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Bur n. 90 del 09 luglio 2021


Sentenze

Sentenza n. 132/2021 nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Veneto 14 aprile 2020, n. 10 "Attivazione da parte dell'Università degli studi di Padova del corso di laurea in medicina e chirurgia presso l'Azienda ULSS n. 2 Marca Trevigiana. Disposizioni in materia di finanziamento da parte della Regione del Veneto e ulteriori disposizioni", pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Veneto n. 52 del 17 aprile 2020.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE


composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Veneto 14 aprile 2020, n. 10 (Attivazione da parte dell’Università degli studi di Padova del corso di laurea in medicina e chirurgia presso l’Azienda ULSS n. 2 Marca Trevigiana. Disposizioni in materia di finanziamento da parte della Regione del Veneto e ulteriori disposizioni), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 16-19 giugno 2020, depositato in cancelleria il 19 giugno 2020, iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;

udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi l’avvocato dello Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto;

deliberato nella camera di consiglio del 12 maggio 2021.


Ritenuto in fatto
 

1.– Con ricorso notificato il 16-19 giugno 2020 e depositato il 19 giugno 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Veneto 14 aprile 2020, n. 10 (Attivazione da parte dell’Università degli studi di Padova del corso di laurea in medicina e chirurgia presso l’Azienda ULSS n. 2 Marca Trevigiana. Disposizioni in materia di finanziamento da parte della Regione del Veneto e ulteriori disposizioni), in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, della Costituzione.

1.1.– L’ art. 1, comma 1, della legge reg. Veneto n. 10 del 2020, al fine di incrementare il numero dei posti per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia, autorizza la Giunta regionale «a stipulare una convenzione di durata quindicennale con l’Università degli Studi di Padova e l’Azienda ULSS n. 2 Marca Trevigiana per sostenere l’attivazione, da parte dell’Università medesima, a decorrere dall’anno accademico 2020/2021, del corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia presso le strutture messe a disposizione dall’Azienda ULSS 2 a Treviso, con assunzione da parte della Regione degli oneri relativi alla chiamata dei docenti di ruolo nonché dei docenti a contratto ai sensi dell’articolo 18 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”».

Al successivo comma 2, l’impugnato art. 1 provvede alla copertura finanziaria della spesa, stabilendo che «[a]gli oneri derivanti dall’applicazione del presente articolo, quantificati nel limite massimo di euro 1.570.000,00 annui, si fa fronte con le risorse del Fondo Sanitario Regionale allocate alla Missione 13 “Tutela della salute”, Programma 01 “Servizio sanitario regionale - finanziamento ordinario corrente per la garanzia dei LEA”, Titolo 1 “Spese correnti” del bilancio di previsione 2020-2022».

1.2.– Secondo il ricorrente, l’art. 1 della legge reg. Veneto n. 10 del 2020, ponendo a carico del Fondo sanitario regionale l’intero costo del personale docente del corso di laurea che si intende attivare, e non soltanto la quota parte riferibile alle attività assistenziali svolte dallo stesso corpo docente, «secondo la regola che, in base al decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, presiede ai rapporti tra il Servizio sanitario e le università ai fini del finanziamento del concorso alla della facoltà di medicina e chirurgia alle finalità di quel Servizio», avrebbe destinato all’integrazione dell’offerta formativa universitaria risorse di bilancio vincolate al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza (d’ora in avanti: LEA), incidendo negativamente su questi ultimi; dal che la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Da ciò deriverebbe, di riflesso, l’incisione sui livelli di tutela della salute, e altresì la violazione dei principi fondamentali che presiedono al coordinamento della finanza pubblica in materia sanitaria.

Ricorda la difesa statale, infatti, come questa Corte in più occasioni avrebbe affermato che l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., nel garantire su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, vincolerebbe il relativo finanziamento alla loro attuazione, da parte delle Regioni, e demanderebbe allo Stato la tutela del vincolo di destinazione posto a garanzia dell’effettiva erogazione dei LEA (si citano le sentenze n. 62 del 2020 e n. 197 del 2019).

1.3.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 1 della legge reg. Veneto n. 10 del 2020 contrasterebbe, poi, con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 20 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42).

Tale ultima disposizione, infatti, prescrivendo che venga data chiara e separata evidenza contabile alle entrate e alle spese destinate al finanziamento e all’erogazione rispettivamente dei livelli essenziali di assistenza sanitaria determinati dal legislatore statale e dei livelli di assistenza sanitaria superiori rispetto ai LEA, «distingue nettamente i costi “necessari”», riguardanti le prestazioni dei primi, «dalle altre spese sanitarie, assoggettate al – e condizionate dal – principio della sostenibilità economica» (si cita novamente la sentenza n. 62 del 2020).

Secondo la difesa statale, da ciò discenderebbe, per un verso, l’impossibilità di destinare a spese diverse, anche se di natura sanitaria, allorché non essenziali, le risorse specificamente allocate in bilancio ed integralmente vincolate per il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza (si richiama ancora la sentenza n. 62 del 2020); per l’altro, e a fortiori, l’impossibilità di destinare quelle risorse a spese, come nella specie, di natura non sanitaria.

Da ciò l’illegittimità costituzionale dell’impugnata disposizione regionale, che esplicitamente distrarrebbe risorse del Fondo sanitario regionale, afferenti al finanziamento ordinario e corrente dei LEA, a favore di spese di natura formativa.

1.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura l’art. 1 della legge reg. Veneto n. 10 del 2020 anche con un secondo motivo di ricorso.

Secondo la difesa statale, la disposizione impugnata, prevedendo la stipula di una convenzione di cofinanziamento dell’attivazione di un nuovo corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia, concorrerebbe all’aumento dell’offerta e della capacità formativa, a prescindere da qualsiasi coordinamento con le disposizioni statali che provvedono a definire su base annuale il fabbisogno dei dirigenti medici.

Ricorda, infatti, l’Avvocatura generale che il numero degli studenti ammessi a frequentare i corsi di laurea in medicina e chirurgia e quello dei medici ammessi alla formazione specialistica sarebbero determinati dalla legislazione statale in funzione ed in relazione al fabbisogno del personale medico.

1.5.– Sul punto, l’Avvocatura generale richiama l’art. 6-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421). Ai sensi del comma 1 della citata disposizione statale, «[e]ntro il 30 aprile di ciascun anno il Ministro della sanità, sentiti la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri e degli altri Ordini e Collegi professionali interessati, determina con uno o più decreti il fabbisogno per il Servizio sanitario nazionale, anche suddiviso per regioni, in ordine ai medici chirurghi, veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi, nonché al personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione ai soli fini della programmazione da parte del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica degli accessi ai corsi di diploma di laurea, alle scuole di formazione specialistica e ai corsi di diploma universitario».

Il comma 2 del citato art. 6-ter statuisce che il fabbisogno di cui al comma 1 – così scrive la difesa statale – «è a sua volta determinato tenendo conto degli obiettivi e dei livelli essenziali di assistenza indicati dal Piano sanitario nazionale e da quelli regionali, dei modelli organizzativi dei servizi nonché dell’offerta e della domanda di lavoro considerando il personale in corso di formazione e il personale già formato, non ancora immesso nell’attività lavorativa».

1.6.– Sul versante della formazione specialistica verrebbe, poi, in rilievo l’art. 35 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE). Tale articolo prevedrebbe che, con cadenza triennale, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, tenuto conto delle relative esigenze sanitarie e sulla base di un’approfondita analisi della situazione dell’occupazione, individuano il fabbisogno dei medici specialisti da formare, e che su tale base «il Ministro della sanità, di concerto con quello dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, determina il numero globale degli specialisti da formare annualmente, per ciascuna tipologia di specializzazione, tenuto conto dell’obiettivo di migliorare progressivamente la corrispondenza tra il numero degli studenti ammessi a frequentare i corsi di laurea in medicina e chirurgia e quello dei medici ammessi alla formazione specialistica, nonché del quadro epidemiologico, dei flussi previsti per i pensionamenti e delle esigenze di programmazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano con riferimento alle attività del Servizio sanitario nazionale».

Alla luce del richiamato quadro normativo, per la difesa statale sarebbe «di tutta evidenza» come la norma impugnata sia del tutto «avulsa dal quadro programmatorio e regolatorio […] tratteggiato».

L’art. 1 della legge reg. Veneto n. 10 del 2020 concorrerebbe, infatti, all’aumento dell’offerta formativa dell’ateneo padovano, «al di fuori di qualsiasi riferimento al(l’effettivo) fabbisogno di medici e di specialisti quale periodicamente determinato a livello nazionale sulla base», sia dei dati forniti dalle Regioni, sia dei criteri puntualmente indicati dal legislatore statale.

In altri termini, l’impugnata disposizione regionale non opererebbe alcun richiamo alla vincolante programmazione nazionale del fabbisogno dei medici; dal che il denunciato contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalle norme statali, nonché la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica.

2.– Con atto depositato il 20 luglio 2020, si è costituita in giudizio la Regione Veneto, chiedendo che siano dichiarate infondate le questioni di legittimità promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.

2.1.– La resistente contesta le censure mosse da parte avversa, sostenendo, in sostanza, che la legge impugnata costituisca la risposta necessitata alla grave emergenza sanitaria causata dall’inerzia dello Stato o, comunque sia, dall’inadeguato esercizio delle competenze di quest’ultimo, a fronte di una conclamata e più volte segnalata carenza di medici e specialisti.

2.2.– Secondo la difesa regionale, lo scenario all’interno del quale andrebbe collocata la vicenda non sarebbe quello formale del riparto di competenze, ma quello sostanziale della tutela dei diritti alla salute dei cittadini, la cui garanzia sarebbe affidata alla stessa Regione, quale soggetto responsabile a livello locale dell’organizzazione del servizio sanitario.

Sostiene, infatti, la resistente che, posto un dato organigramma di competenze, sarebbe, comunque sia, necessario misurarsi con le «condizioni oggettive» in cui verserebbe la sanità, allorché si contestino alla Regione «invasioni di ambiti materiali riservati allo Stato». Da ciò l’affermazione che dovrebbe aversi una «visione aggiornata e dinamica del riparto delle competenze, cui non si addice più un discorso puramente formale, di intestazione, privo di riscontri fattuali». La carenza di medici equivarrebbe «a carenza di prestazioni e servizi sanitari, che si riverber[erebbero] sui compiti di gestione della sanità conferiti dalle stesse leggi dello Stato alle Regioni».

2.3.– In definitiva, secondo la Regione, la vicenda dovrebbe essere valutata «alla luce di altri principi costituzionali, sempre compresi nel Titolo V della Parte II della Costituzione», emergendo in tal modo l’infondatezza delle censure statali.

Innanzitutto, si fa riferimento al principio di sussidiarietà, «declinato nel significato che gli è più pertinente»: ossia nel senso che, nel caso di specie, sarebbe la Regione, quale ente responsabile dell’organizzazione del Servizio sanitario regionale, ad operare in nome e per conto dello Stato, e non quest’ultimo che attrarrebbe la competenza verso l’alto.

In secondo luogo, il caso sarebbe meglio qualificato alla luce del principio di leale collaborazione, che sarebbe accostato al già richiamato principio di sussidiarietà, «in un ambito – quello del 2° co. [dell’art. 120 Cost.] –, in cui si disciplina il potere sostitutivo del Governo, giustificato, tra l’altro, dall’incombere di un “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica”». La carenza di medici e il rischio per la salute, che da tale carenza deriverebbe, avrebbe «imposto alla Regione Veneto di attivarsi per tutelare la dignità delle persone, in evidente, oggettiva (vale a dire, sostanziale) coerenza con i LEA e ciò che essi rappresentano».

3.– In data 17 aprile 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, con la quale ha risposto alle deduzioni della resistente, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

4.– In data 19 aprile 2021, anche la Regione Veneto ha depositato memoria nella quale, rispondendo alle deduzioni del ricorrente, ha insistito nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.


Considerato in diritto
 

1.– Con ricorso notificato il 16-19 giugno 2020 e depositato il 19 giugno 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Veneto 14 aprile 2020, n. 10 (Attivazione da parte dell’Università degli studi di Padova del corso di laurea in medicina e chirurgia presso l’Azienda ULSS n. 2 Marca Trevigiana. Disposizioni in materia di finanziamento da parte della Regione del Veneto e ulteriori disposizioni), in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, della Costituzione.

1.1.– L’impugnato art. 1, comma 1, autorizza la Giunta regionale a stipulare una convenzione quindicennale con l’Università degli studi di Padova per sostenere l’attivazione di un corso di laurea a ciclo unico in medicina e chirurgia nella città di Treviso, con l’assunzione degli oneri da parte della Regione per la chiamata dei professori di ruolo e a contratto.

Al comma 2 del citato articolo si prevede che a tali oneri, quantificati nella somma di euro 1.570.000,00 annui, si fa fronte «con le risorse del Fondo Sanitario Regionale allocate alla Missione 13 “Tutela della salute”, Programma 01 “Servizio sanitario regionale - finanziamento ordinario corrente per la garanzia dei LEA”, Titolo 1 “Spese correnti” del bilancio di previsione 2020-2022».

2.– Con un primo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Veneto n. 10 del 2020, il quale, prevedendo che la Regione assuma gli oneri per la chiamata dei docenti di ruolo e a contratto, avrebbe imputato tali spese alle risorse di bilancio vincolate al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza (d’ora in avanti: LEA) e quindi inciso negativamente su questi ultimi; il legislatore veneto, così disponendo, avrebbe, altresì, violato l’art. 20 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), che imporrebbe il vincolo integrale all’erogazione dei LEA per le spese a ciò destinate.

Dalle esposte ragioni deriverebbe la violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica.

2.1.– Occorre preliminarmente chiarire che, sebbene il Presidente del Consiglio dei ministri impugni l’intero art. 1 della richiamata legge regionale, i dubbi di legittimità costituzionale espressi con tale motivo di ricorso hanno ad oggetto il comma 1 nella parte in cui prevede che la Regione si faccia carico degli oneri per la chiamata dei docenti di ruolo, nonché dei docenti a contratto ai sensi dell’art. 18 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario) e la relativa norma di copertura finanziaria, espressa dal successivo comma 2.

2.2.– Sempre in via preliminare è opportuno richiamare la disciplina in tema di finanziamento ed erogazione dei LEA, come si è venuta a determinare, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte.

2.2.1.– Si deve, anzitutto, ribadire che «la determinazione, il finanziamento e l’erogazione dei LEA compongono un sistema articolato il cui equilibrio deve essere assicurato “dalla sinergica coerenza dei comportamenti di tutti i soggetti coinvolti nella sua attuazione” (sentenza n. 62 del 2020)» (sentenza n. 72 del 2020).

Infatti, «la trasversalità e la primazia della tutela sanitaria rispetto agli interessi sottesi ai conflitti Stato-Regioni in tema di competenza legislativa impongono una visione teleologica e sinergica della dialettica finanziaria tra questi soggetti, in quanto coinvolgente l’erogazione di prestazioni riconducibili al vincolo di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.» (sentenza n. 169 del 2017).

Su tali basi, occorre, poi, ricordare che «il legislatore regionale non ha il potere di interferire nella determinazione dei LEA, la cui articolata disciplina entra automaticamente nell’ordinamento regionale afferente alla cura della salute, né tantomeno di differirne in blocco l’efficacia. Infatti, i costi, i tempi e le caratteristiche qualitative delle prestazioni indicate nel decreto e nelle altre disposizioni statali che si occupano di prescrizioni indefettibili in materia sanitaria comportano nei diversi ambiti regionali – attraverso una dialettica sinergia tra Stato e Regione (sentenza n. 169 del 2017) – un coerente sviluppo in termini finanziari e di programmazione degli interventi costituzionalmente necessari» (sentenza n. 72 del 2020).

Centrale risulta, pertanto, il canone di «leale cooperazione tra Stato e Regione con riguardo alla concreta garanzia dei LEA», in forza del quale al legislatore statale spetta «predisporre gli strumenti idonei alla realizzazione ed attuazione di essa, affinché la sua affermazione non si traduca in una mera previsione programmatica, ma venga riempita di contenuto concreto e reale impegnando le Regioni a collaborare nella separazione del fabbisogno finanziario destinato a spese incomprimibili da quello afferente ad altri servizi suscettibili di un giudizio in termini di sostenibilità finanziaria (sentenza n. 169 del 2017)» (così ancora sentenza n. 62 del 2020).

Non vi è «dubbio che le Regioni stesse debbano collaborare all’individuazione di metodologie parametriche in grado di separare il fabbisogno finanziario destinato a spese incomprimibili da quello afferente ad altri servizi sanitari suscettibili di un giudizio in termini di sostenibilità finanziaria», il che equivale ad affermare «la doverosa separazione del fabbisogno LEA dagli oneri degli altri servizi sanitari» (così sentenza n. 169 del 2017).

2.2.2.– Centrali in tale contesto sono le previsioni contenute nell’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, il quale «stabilisce condizioni indefettibili nella individuazione e allocazione delle risorse inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni» (sentenza n. 197 del 2019).

Il citato art. 20, non solo impone una corretta quantificazione dei LEA attraverso una chiara e separata evidenza contabile delle entrate e delle spese destinate al loro finanziamento e alla loro erogazione, nonché delle entrate e delle spese relative a prestazioni superiori ai LEA, ma altresì (al comma 2, lettera a) prescrive alle Regioni di «accerta[re] ed impegna[re] nel corso dell’esercizio l’intero importo corrispondente al finanziamento sanitario corrente, ivi compresa la quota premiale condizionata alla verifica degli adempimenti regionali, e le quote di finanziamento sanitario vincolate o finalizzate».

2.2.3.– Pertanto, dal quadro normativo sull’esatta determinazione ed erogazione dei LEA e sui relativi principi contabili, si ricava – come rileva correttamente l’Avvocatura generale – l’impossibilità di destinare risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei LEA, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi.

2.2.4.– Ciò non esclude che, laddove le Regioni gestiscano in maniera virtuosa ed efficiente le risorse correnti destinate alla garanzia dei LEA, conseguendo sia la qualità delle prestazioni erogate, sia i risparmi nel bilancio, le stesse possano legittimamente mantenere i risparmi ottenuti e destinarli a finalità sanitarie più ampie – come quelle previste dalla norma censurata – rispetto ai LEA, già adeguatamente garantiti.

È lo stesso d.lgs. n. 118 del 2011, all’art. 30, comma 1, terzo periodo, a prevedere che, per le Regioni non sottoposte a piano di rientro, «eventuali risparmi nella gestione del Servizio sanitario nazionale […] rimangono nella disponibilità delle regioni stesse per finalità sanitarie». Questa disposizione, esprimendo una chiara finalità incentivante, permette, pertanto, alle Regioni di dare copertura nei successivi esercizi a spese che, comunque sia, attengono alle finalità sanitarie attraverso i suddetti risparmi, una volta accertati a seguito dell’approvazione dei bilanci di esercizio.

2.3.– Sulla base di tali premesse, le questioni promosse in relazione all’art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica, che possono essere valutate in modo unitario, sono fondate.

2.3.1.– La chiamata dei professori di ruolo e dei docenti a contratto, innanzitutto, non è riconducibile nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza, non corrispondendo ad alcuna delle prestazioni previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502).

2.3.2.– La disposizione regionale impugnata non è, poi, giustificabile, neppure ritenendo che la chiamata di docenti universitari, per le attività che questi saranno destinati a svolgere, possa considerarsi strumentale all’erogazione dei LEA.

Per un verso, nonostante l’attività di assistenza ospedaliera e quella didattico-scientifica, che il personale medico-docente è destinato a svolgere, siano poste in un rapporto di stretta compenetrazione e legate dal nesso funzionale – come, da tempo, ha avuto modo di chiarire questa Corte (fra le molte, sentenze n. 71 del 2001, n. 136 del 1997, n. 126 del 1981 e n. 103 del 1977) e come previsto dalla stessa normativa di settore, ossia dal decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti tra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell’articolo 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419) – esse non sono riconducibili ad unità sul piano materiale e concettuale.

Pur se rivolte al necessario coordinamento, tali attività, infatti, si mantengono tra loro distinte, di modo che, neppure ponendo l’accento sull’attività assistenziale, la quale rappresenta una parte della complessiva attività che il corpo docente è destinato a svolgere, può giustificarsi l’imputazione dei costi per la chiamata dei docenti universitari alle spese allocate in bilancio per l’erogazione e la garanzia dei LEA.

Per altro verso (ed è constatazione ovvia), poi, non tutta l’attività assistenziale che è chiamato a svolgere il personale medico (universitario o no) si identifica con l’erogazione e la garanzia dei LEA.

In definitiva, la chiamata dei docenti universitari e la conseguente integrazione dell’offerta formativa non si pongono in un rapporto di strumentalità con l’erogazione dei LEA, tale da giustificare l’imputazione dei costi per la chiamata dei docenti universitari alle spese allocate in bilancio per l’erogazione e la garanzia dei LEA.

2.4.– Del resto, considerare – come fa la difesa regionale – legittima l’operazione compiuta con la norma impugnata, nella misura in cui sia giustificata da una correlazione – certo non negabile in radice – tra la formazione universitaria in ambito medico, la generale qualità di prestazioni rese all’utenza e la specifica garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni, condurrebbe a ritenere finanziabile, con le risorse destinate alle spese correnti per la garanzia dei LEA, tutti quegli oneri che possano avere una qualche forma di connessione con questi ultimi.

Prospettiva, questa, che si porrebbe in contrasto con il quadro costituzionale di riferimento, come definito anche dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte.

2.5.– In definitiva, la circostanza per cui – ai sensi dell’art. 18, comma 3, della legge n. 240 del 2010, richiamato dalla stessa disposizione impugnata – la Regione, previa stipula di convenzioni, possa farsi carico degli oneri derivanti dalla chiamata di professori di prima e seconda fascia, non esclude che l’utilizzo, a copertura di tali oneri, delle specifiche risorse ordinarie destinate alle spese correnti per il finanziamento e la garanzia dei LEA si ponga in contrasto con il principio, ricavabile dalla normazione ordinaria di settore e più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, dell’indefettibile individuazione e allocazione delle risorse inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni e dell’integrale vincolo all’erogazione di questi.

2.6.– Per i motivi esposti deve dichiararsi, quindi, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Veneto n. 10 del 2020, limitatamente alle parole «, con assunzione da parte della Regione degli oneri relativi alla chiamata dei docenti di ruolo nonché dei docenti a contratto ai sensi dell’articolo 18 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”» e dell’art. 1, comma 2, della citata legge regionale.

2.7.– È bene porre in evidenza che ad essere in contrasto con gli evocati parametri costituzionali non è l’impegno della Regione a sostenere l’attivazione di un corso di laurea, né il farsi eventualmente carico dei costi per la chiamata dei docenti universitari; invero costituzionalmente illegittima è la copertura degli oneri connessi a tali iniziative con le specifiche risorse ordinarie destinate alle spese correnti per il finanziamento e la garanzia dei LEA.

La declaratoria di illegittimità costituzionale non incide né sull’attivazione del corso, già avvenuta, né sulla sua prosecuzione, avendo – come si legge nelle premesse della convenzione tra Regione, Università e Azienda ULSS n. 2 Marca Trevigiana, approvata con delibera della Giunta n. 1328 del 2020 – l’Università di Padova già, comunque sia, garantito la copertura dei posti di docenza, nonché dei relativi oneri, «nel quadro delle disponibilità ordinarie di docenza, attraverso una riorganizzazione dell’offerta formativa delle professioni sanitarie».

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 1 della legge reg. Veneto n. 10 del 2020 anche con un secondo motivo di ricorso, attraverso il quale lamenta che il legislatore regionale, prevedendo la stipula di una convenzione per l’attivazione di un nuovo corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia, concorrerebbe all’aumento dell’offerta formativa dell’Ateneo patavino. Ciò avverrebbe «al di fuori di qualsiasi riferimento al(l’effettivo) fabbisogno di medici e di specialisti quale periodicamente determinato a livello nazionale e, quindi, senza alcun richiamo alla vincolante programmazione nazionale del fabbisogno dei medici».

La disposizione impugnata si porrebbe, pertanto, in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica, in relazione agli artt. 6-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e 35 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE).

3.1.– Sebbene, anche con tale motivo, venga impugnato l’intero art. 1 della legge reg. Veneto n. 10 del 2020, le censure con esso espresse hanno ad oggetto il solo comma 1, primo periodo, vale a dire la disposizione – non colpita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale di cui sopra – con la quale si prevede che «[a]i fini dell’incremento del numero dei posti per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia, la Giunta regionale è autorizzata a stipulare una convenzione di durata quindicennale con l’Università degli Studi di Padova e l’Azienda ULSS n. 2 Marca Trevigiana per sostenere l’attivazione, da parte dell’Università medesima, a decorrere dall’anno accademico 2020/2021, del corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia presso le strutture messe a disposizione dall’Azienda ULSS 2 a Treviso».

3.2.– Ciò chiarito, e prima di analizzare le singole questioni, è opportuno richiamare il contenuto della normativa statale di riferimento.

L’art. 6-ter, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, statuisce che «[e]ntro il 30 aprile di ciascun anno il Ministro della sanità, sentiti la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri e degli altri Ordini e Collegi professionali interessati, determina con uno o più decreti il fabbisogno per il Servizio sanitario nazionale, anche suddiviso per regioni, in ordine ai medici chirurghi, veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi, nonché al personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione ai soli fini della programmazione da parte del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica degli accessi ai corsi di diploma di laurea, alle scuole di formazione specialistica e ai corsi di diploma universitario».

Il comma 2 del citato art. 6-ter statuisce che il fabbisogno di cui al comma 1 è a sua volta determinato tenendo conto: degli «a) obiettivi e dei livelli essenziali di assistenza indicati dal Piano sanitario nazionale e da quelli regionali», dei «b) modelli organizzativi dei servizi», della «c) offerta di lavoro» e della «d) domanda di lavoro considerando il personale in corso di formazione e il personale già formato, non ancora immesso nell’attività lavorativa».

L’art. 3 della legge 2 agosto 1999, n. 264 (Norme in materia di accessi ai corsi universitari) attribuisce al Ministro dell’università e della ricerca scientifica la competenza nella programmazione degli accessi ai corsi di laurea in medicina e chirurgia.

Il citato articolo affida al Ministro dell’università e della ricerca scientifica la determinazione annuale dei posti a livello nazionale, in considerazione sia della valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario, sia del fabbisogno del personale medico, individuato ai sensi dell’art. 6-ter del d.lgs. n. 502 del 1992. Sempre al Ministro dell’università e della ricerca scientifica compete la ripartizione dei posti tra i vari atenei, sulla base della valutazione dell’offerta potenziale che sono questi ultimi a compiere (secondo i criteri dettati dall’art. 3, comma 2, della legge n. 264 del 1999) e a comunicare.

Sul versante della formazione specialistica opera, invece, l’art. 35 del d.lgs. n. 368 del 1999, il quale stabilisce che con cadenza triennale le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, tenuto conto delle relative esigenze sanitarie e sulla base di una approfondita analisi della situazione dell’occupazione, individuano il fabbisogno dei medici specialisti da formare, e che su tale base il «Ministro della sanità, di concerto con quello dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, determina il numero globale degli specialisti da formare annualmente, per ciascuna tipologia di specializzazione, tenuto conto dell’obiettivo di migliorare progressivamente la corrispondenza tra il numero degli studenti ammessi a frequentare i corsi di laurea in medicina e chirurgia e quello dei medici ammessi alla formazione specialistica, nonché del quadro epidemiologico, dei flussi previsti per i pensionamenti e delle esigenze di programmazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano con riferimento alle attività del Servizio sanitario nazionale».

Richiamato, nelle sue linee essenziali, il quadro normativo di riferimento, si può passare all’analisi dei denunciati vizi di illegittimità costituzionale.

3.3.– La questione, promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di tutela della salute, in relazione agli artt. 6-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 e 35 del d.lgs. n. 368 del 1999, non è fondata.

Il legislatore regionale non autorizza alcun incremento del numero dei posti per le immatricolazioni, limitandosi a sostenere l’attivazione del corso di laurea in medicina e chirurgia, disposta, in forza della propria autonomia didattica, dall’Ateneo patavino.

Neppure può sostenersi, come fa il ricorrente, che, così operando, l’impugnata norma regionale concorra all’aumento dell’offerta formativa fuori da qualsiasi riferimento all’effettivo fabbisogno di medici e di specialisti.

Seppur l’offerta formativa non può certo essere libera e indipendente dal fabbisogno dei medici, dovendo invece la prima essere necessariamente coordinata al secondo, è la stessa disciplina statale della determinazione delle immatricolazioni ai corsi di laurea in medicina e chirurgia a prevedere, quale elemento fisiologico del sistema, che le università possano e debbano esprimere un più elevato numero di posti per le immatricolazioni, ove siano in condizione di adoperare ulteriori dotazioni umane e strumentali, fra cui non può che rientrare anche l’attivazione di un intero corso di studi.

Tale dato – che, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 264 del 1999, si identifica con l’offerta formativa potenziale comunicata annualmente da ciascun ateneo – non determina, poi, automaticamente e di per sé, un aumento globale del numero delle immatricolazioni, in eccesso rispetto al fabbisogno determinato ai sensi dell’art. 6-ter del d.lgs. n. 502 del 1992.

Come si è visto, infatti, il contingente annuale dei posti è determinato discrezionalmente dal Ministro dell’università e della ricerca scientifica, sulla base, tanto dell’offerta formativa che annualmente riesce ad esprimere il sistema universitario (e che è il risultato della somma delle offerte potenziali espresse da ciascun ateneo), quanto del fabbisogno per il Servizio sanitario nazionale.

Chiarito che l’art. 1, comma 1, della legge reg. Veneto n. 10 del 2020, in parte qua, non determina alcun aumento del contingente annuale delle immatricolazioni ai corsi di laurea in medicina e chirurgia, risultano svuotate di fondamento le ragioni di contrasto anche con l’art. 35 del d.lgs. n. 368 del 1999, in relazione al fabbisogno di specialisti periodicamente determinato a livello nazionale.

3.4.– Anche la questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica, in relazione agli artt. 6-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 e 35 del d.lgs. n. 368 del 1999, non è fondata.

L’impugnata norma regionale, riguardando l’istituzione di un corso di laurea in medicina e chirurgia, è ascrivibile all’ambito materiale della tutela della salute (oltre che a quelli dell’istruzione o delle professioni), e nella prospettiva della tutela della salute si muovono le doglianze del ricorrente, avendo evocato, a integrazione del parametro di costituzionalità, norme che attengono al fabbisogno del personale medico e alla formazione specialistica dei medici.

Come questa Corte ha avuto già modo di chiarire, l’eventuale non conferenza dei parametri costituzionali ritualmente indicati, rispetto al contenuto sostanziale della doglianza, costituisce motivo di infondatezza della questione (sentenza n. 286 del 2019 e, in senso analogo, sentenza n. 290 del 2009).

3.5.– Deve, pertanto, concludersi per la non fondatezza delle questioni dell’art. 1, comma 1, prima parte della legge reg. Veneto n. 10 del 2020, vale a dire della disposizione con la quale si prevede che «[a]i fini dell’incremento del numero dei posti per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia, la Giunta regionale è autorizzata a stipulare una convenzione di durata quindicennale con l’Università degli Studi di Padova e l’Azienda ULSS n. 2 Marca Trevigiana per sostenere l’attivazione, da parte dell’Università medesima, a decorrere dall’anno accademico 2020/2021, del corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia presso le strutture messe a disposizione dall’Azienda ULSS 2 a Treviso», promosse in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica, in relazione agli artt. 6-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 e 35 del d.lgs. n. 368 del 1999.


PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE
 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Veneto 14 aprile 2020, n. 10 (Attivazione da parte dell’Università degli studi di Padova del corso di laurea in medicina e chirurgia presso l’Azienda ULSS n. 2 Marca Trevigiana. Disposizioni in materia di finanziamento da parte della Regione del Veneto e ulteriori disposizioni), limitatamente alle parole «, con assunzione da parte della Regione degli oneri relativi alla chiamata dei docenti di ruolo nonché dei docenti a contratto ai sensi dell’articolo 18 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”»;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge reg. Veneto n. 10 del 2020;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Veneto n. 10 del 2020, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione e in relazione agli artt. 6-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e 35 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2021.

F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2021.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA

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