tenuta dagli enti convenuti e consistente quanto alla Regione del Veneto nell'avere approvato e emanato 4/2018 il Regolamento regionale 4/2018

• b1) nella parte in cui, all'art. 4, comma 1, impone l'applicazione dei requisiti di cui all’art. 25 della L.R. 39/2017, ivi compreso quello della pregressa residenza o attività lavorativa quinquennale in Veneto;

b2) nella parte in cui, all'art. 8, comma 2, lettera f), prevede l'attribuzione di punteggi aggiuntivi a chi abbia risieduto per oltre 10 anni e per oltre 30 anni in Veneto;

quanto al Comune di Venezia nell'aver approvato e emanato il Bando 2022

b3) nella parte in cui ha previsto il requisito di pregressa residenza quinquennale in Veneto;

b4) nella parte in cui ha previsto il criterio di attribuzione del punteggio di cui sopra al punto b2)

b5) nella parte in cui ha inserito l'ulteriore criterio di attribuzione del punteggio della residenza nel Comune di Venezia per oltre 15 e per oltre 25 anni.

E conseguentemente adottare ogni provvedimento necessario al fine di rimuovere la predetta discriminazione e farne cessare gli effetti e pertanto, occorrendo nell'ambito del piano di rimozione di cui all'art. 28 Dlgs 150/11,

c. ordinare

alla Regione Veneto

  • di modificare il Regolamento eliminando le previsioni oggetto dell'accertamento di cui ai punti b1 e b2 e comunque qualsiasi clausola che impedisca l'accesso alle graduatorie sulla base degli anni di residenza pregressi nella Regione o che attribuisca punteggi sulla base della mera residenza nella Regione;

al Comune di Venezia

  • di modificare il bando 2022, eliminando le clausole oggetto dell'accertamento di cui al precedente capo b3, b4) b5) e comunque qualsiasi clausola che impedisca l'accesso alle graduatorie sulla base degli anni di residenza pregressi nella Regione o che attribuisca punteggi sulla base della mera residenza nella Regione;
  • di riaprire i termini di presentazione delle domande secondo le nuove regole risultanti dalla eliminazione delle predette clausole, con un termine per le domande non inferiore a quello originario;

d. dato atto che le statuizioni richieste sub c) attengono a obblighi di fare infungibili, condannare le amministrazioni convenute a pagare alle associazione ricorrenti, ai sensi dell'art. 614bis c.p.c., euro 100,00 per ogni giorno di ritardo nell'adempimento integrale con decorrenza dal trentesimo giorno successivo alla notifica della emananda ordinanza;

d. condannare la Regione Veneto e il Comune di Venezia, in solido fra loro o in via disgiuntiva per la parte di rispettiva competenza, nel solo caso in cui al momento della sentenza le case risultassero già assegnate o non fosse possibile la riapertura della graduatoria, a risarcire il danno non patrimoniale derivante dalla discriminazione di cui al punto a), danno da liquidarsi in via equitativa , anche in relazione al tempo che sarà intercorso al momento della decisione e agli alloggi assegnati nelle more secondo i criteri che risulteranno illegittimi, indicandosi sin d'ora quale limite minimo la somma di euro 10.000 per ciascuna associazione e comunque un importo che risulti effettivamente dissuasivo;.

e. condannare la Regione del Veneto e il Comune di Venezia, in solido fra loro o in via disgiuntiva per la parte di rispettiva competenza a risarcire ai ricorrenti il danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente alla illegittima esclusione, pagando a ciascuno di essi una somma non inferiore a euro 300 (ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia) per ogni mese intercorso tra il momento in cui sarebbe stato loro assegnato un alloggio e quello di effettiva assegnazione.

d. ordinare la pubblicazione dell'emanando provvedimento sulla home page del sito istituzionale dell'amministrazione per un minimo di giorni 30, nonché su un giornale a tiratura nazionale, con caratteri doppi di quelli normalmente utilizzati».

1.1. A sostegno delle proprie domande i ricorrenti hanno rappresentato:

- che con delibera n. 139 del 30.6.2022 il Comune di Venezia ha approvato il «bando di concorso per l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica anno 2022 sotto ambiti: Venezia centro storico e isole; terra ferma veneziana»;

- che i requisiti di partecipazione indicati dal bando sono i medesimi previsti dall'art. 25 della LR Veneto n. 39/17 (recante «Norme in materia di edilizia residenziale pubblica»), richiamati e integrati dal Regolamento Regionale 10.8.2018, n. 4 rubricato «Regolamento Regionale in materia di edilizia residenziale pubblica. Articolo 49, comma 2, legge regionale 3 novembre 2017, n. 39»;

- che fra i requisiti richiesti vi è quello che prevede la «residenza anagrafica nel Veneto da almeno 5 anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi 10, fermo restando che il richiedente deve essere, comunque, residente nel Veneto alla scadenza del bando» (art. 25, comma 2, lett. a);

- che si tratta di requisito di carattere escludente, in quanto impedisce ai soggetti, italiani o stranieri, privi della residenza quinquennale in Veneto di presentare domanda in relazione al bando emanato dal Comune di Venezia;

- che i ricorrenti G      A      G      F      , R       S        N        , J        E        , in possesso di tutti i requisiti di cittadinanza e di reddito richiesti dal bando, ma non di quello della residenza quinquennale in Veneto, sono stati costretti a presentare domanda di partecipazione al bando a mezzo pec, in quanto la presentazione della domanda online (secondo la procedura prevista dal bando) richiedeva necessariamente di dichiarare la residenza quinquennale in Regione;

- che la predetta clausola escludente - così come alcuni criteri di attribuzione del punteggio previsti nel Regolamento Regionale 10.8.2018, n. 4 e nel bando - si risolvono in una discriminazione collettiva, in relazione a tutti coloro che hanno partecipato al bando e sono stati esclusi o pretermessi a causa delle clausole in questione o quelli che non hanno neppure chiesto di partecipare in quanto dissuasi dalla presenza delle predette clausole, ed individuale, in relazione ai ricorrenti G      A      G      F       , R       S        N       , J        E        , esclusi dal bando in esame e da tutti quelli successivi, in quanto privi del requisito della residenza quinquennale;

- che in ordine alle azioni civili contro la discriminazione sussiste la giurisdizione del GO, estesa anche agli atti discriminatori posti in essere dalla PA, come affermato più volte dalla giurisprudenza sia di legittimità che costituzionale;

- che nell'ambito del giudizio contro la discriminazione ben può venire in rilievo una questione di costituzionalità, ove la discriminazione si risolva nell'applicazione da parte della PA di una legge ritenuta illegittima perché contraria a Costituzione;

- che in analoga fattispecie, riguardante la LR Lombardia 8.7.2016 n. 16, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la disposizione della legge regionale volta a prevedere il requisito della residenza quinquennale previsto per l'accesso ai servizi di edilizia residenziale pubblica, in quanto contrario all'art. 3, comma 1 e comma 2, Cost. (sent . n. 44/2020, alla quale hanno fatto seguito ulteriori sentenze volte a dichiarare l'incostituzionalità di requisiti analoghi previsti da altre leggi regionali);

- che il requisito previsto dall'art. 25, comma 2, lett. a della LR Veneto 39/2017 è affetto dai medesimi vizi già riscontrati dalla Corte Costituzionale in casi analoghi e che per tale motivo la questione di costituzionalità appare rilevante e non manifestamente infondata, anche sotto il profilo del divieto di discriminazione per motivi di nazionalità (salva la lettura costituzionalmente orientata della norma da parte del Tribunale adito) ;

- che anche la disciplina dei criteri di assegnazione del punteggio dettata nel Regolamento Regionale 10.8.2018, n. 4 deve ritenersi illegittima in quanto discriminatoria, ma che, trattandosi di fonte di rango secondario, è possibile per il Tribunale adito rimuovere la discriminazione collettiva attraverso l'ordine di modifica del Regolamento e del bando, assistito dalla misura di coercizione indiretta di cui all'art. 614-bis c.p.c..

2. Costituitasi in giudizio, la Regione del Veneto ha chiesto il rigetto ovvero la declaratoria di inammissibilità delle domande svolte dai ricorrenti, eccependo:

- che il requisito della residenza quinquennale posto dalla LR Veneto n. 39/17 non può ritenersi contrario a Costituzione, in quanto attribuisce garanzia di stabilità in ordine alla assegnazione degli alloggi pubblici, come affermato in più occasioni dalla stessa Corte Costituzionale, ed opera nei confronti tanto dei cittadini italiani che degli stranieri;

- che peraltro il requisito della residenza quinquennale previsto dalla legge regionale del Veneto può essere maturato anche in forma discontinua nell'ambito di un lasso temporale di 10 anni;

- che deve inoltre essere valorizzato il principio di proporzionalità temporale nell'accesso ad alcuni diritti sociali, quale punto di equilibrio tra l'interesse a privilegiare la distribuzione delle risorse ai membri della comunità e l'interesse di chi si sposta da un territorio ad un altro (o da una Regione ad un'altra) a vedere rispettata comunque la propria dignità sia come singolo sia nelle relazioni sociali all'interno del territorio stabilito dal soggetto;

- che tali considerazioni assorbono anche le ulteriori questioni poste dai ricorrenti in relazione ai criteri di assegnazione del punteggio dettati nel Regolamento Regionale 10.8.2018, n. 4.

3. Anche il Comune di Venezia, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto delle domande proposte dai ricorrenti, eccependo:

- che i ricorrenti persone fisiche devono ritenersi privi di interesse ad agire, non avendo inoltrato domanda di partecipazione al bando nelle forme da questo previste, ma soltanto a mezzo pec;

- che, essendo i tre ricorrenti persone fisiche privi di interesse ad agire, anche le associazioni ricorrenti devono ritenersi prive di un interesse ad agire concreto e attuale in ordine all'azione proposta, mancando il legarne tra enti esponenziali e concreta vicenda di fatto che necessita di tutela;

- che le considerazioni dei ricorrenti relativi al carattere discriminatorio del requisito della residenza quinquennale non risultano convincenti;

- che la domanda risarcitoria proposta deve ritenersi infondata, in quanto, anche ammettendo a partecipare al bando i tre ricorrenti persone fisiche, non vi sarebbe comunque certezza della assegnazione agli stessi di un alloggio popolare, e in ogni caso non potrebbe ravvisarsi una responsabilità dell'ente comunale, obbligato ad applicare la legge regionale del Veneto.

Alla udienza del 9 marzo 2023 il Giudice ha assegnato alle parti termine di dieci giorni per il deposito di brevi note scritte ed ha quindi trattenuto la causa in riserva.

4. Preliminarmente va evidenziato che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla presente controversia.

Si tratta, infatti, di controversia in materia di discriminazione, che spetta alla cognizione del GO in quanto involge la tutela di una posizione di diritto soggettivo, anche nel caso in cui la discriminazione sia attuata attraverso un provvedimento della pubblica amministrazione.

L'assunto può ritenersi pacifico, tenuto conto dell'orientamento più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale «il diritto a non essere discriminati si configura, in considerazione del quadro normativo costituzionale (art. 3 Cost.), sovranazionale (Direttiva 2000/43/CE) ed interno (art. 3 e 4 del d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215 nonché l'art. 44 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) di riferimento, come un diritto soggettivo assoluto da far valere davanti al giudice ordinario, a nulla rilevando che il dedotto comportamento discriminatorio consista nell'emanazione di un atto amministrativo. Il giudice ordinario deve, infatti, limitarsi "a decidere la controversia valutando il provvedimento amministrativo denunziato, disattendendolo "tamquam non esset" e adottando i conseguenti provvedimenti idonei a rimuoverne gli effetti, ove confermato lesivo del principio di non discriminazione od integrante gli estremi della illegittima reazione, senza tuttavia interferire nelle potestà della p.a., se non nei consueti e fisiologici limiti ordinamentali della disapplicazione incidentale ai fini della tutela dei diritti soggettivi controversi» (cfr. Cass. civ. n. 3842/2021, che riprende Cass. S.U. n. 3670/2011).

Tale orientamento, espresso prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011, conserva tuttora il proprio valore, posto che l'art. 28 del d.lgs. n. 150/2011 stabilisce al comma 1 che «Le controversie in materia di discriminazione di cui all'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, quelle di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, quelle di cui all'articolo 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67. e quelle di cui all'articolo 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo» e al comma 5 che «Con l'ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti».

Sussiste, pertanto, la giurisdizione del Tribunale adito in relazione alle domande proposte dai ricorrenti (mentre ogni questione relativa all'ampiezza dei poteri che spettano al giudice ordinario al fine di rimuovere la discriminazione quando questa sia prodotta da un atto della PA va riservata all'ordinanza decisoria della controversia).

5. In secondo luogo va esaminata l'eccezione di difetto di interesse ad agire dei ricorrenti sollevata dal Comune convenuto.

In relazione ai tre ricorrenti persone fisiche il Comune ha affermato che «Il ricorso appare inammissibile per carenza di interesse in quanto i tre ricorrenti non hanno partecipato al bando ERP di cui oggi si discute, non avendo presentato la domanda secondo le modalità indicate nel bando stesso e, cioè, la procedura on line, accedendo al portale informatico regionale o, in alternativa, compilando la domanda presso gli uffici di Insula s.p.a., previo appuntamento» (p. 2 delle note scritte depositate in data 20 marzo 2023).

Quanto agli enti ricorrenti, la convenuta ha eccepito che «la carenza di interesse ex art.100 c.p. c. delle tre persone fisiche fa venir meno anche l'interesse delle associazioni oggi ricorrenti» (p. 2 delle note scritte depositate in data 20 marzo 2023).

L'eccezione è infondata.

Sebbene sia pacifico che i ricorrenti G      A       G       F       , R       S     N        e J        E        non hanno presentato domanda di partecipazione al bando attraverso le modalità da questo previste (ossia attraverso la compilazione di apposita domanda online), in quanto hanno presentato domanda a mezzo pec allegando i documenti necessari (fatto pacifico, perché non contestato specificamente dal Comune), deve comunque ravvisarsi un interesse ad agire in capo agli stessi.

Va infatti osservato che nel caso di specie si verte in ipotesi di azione contro la discriminazione, per sua natura caratterizzata da un particolare petitum, in quanto volta all'accertamento del carattere discriminatorio di un comportamento, di una condotta o di un atto e alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti.

Se così è, deve allora ritenersi che gli odierni ricorrenti siano titolari di un interesse ad agire attuale e concreto indipendentemente dalla presentazione della domanda di partecipazione al bando, considerato che è la stessa previsione di un requisito "escludente" (quale il requisito che richiede la residenza quinquennale nella regione) a tradursi nella lesione del diritto dei ricorrenti alla parità di trattamento in relazione all'accesso alle abitazioni di edilizia residenziale pubblica, in quanto li esclude in via immediata dalla platea dei soggetti che possono partecipare al bando.

In altre parole, la lesione della posizione giuridica soggettiva dei ricorrenti risulta già consumata con la semplice previsione nel bando di un requisito "immediatamente escludente" ritenuto dagli stessi illegittimo perché discriminatorio; considerazione che induce a ravvisare l'interesse dei ricorrenti ad agire in giudizio al fine di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, ossia l'accertamento del carattere discriminatorio e illegittimo della previsione contenuta nel bando e la rimozione delle conseguenze pregiudizievoli dalla stessa derivanti.

Peraltro va osservato che la procedura informatica prevista dal bando richiedeva di attestare, con assunzione della responsabilità anche penale prevista dall'art. 76 del D.P.R. 445/2000, la titolarità della «residenza anagrafica nel Veneto da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni, fermo restando che il richiedente deve essere, comunque, residente nel Veneto alla data di scadenza del bando di concorso» (doc. 19 depositato dai ricorrenti).

I ricorrenti, pertanto, per poter inoltrare le rispettive domande nelle forme previste dal bando, avrebbero dovuto dichiarare il falso, attestando falsamente di essere in possesso del requisito della residenza quinquennale.

Tale considerazione da un lato evidenzia l'inesigibilità per i ricorrenti della presentazione delle domande nelle forme previste dal bando, in considerazione delle rilevanti conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci; dall'altro, induce a ritenere legittima la presentazione delle domande di partecipazione al bando con modalità equipollenti, ossia attraverso l'invio di una pec o di una raccomandata a.r. (come verificatosi nel caso di specie).

L'eccezione di difetto di interesse ad agire dei ricorrenti G      A       G        F       , R       S       N        e J        E       deve pertanto essere respinta.

Quanto agli enti ricorrenti, va osservato che gli stessi hanno agito in giudizio denunciando l'effetto discriminatorio derivante, per la generalità dei soggetti illegittimamente esclusi dalla partecipazione al bando, dalla previsione della legge regionale che impone il requisito della residenza quinquennale per l'accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

In particolare, gli enti ricorrenti hanno esercitato l'azione antidiscriminatoria collettiva prevista dall'art. 5 del d.lgs. n. 215/2003 e dall'art. 5 del d.lgs. n. 216/2003 (come modificato con legge 23 dicembre 2021, n. 238) al fine di tutelare l'interesse di tutti i soggetti, non immediatamente e direttamente identificabili, a non subire discriminazioni nell'accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio, in ragione della nazionalità.

Tanto premesso, va osservato che l'interesse ad agire di ASGI, Razzismo Stop Onlus e SUNIA deve ritenersi sussistente nella misura in cui l'accoglimento del ricorso - previa declaratoria di incostituzionalità dell'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39 - comporta la rimozione del requisito della residenza quinquennale per l'accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e l'ammissione alle graduatorie di tutti coloro che risultano privi di tale requisito. In altre parole, il risultato vantaggioso, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice che sorregge l'azione collettiva degli enti ricorrenti va ravvisato proprio nella rimozione della condotta discriminatoria attuata tramite la riproduzione, nel Regolamento regionale n. 4/2018 e nel bando emanato dal Comune di Venezia, della norma delle legge regionale ritenuta incostituzionale, e delle conseguenze pregiudizievoli dalla stessa derivanti in capo a tutti i soggetti esclusi dalla partecipazione al bando perché privi del requisito della residenza quinquennale.

L'eccezione di difetto di interesse ad agire degli enti ricorrenti deve dunque ritenersi infondata.

6. Tanto premesso in ordine alle eccezioni pregiudiziali sollevate dai convenuti, va osservato che i ricorrenti lamentano l'esistenza di una discriminazione indiretta, individuale e collettiva, derivante dalla applicazione da parte del Comune di Venezia e della Regione del Veneto, dell'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39, disposizione che prevede il requisito della residenza quinquennale in Veneto per l'accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica («I soggetti di cui al comma 1 devono, inoltre, essere in possesso dei seguenti requisiti:

a) residenza anagrafica nel Veneto da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni, fermo restando che il richiedente deve essere, comunque, residente nel Veneto alla data di scadenza del bando di concorso»).

I ricorrenti, in particolare, sul presupposto del carattere discriminatorio di tale previsione, censurano la condotta tenuta dalla Regione del Veneto e dal Comune di Venezia, consistente, rispettivamente, nell'avere approvato e emanato il Regolamento regionale n. 4/2018 nella parte in cui, all'art. 4 comma 1, impone l'applicazione dei requisiti di cui all'art. 25 della L.R. 39/2017 e nell'aver approvato e emanato il «bando di concorso per l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica anno 2022 sotto ambiti: Venezia centro storico e isole; terra ferma veneziana», nella parte in cui ha previsto il requisito di pregressa residenza quinquennale in Veneto. A tale proposito i ricorrenti richiamano le considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 44/2020, con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 22, comma 1, lett. b) della L.R. Lombardia 8 luglio 2016 n. 16 nella parte in cui prevedeva che «(i) beneficiari dei servizi abitativi pubblici devono avere i seguenti requisiti: b) residenza anagrafica o svolgimento di attività lavorativa in Regione Lombardia per almeno cinque anni nel periodo immediatamente precedente la data di presentazione della domanda» per contrasto con l'art. 3, comma 1 e comma 2 Cost., evidenziando l'analogia tra la questione sottoposta alla Corte e quella oggetto della presente controversia.

I ricorrenti censurano, altresì, alcune previsioni, contenute nel Regolamento e nel Bando, che prevedono l'attribuzione di punteggi aggiuntivi in ragione della prolungata residenza in Veneto.

Tra le due questioni sollevate dai ricorrenti la prima assume carattere preliminare, atteso che il mancato possesso del requisito della residenza quinquennale rende irrilevante ogni questione relativa all'attribuzione del punteggio, in quanto impedisce di per sé la partecipazione al bando e così l'accesso ai servizi abitativi pubblici (peraltro l'eventuale carattere discriminatorio delle previsioni del Regolamento e del Bando di concorso relative ai criteri di attribuzione del punteggio può essere accertato direttamente da questo giudice, trattandosi di fonte normativa secondaria).

La valutazione relativa alla proporzionalità e ragionevolezza della previsione dettata dalla L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39 - poi trasfusa nel Regolamento regionale n. 4/2018 e nel Bando 2022 emanato dal Comune di Venezia assume dunque carattere del tutto preliminare rispetto all'esame della seconda questione evidenziata dai ricorrenti (relativa alle clausole attributive del punteggio).

Al fine di sostenere le proprie ragioni i ricorrenti denunciano l'incostituzionalità della previsione della residenza quinquennale contenuta art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39, per violazione dell'art 3 Cost. e, in subordine, dell'art. 117 comma 1 Cost. (quest'ultimo con riferimento all'art. 34 CDFUE, all'art. 12 direttiva 2011/98 e all'art. 11 direttiva 2003/109).

Secondo la prospettazione dei ricorrenti, in particolare, la declaratoria di incostituzionalità della predetta disposizione normativa consentirebbe di accertare ex post (ossia nell'ambito del presente giudizio, una volta che la Corte Costituzionale abbia dichiarato incostituzionale la norma) il carattere discriminatorio del Regolamento regionale n. 4/2018 e del Bando 2022 emanato dal Comune di Venezia, nella parte in cui, recependo il requisito della residenza quinquennale in mancanza della base normativa rappresentata dall'art. 25 comma 2, lett. a) della Legge Regionale Veneto, attuano una irragionevole e ingiustificata restrizione nell'accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

Si tratta di prospettazione in linea con l'orientamento più volte espresso dalla giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, in base al quale l'azione civile contro la discriminazione è esperibile anche qualora una illegittima disparità di trattamento sia prevista da una legge nazionale e l'azione venga proposta al fine di sollevare una questione di costituzionalità (cfr. fra le altre Cass. S.U. n. 7951/2016; Corte App. Milano 25.3.2019; Trib. Milano 27.7.2020).

7. Tanto chiarito, va osservato che la questione di costituzionalità sollevata dai ricorrenti non può essere risolta attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39.

È noto, infatti, che prima di sollevare l'incidente di costituzionalità il giudice a quo deve verificare la possibilità di interpretare la disposizione censurata in modo da renderla rispettosa della Costituzione; soltanto nel caso in cui il giudice ritenga impossibile fornire una interpretazione secundum constitutionem della norma, diviene necessaria la rimessione della questione alla Corte Costituzionale (cfr., fra le altre, Corte Cost. 356/1996; 308/2008; 113/2015). Tale obbligo, tuttavia, incontra un limite nell'univoco tenore della norma, che non consente una pluralità di interpretazioni, una delle quali conforme a Costituzione (cfr. Corte Cost. 26/2010; 270/2010).

Nel caso di specie il tenore letterale della norma censurata risulta chiaro e univoco, atteso che l'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39 prevede espressamente che «I soggetti di cui al comma 1 devono, inoltre, essere in possesso dei seguenti requisiti:

a) residenza anagrafica nel Veneto da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni, fermo restando che il richiedente deve essere, comunque, residente nel Veneto alla data di scadenza del bando di concorso».

La norma limita testualmente il diritto di accesso ai servizi di edilizia residenziale pubblica ai soggetti - cittadini italiani, cittadini di Stati appartenenti all'Unione europea regolarmente soggiornanti in Italia e loro familiari, titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria, stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale e che esercitano una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo (come previsto dal comma 1 della disposizione in parola) in possesso del requisito della pregressa residenza quinquennale nella regione Veneto.

In ragione della univocità del tenore letterale di tale disposizione, viene dunque a mancare un dato lessicale polisenso suscettibile di letture alternative, di cui una conforme a Costituzione, a meno di non accedere a interpretazioni "creative" di dubbia ammissibilità.

L'unica strada percorribile, pertanto, risulta essere quella del sindacato di legittimità costituzionale della norma.

8. Ciò chiarito, va osservato che a parere di questo Tribunale la questione di costituzionalità dell'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39 presenta i caratteri della rilevanza e della non manifesta infondatezza in riferimento all'art. 3, comma 1 e comma 2, della Costituzione.

8 .1. Quanto alla rilevanza, ossia alla prevedibile necessità che la norma sulla quale verte il dubbio di costituzionalità trovi applicazione_ nel giudizio a quo, va osservato che la decisione delle domande proposte dai ricorrenti - volte all'accertamento del carattere discriminatorio delle condotte tenute dalla Regione del Veneto e dal Comune di Venezia (consistenti, rispettivamente, nell'avere approvato e emanato il Regolamento regionale n. 4/2018 nella parte in cui, all'art. 4 comma 1, impone l'applicazione dei requisiti di cui all'art. 25 della L.R. Veneto n. 39/2017 e nell'aver approvato e emanato il «bando di concorso per l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica anno 2022 sotto ambiti: Venezia centro storico e isole; terra ferma veneziana», nella parte in cui ha previsto il requisito di pregressa residenza quinquennale in Veneto) e alla rimozione della discriminazione attraverso la modifica del Regolamento e del Bando, con eliminazione della clausola "escludente", e la riapertura dei termini per la presentazione delle domande richiede necessariamente l'applicazione nel presente giudizio dell'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39, che ha "orientato" la condotta tanto della Regione quanto del Comune.

La disposizione censurata, infatti, costituisce l'indefettibile presupposto normativo del Regolamento e del Bando per mezzo dei quali, nella prospettiva dei ricorrenti, è stata attuata la discriminazione nell'accesso ai servizi di edilizia residenziale pubblica.

I ricorrenti G      A       G      F       , R       S        N        e J         E        , infatti, risultano impossibilitati a partecipare al bando per l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica emanato dal Comune di Venezia per l'anno 2022 esclusivamente in ragione della mancanza del requisito della pregressa residenza quinquennale in Veneto. In particolare, può ritenersi pacifico, perché non contestato specificamente dai convenuti ai sensi dell'art. 115 comma 1 c.p.c., il possesso in capo ai ricorrenti di tutti gli altri requisiti richiesti dal bando, ossia i requisiti di cittadinanza o di soggiorno e quelli di reddito.

Precisamente, G      A        G       F        , cittadino venezuelano, risulta titolare dello status di rifugiato e di permesso di soggiorno; R      S        N      , cittadina camerunense, risulta titolare di un permesso per protezione internazionale; J         E        risulta titolare di un permesso per motivi di lavoro subordinato (fatti pacifici e comunque provati in via documentale).

Tutti e tre i ricorrenti risultano in possesso di un ISEE inferiore al limite massimo posto dal bando (fatto pacifico, perché non contestato specificamente).

Quanto all'interesse ad agire dei tre ricorrenti, e in particolare alla questione relativa alla presentazione della domanda di partecipazione al bando, già si è detto al paragrafo 5 della presente ordinanza.

L'accertamento relativo alla natura discriminatoria dell'esclusione dei ricorrenti dalla possibilità di partecipare al bando ERP 2022 del Comune di Venezia, pertanto, è necessariamente collegato al vaglio di legittimità costituzionale del requisito di residenza quinquennale posto dall'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39, al quale tanto la Regione Veneto quanto il Comune di Venezia risultano essersi conformati.

In merito alla posizione delle associazioni ricorrenti va osservato che le stesse hanno agito ai sensi dell'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 215/2003 («Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica») e dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 216/2003 («Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro») al fine di ottenere l'accertamento del carattere discriminatorio della condotta tenuta dalle convenute e la rimozione degli effetti di tale discriminazione, oltre alla condanna della Regione e del Comune al risarcimento del danno non patrimoniale. Trattasi di azione contro la discriminazione collettiva volta a censurare le condotte che escludono o rendono più difficile l'accesso ad alcuni beni o servizi non soltanto in ragione della razza o dell'etnia, ma anche della nazionalità (cfr., fra le altre, Cass. civ. n. 28745/2019).

In modo non dissimile da quanto osservato in relazione ai ricorrenti persone fisiche, il vaglio di fondatezza di tali domande richiede necessariamente la verifica in ordine alla applicabilità dell'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39, trasfuso nel Regolamento della Regione Veneto e nel Bando emanato dal Comune di Venezia; di qui l'indubbia rilevanza della questione di costituzionalità prospettata dai ricorrenti.

8.2. A parere di questo giudice sussiste, inoltre, il requisito della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39 (in base al quale «I soggetti di cui al comma 1 devono, inoltre, essere in possesso dei seguenti requisiti:

a) residenza anagrafica nel Veneto da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni, fermo restando che il richiedente deve essere, comunque, residente nel Veneto alla data di scadenza del bando di concorso») in relazione all'art. 3 Cost.

Sul punto appare doveroso il richiamo alle considerazioni espresse dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 44/2020, con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 22, comma 1, lett. b) della L.R. Lombardia 8 luglio 2016 n. 16 nella parte in cui prevedeva che «(i) beneficiari dei servizi abitativi pubblici devono avere i seguenti requisiti: b) residenza anagrafica o svolgimento di attività lavorativa in Regione Lombardia per almeno cinque anni nel periodo immediatamente precedente la data di presentazione della domanda» per contrasto con l'art. 3, comma 1 e comma 2 Cost.

In tale pronuncia - che rappresenta un punto di approdo del lungo iter che ha visto la Corte Costituzionale pronunciarsi sulla compatibilità con la Carta fondamentale di numerose leggi regionali che, nel definire i requisiti di accesso ad alcune prestazioni sociali, hanno privilegiato coloro che risiedono in Regione da un certo periodo di tempo, escludendo i residenti di altre Regioni, o in taluni casi in modo esplicito gli stranieri extra-comunitari (cfr., in particolare, le pronunce nn. 432 del 2005; 32 del 2008; 107 del 2010; 40 del 2011; 2, 133, 172 e 222 del 2013; 141 e 168 del 2014; 106, 107 e 166 del 2018; 40 del 2020; nonché le successive pronunce 281/2020; 7/2021; 9/2021) - vengono enucleati alcuni principi fondamentali in materia di criteri selettivi di accesso alle prestazioni sociali, e in particolare alle prestazioni di edilizia residenziale pubblica.

In particolare, la Corte Costituzionale, richiamando i propri precedenti, ha in primo luogo evidenziato che il diritto all'abitazione rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione (sentenza n. 217 del 1988; nello stesso senso sentenze n. 106 del 2018, n. 168 del 2014, n. 209 del 2009 e n. 404 del 1988); che tale diritto, benché non espressamente previsto dalla Costituzione, deve ritenersi incluso nel catalogo dei diritti inviolabili ( fra le altre, sentenze n. 161 del 2013, n. 61 del 2011 e n. 404 del 1988 e ordinanza n. 76 del 2010); e che il suo oggetto, l'abitazione, deve considerarsi «bene di primaria importanza» (sentenza n. 166 del 2018; si vedano anche le sentenze n. 38 del 2016, n. 168 del 2014 e n. 209 del 2009).

In secondo luogo, la Corte ha osservato che la prestazione di edilizia residenziale pubblica è diretta ad assicurare in concreto il soddisfacimento di un bisogno primario, perché serve a garantire un'abitazione . a soggetti economicamente deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi (sentenza n. 176 del 2000), al fine di assicurare un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti (art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), mediante un servizio pubblico deputato alla provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti (sentenza n. 168 del 2014). L'edilizia residenziale pubblica rientra dunque nell'ambito dei «servizi sociali» di cui all'art. 1, comma 2, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), e all'art. 128, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Tanto premesso, la Corte Costituzionale si è soffermata sulla legittimità dei criteri adottati dal legislatore per selezionare i beneficiari dei servizi sociali·- fra i quali anche il servizio relativo alla edilizia residenziale pubblica - chiarendo che tali criteri:

- devono presentare un collegamento con la funzione del servizio (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 107 del 2018, n. 168 del 2014, n. 172 e n. 133 del 2013 e n. 40 del 2011); in particolare deve sussistere un collegamento «fra finalità del servizio da erogare e caratteristiche soggettive richieste ai suoi potenziali beneficiari»;

- tale collegamento deve essere ragionevole e adeguato avuto riguardo al parametro dettato dall'art. 3, comma 1, Cost.; la verifica di ragionevolezza e adeguatezza è operata dalla Corte secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell'art. 3, comma 1, Cost., che muove dall'identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto.

Considerato che la ratio del servizio relativo alla edilizia residenziale pubblica è quella di garantire «il soddisfacimento del bisogno abitativo», secondo la Corte deve ritenersi che la condizione della pregressa residenza nella regione non presenti con esso alcuna ragionevole connessione, in quanto non è indice «di alcuna condizione rilevante in funzione del bisogno che il servizio tende a soddisfare»; tale requisito, in particolare, «si risolve così semplicemente in una soglia rigida che porta a negare l'accesso all'ERP a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla situazione di bisogno o di disagio del richiedente (quali ad esempio condizioni economiche, presenza di disabili o di anziani nel nucleo familiare, numero dei figli). Ciò è incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale, come servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli (sentenza n. 107 del 2018, che cita l'art. 2, comma 3, della legge n. 328 del 2000)».

Tali coordinate, applicate al caso di specie, inducono questo giudice a dubitare della legittimità costituzionale dell'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39, disposizione che introduce un requisito di accesso al servizio di edilizia residenziale pubblica analogo a quello scrutinato dalla Corte Costituzionale nella sentenza richiamata.

In particolare, la previsione del requisito della «residenza anagrafica nel Veneto da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni» appare irragionevole nella misura in cui non presenta alcun collegamento con la ratio del servizio (come visto, identificata nel soddisfacimento del bisogno abitativo).

Trattasi di requisito che impedisce in modo automatico, senza alcuna valutazione in ordine alla sussistenza o meno di uno stato di bisogno abitativo, l'accesso al servizio pubblico e che non risponde ad alcun criterio di ragionevolezza. Non vi è, infatti, alcuna ragionevole correlazione tra la durata della residenza, prevista dalla disposizione in parola, e la situazione di bisogno che il servizio abitativo pubblico mira ad alleviare, non potendo ragionevolmente ritenersi che coloro che vivono nella regione Veneto da meno di cinque anni versino in una situazione di bisogno "affievolita" rispetto a chi vi risiede da più anni (cfr. sul punto Corte Cost. sentenza n. 222 del 2013).

L'applicazione della disposizione in parola - ossia l'esclusione dei soggetti che non posseggono il requisito della pregressa residenza quinquennale - risulta peraltro foriera di conseguenze che contrastano con la funzione stessa del servizio, in quanto impedisce a soggetti bisognosi, altrimenti legittimati, di accedere ad un alloggio pubblico.

Tali conclusioni non appaiono incrinate dalle difese della Regione Veneto, la quale ha richiamato l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 222/2013 in una fattispecie analoga alla presente (che interessava la legge della regione Friuli Venezia Giulia). In tale occasione la Corte ha ritenuto ragionevole e legittima la previsione di un requisito di pregressa residenza nella regione ai fini dell'accesso al servizio di edilizia residenziale pubblica, valorizzando il radicamento territoriale prolungato quale criterio selettivo per l'accesso ai servizi abitativi pubblici. In buona sostanza, considerato che le politiche abitative impegnano risorse limitate e non sufficienti per tutti, consumano suolo e condizionano la politica urbanistica, la Corte ha ritenuto ragionevole la pianificazione delle stesse sulla base delle esigenze di coloro che, essendo residenti da tempo nel contesto in cui vengono realizzate, danno maggiore garanzia di stabilità della loro permanenza, evitando così di dar luogo ad un'attività amministrativa dispersiva ed inefficiente.

Tale orientamento appare tuttavia definitivamente superato alla luce delle considerazioni espresse dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 44/2020, laddove ha evidenziato che «La previa residenza ultraquinquennale non è di per sé indice di un'elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale, mentre a tali fini risulterebbero ben più significativi altri elementi sui quali si può ragionevolmente fondare una prognosi di stanzialità. In altri termini, la rilevanza conferita a una condizione del passato, quale è la residenza nei cinque anni precedenti, non sarebbe comunque oggettivamente idonea a evitare il "rischio di instabilità" del beneficiario dell'alloggio di edilizia residenziale pulbblica, obiettivo che dovrebbe invece essere perseguito avendo riguardo agli indici di probabilità di permanenza per il futuro».

Pertanto, la valorizzazione del criterio della «stabilità» nella assegnazione dell'alloggio secondo la Corte - non risulta arbitraria o irragionevole, specie se si tiene conto dell'esigenza di non sprecare inutilmente risorse e attività amministrativa, con il rischio di dover ripetere in tempi brevi le procedure di assegnazione degli alloggi; a condizione, tuttavia, che si faccia riferimento ad elementi diversi e ben più significativi rispetto a quello della pregressa residenza nella regione, sui quali poter ragionevolmente fondare una prognosi di stanzialità pro futuro.

Le difese svolte dalla Regione Veneto sotto tale profilo non appaiono dunque idonee ad escludere l'irragionevolezza della previsione di legge.

Né appare dirimente la circostanza che l'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39, a differenza dell'art. 22, comma 1, lett. b) della L.R. Lombardia 8 luglio 2016 n. 16 oggetto della sentenza n. 44 /2020 della Corte Costituzionale, contempli un requisito di residenza nella Regione Veneto «da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni».

Tale previsione, infatti, non incide sulle considerazioni già svolte, in quanto non introduce alcun ragionevole collegamento tra il requisito "escludente" e la ratio del servizio abitativo pubblico né garantisce in modo ragionevole le richiamate esigenze di stabilità, essendo evidente che una pregressa permanenza in Veneto frammentata in un periodo molto risalente nel tempo «non è di per sé indice di un'elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale» anche per il futuro.

Alla luce di tali considerazioni, a parere di questo giudice, sussiste il requisito della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità relativa all'art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39, che appare in contrasto sia con i principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3, comma 1, Cost. - in quanto produce una irragionevole disparità di trattamento a danno di chi, cittadino o straniero, non sia in possesso del requisito ivi previsto - sia con il principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma 2, Cost. nella misura in cui produce effetti contrastanti con la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica -.

9. per i motivi sinora esposti, ritenuta la sussistenza dei presupposti della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 comma 2, lett. a) della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39 - nella parte in cui annovera, fra i requisiti di accesso al servizio di edilizia residenziale pubblica, quello della «residenza anagrafica nel Veneto da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni»

- per contrasto con l'art. 3 Cost., va sollevata questione di costituzionalità in via incidentale, al fine di ottenere dalla Corte Costituzionale, previo vaglio di ammissibilità e fondatezza della questione, la caducazione della predetta disposizione di legge.

P.Q.M.

1) Sospende il giudizio.

2) Ordina che la presente ordinanza sia notificata a cura della Cancelleria a tutte le parti del presente giudizio e al Presidente della Giunta Regionale del Veneto e sia comunicata al Presidente del Consiglio Regionale del Veneto.

3) Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, a cura della Cancelleria, unitamente alla presente ordinanza e alla prova delle predette notificazioni e comunicazioni.


Padova, 18 maggio 2023
 

Il Giudice
Alberto Stocco

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