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Bur n. 66 del 14 maggio 2021


Ricorso

Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri alla Corte Costituzionale per la declaratoria di incostituzionalità dell' art. 1 della Legge della Regione Veneto 12 febbraio 2021, n. 3 "Modifiche alla legge regionale 24 agosto 1979, n. 63 "Norme per l'istituzione e il funzionamento dell'Istituto regionale per le ville venete "I.R.V.V."", ed ulteriori disposizioni", pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione del Veneto n. 22 del 12 febbraio 2021.

Reg. Ric. N. 24/2021
CT 10014/2021 – Avv. Albenzio e Avv. Zerman
 


AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
 

 CORTE COSTITUZIONALE


RICORSO

 

Per il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12.


contro

la Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta Regionale p.t.,


per la declaratoria di incostituzionalità

dell'art. 1 della legge regionale n. 3 del 2021, pubblicata nel B.U.R. n 22 del 

 12 febbraio 2021, recante "Modifiche alla legge regionale 24 agosto 1979, n. 63, Norme per l'istituzione e il funzionamento dell'Istituto regionale per le ville venete I.R.V.V., ed ulteriori disposizioni", giusta delibera del Consiglio dei Ministri in data 31 marzo 2021.


*****
 

Con la legge impugnata la Regione Veneto introduce disposizioni finalizzate ad armonizzare il trattamento economico accessorio del personale dell'Istituto regionale per le Ville Venete con quello della Giunta regionale del Veneto.

La legge presenta aspetti di illegittimità costituzionale con riferimento alle disposizioni contenute nell'articolo 1, che introducono i commi 3 bis e 3 ter all'articolo 25, L.R. n. 63/1979, per violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera l della Costituzione, del principio di coordinamento della finanza pubblica, di cui all'articolo 117, terzo comma, nonché per violazione dei principi di uguaglianza, buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione, ai sensi degli articoli 3 e 97.


*****
 

a) L'Istituto regionale per le Ville Venete

Preliminarmente, si illustra che l'Istituto regionale per le Ville Venete (I.R.V.V.), è stato istituito con la legge regionale 24 agosto 1979, n. 63 -in sostituzione del previgente Ente nazionale per le Ville Venete- con il rilevante compito di restauro e valorizzazione delle ville del territorio veneto e friulano, in concorso con il proprietario o sostituendosi ad esso (art. 2). L'Istituto è dotato di personalità giuridica pubblica ed opera in conformità alla programmazione regionale di settore e agli indirizzi definiti dal Consiglio regionale (art. 1 comma 2).

Allo scopo di perseguire le finalità strategiche indicate dalla normativa regionale, tra le quali vi sono quella di assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale costituto dalle Ville Venete, in aggiunta a quella di favorirne la pubblica fruizione e valorizzazione, la legge individua le linee di azione sulle quali orientare gli interventi:

  1. attività istituzionali - concessione di finanziamenti (mutui e contributi) con risorse proprie e statali (cfr. art. 17, LR 63/79 e Legge n. 233/1991);

  2. gestione di ville regionali (in attuazione di specifici accordi con la Regione, proprietaria dei cespiti) (cfr. art. 26, L. R. 63/1979);

  3. studi, ricerche e pubblicazioni (cfr. art. 2 LR 63/79);

  4. attività promozionali (eventi e manifestazioni culturali) (cfr. artt. 2 e 17, LR 63/79).
     

b) La legge della Regione Veneto n. 3 del 2021

Per quanto interessa in questa sede, la normativa regionale istitutiva dell'I.R.V.V. (legge n. 63 del 1979) detta, all'art. 25, la disciplina relativa al personale alle dipendenze dell'Istituto.

Correttamente, i commi due e tre del precitato articolo prevedono che il personale dello stesso sia assunto esclusivamente per pubblico concorso, secondo quanto disposto dalla legislazione statale vigente in materia di assunzioni (comma 2).

Lo stato giuridico e il trattamento economico del personale dipendente dell' Istituto sono equiparati, poi, a quello del personale di ruolo della Regione che è soggetto alla relativa normativa regionale; pertanto, lo stesso "non può fruire del trattamento giuridico ed economico più favorevole di quello in vigore per il personale regionale, a parità o equivalenza di mansioni"  (comma 3).

Con la nuova normativa regionale di cui alla I. 3 del 2021, art. 1 che aggiunge i commi 3-bis e 3-ter all'illustrato art. 25, sono state introdotte disposizioni concernenti il trattamento economico accessorio per il personale dipendente dell'I.R.V.V., con disciplina che, però, esorbita dalle attribuzioni legislative regionali e invade la competenza esclusiva del legislatore statale.

E questo per i seguenti motivi.


-I-
 

Illegittimità del comma 3-bis dell'art. 25, L.R. n. 63/1979, introdotto dall'art. 1 comma 1 della legge n. 3/2021, per violazione della potestà esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. e della normativa interposta di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 che, in base all'art. 1 comma 3, detta principi fondamentali a cui le Regioni devono adeguarsi.

L'articolo 1, prima parte, della legge regionale n. 3 del 2021 inserisce il comma 3-bis, qui impugnato, all'articolo 25, L.R. n. 63/1979.

Lo stesso recita:

«In attuazione di quanto disposto dal terzo comma, a decorrere dal gennaio 2018, al fine di consentire l'effettiva armonizzazione del trattamento economico del personale dell'Istituto regionale ville venete con quello della Giunta regionale del Veneto, i fondi destinati al trattamento economico accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, dell'ente possono essere incrementati, con riferimento al medesimo personale, in misura non superiore alla differenza tra il valore medio individuale del trattamento economico accessorio del personale dell'amministrazione regionale, calcolato con riferimento all'anno 2016, e quello corrisposto al personale in servizio alla medesima data presso l'Istituto».

La disposizione impugnata esorbita dall'ambito delle attribuzioni legislative regionali invadendo illegittimamente un settore, quello dell'ordinamento civile, riservato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato [ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. l)], cui è riconducibile la materia relativa ai rapporti di pubblico impiego.

Costantemente, infatti, codesta Ecc.ma Corte ha ricordato che il rapporto di lavoro alle dipendenze della p.a., specie a seguito della privatizzazione in base alla quale la disciplina è dettata dalle disposizioni del Codice civile e dalla contrattazione collettiva (art. 2 d.lgs. 165/ 2001), rientra nell'ambito della materia relativa all'ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato, ivi compreso il profilo del trattamento economico, sia fondamentale che accessorio.

È principio ampiamente consolidato nella giurisprudenza di Codesta Corte che la disciplina del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni attenga all'ordinamento civile di esclusiva competenza statale; si veda, ex plurimis, Corte Cost. 31/1/2014, n. 7, la quale ritiene che qualunque ipotesi di regolamentazione del rapporto di lavoro dipendente pubblico sia da ricomprendere nella "dinamica del rapporto di lavoro e del relativo regime e sia, quindi, riconducibile in modo piano alla materia dell'«ordinamento civile»", con la conseguenza che «l'inosservanza della disciplina di legge statale e di derivazione contrattuale collettiva . . .rende, dunque, ancora più evidente la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. denunciata in capo alla disposizione in oggetto.».

Questi principi valgono sia per la costituzione del rapporto di lavoro sia per la sua disciplina e regolazione giuridica ed economica; si vedano, ex plurimis, Corte Cost. 28/3/2014 n. 61; Corte Cost. 3/12/2014 n. 269 e Corte Cost. 18/7/2014 n. 211: «Secondo il costante orientamento di questa Corte, a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego - operata dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), dall’ art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e dai decreti legislativi emanati in attuazione di dette leggi delega - la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva.

[. .. ] Proprio a seguito di tale privatizzazione, questa Corte ha affermato che «i principi fissati dalla legge statale in materia costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale» (sentenza n. 189 del 2007).

In particolare, dall'art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, della legge n. 421 del 1992, emerge il principio per cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici è affidato ai contratti collettivi, di tal che la disciplina di detto trattamento e, più in generale, la disciplina del rapporto di impiego pubblico rientra nella materia dell'«ordinamento civile» riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 61 del 2014, n. 286 e n. 225 del 2013, n. 290 e n. 215 del 2012, n. 339 e n. 77 del 2011, n. 332 e n.151 del 2010)».

Di recente, negli stessi termini, Corte Cost. n. 16 del 2020.

In relazione alla disciplina del personale dipendente dalle Regioni ordinarie codesta Ecc.ma Corte Costituzionale ha, al riguardo, distinto l'aspetto relativo alla disciplina dei rapporti, che rientra nell'ambito dell'ordinamento civile ed è dunque di pertinenza dello Stato, come già detto, e quello legato alle modalità organizzative che, invece, compete unicamente alla Regione.

Tale consolidato orientamento è stato confermato, da ultimo, con la sentenza n. 25 del 2021:

“Deve rilevarsi che questa Corte, anche recentemente, ha ribadito che «[l]a materia dell'ordinamento civile, riservata in via esclusiva al legislatore statale, investe la disciplina del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici e ricomprende tutte le disposizioni che incidono sulla regolazione del rapporto di lavoro (ex plurimis, sentenze n. 175 e n. 72 del 2017, n. 257 del 2016, n. 180 del 2015, n. 269, n. 211 e n. 17 del 2014)» (sentenza n. 257 del 2020).

In particolare, nel delineare i confini tra ciò che è ascrivibile alla materia «ordinamento civile» e ciò che invece ricade nella competenza regionale, questa Corte ha precisato che sono da ricondurre alla prima «gli interventi legislativi che [ ... ] dettano misure relative a rapporti lavorativi già in essere (ex multis, sentenze n. 251 e 186 del 2016 e 11. 180 del 2015)» (sentenza n. 32 del 2017) e rientrano, invece, nella seconda «i profili pubblicistico­ organizzativi dell'impiego pubblico regionale» (sentenze n. 241 del 2018 e n. 149 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 191 del 2017 e n. 63 del 2012)».

La disposizione in esame, quindi, è da censurare, in primo luogo, per la sua genericità, perché genera incertezza sul regime giuridico del personale genericamente equiparato a quello regionale; in secondo luogo, perché impedisce il corretto evolversi della disciplina contrattuale collettiva dei vari comparti interessati, sottraendo per legge materia alla contrattazione, in violazione del principio generale dettato sin dalla legge 29-3-1983 n. 93 [Legge quadro sul pubblico impiego], che ha riservato alla contrattazione collettiva per comparti la competenza primaria di regolazione del rapporto di lavoro pubblico.

La materia del trattamento economico, sia fondamentale che accessorio, relativo anche a tale personale deve, dunque, essere regolata dalle disposizioni del citato decreto legislativo n. 165/2001, disposizioni che, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, costituiscono principi fondamentali, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione.

In particolare, per quanto concerne il trattamento accessorio, l'articolo 45 del d.lgs. 165 statuisce che lo stesso è definito dai contratti collettivi.

L'articolo 40, comma 3-bis e comma 3-quinquies poi, per quanto concerne le regioni, stabilisce che queste possono destinare risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni, in ogni caso nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica e di analoghi strumenti del contenimento della spesa.

Coerentemente codesta Ecc.ma Corte, con la sentenza n. 146 del 2019, ha affermato che il legislatore statale demanda alla contrattazione collettiva nazionale di comparto «la determinazione e l'assegnazione delle risorse destinate al trattamento accessorio dei dipendenti pubblici, anche al fine di premiare il merito e il miglioramento delle prestazioni dei dipendenti, come previsto in specie dall'art. 45, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) [1. Non è superfluo rimarcare che lo spazio della contrattazione decentrata e integrativa, individuato dall'art. 40, comma 3-bis, del d.lgs. n.165 del 2001 come sede idonea per la destinazione di risorse aggiuntive relative al trattamento economico accessorio collegato alla qualità del rendimento individuale, è uno spazio circoscritto e delimitato dai contratti nazionali di comparto. La contrattazione non potrà che svolgersi sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono» .

Per tali ragioni, la normativa censurata è illegittima, poiché, col fine di armonizzare il trattamento economico del personale dell'I.R.V.V. con il personale della Giunta regionale del Veneto, interviene in una materia riservata in via esclusiva alla normativa statale, quale la disciplina dei fondi per il trattamento economico accessorio del personale pubblico, prevedendo che l'Istituto regionale per le Ville venete possa sostanzialmente vedere incrementato il valore medio individuale del trattamento accessorio erogato ai propri dipendenti.


-Il-
 

Illegittimità del comma 3-bis dell'art. 25, L.R. n. 63/1979, introdotto dall' art. 1 comma 1 della legge n. 3/2021, per violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica sancito al terzo comma dell'articolo 117 Cost., in relazione alla normativa interposta di cui al decreto legislativo n. 75/2017 (art. 23, comma 2), nonché dell'art. 119 della Costituzione.

La menzionata disposizione regionale, nel prevedere l'incremento del trattamento accessorio del personale del IRVV adeguandolo a quello della Regione ("in misura non superiore alla differenza tra il valore medio individuale del trattamento economico accessorio del personale dell’ amministrazione regionale, calcolato con riferimento all’anno 2016, e quello corrisposto al personale in servizio alla medesima data presso l'Istituto"), si pone in contrasto con la normativa interposta di cui all' articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017, secondo cui «a decorrere dal 1 gennaio 2017, l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l'anno 2016».

La norma impugnata consente, infatti, all'Istituto regionale per le Ville Venete “I.R.V.V” di superare il limite finanziario previsto dalla normativa statale, che aveva imposto il limite all'adeguamento con riferimento a quanto percepito dal medesimo personale nel 2016, con ciò violando la disciplina di coordinamento della finanza pubblica di cui alla prefata normativa.

In tal modo, infatti, il medesimo personale, contrariamente a quanto stabilito dal d.lgs. 75/2017, vede incrementato il proprio trattamento accessorio, con riferimento ad altra categoria di personale, operazione preclusa dalla norma di coordinamento della finanza pubblica, rappresentata dall'art. 23 comma 2 del d.lgs. 75/2017 precitato.

Preclusione operata legittimamente dal legislatore statale, atteso che il coordinamento della finanza pubblica è compito di spettanza statale ai sensi dell'art. 117 comma 3 della Costituzione.

Codesta Corte sin dalla decisione n. 36 del 2004, aveva rilevato che: "Non è contestabile il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti. La natura stessa e la finalità di tali vincoli escludono che si possano considerare le disposizioni impugnate come esorbitanti dall'ambito di una disciplina di principio spettante alla competenza dello Stato. ...il contenimento del tasso di crescita della spesa corrente rispetto agli anni precedenti costituisce pur sempre uno degli strumenti principali per la realizzazione degli obiettivi di riequilibrio finanziario, ed infatti esso è indicato fin dall'inizio fra le azioni attraverso le quali deve perseguirsi la riduzione del disavanzo annuo (. ..) "

Gli esposti principi hanno trovato applicazione in plurime decisioni della Corte in relazione ai giudizi di legittimità di norme statali che fissavano un tetto di spesa per il personale alle dipendenze della p.a. con l'obiettivo di contenere entro limiti prefissati una delle più frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico, costituita dalla spesa complessiva per il personale, in quanto esso ha rilevanza strategica ai fini dell'attuazione del patto di stabilità interno.

"Le stesse essendo ispirate alla finalità di contenimento della spesa pubblica, costituiscono principi fondamentali nella materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto pongono obiettivi di riequilibrio senza, peraltro, prevedere strumenti e modalità per il perseguimento dei medesimi"; ed invero "la spesa per il personale, per la sua importanza strategica ai fini dell'attuazione del patto di stabilità interna (data la sua rilevante entità), costituisce non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale della legislazione statale" ( sent. Corte Cost. 289 del 2013).

Di talché, sono state considerate, in più occasioni, legittime le norme statali che prevedevano un limite massimo al trattamento economico di tutti i dipendenti delle Regioni e delle Province autonome in quanto emanate dallo Stato "nell'esercizio della sua potestà legislativa concorrente in materia coordinamento della finanza pubblica"(Corte Cost. sent. 61/2014).

Anche la normativa statale che fissa il limite massimo del trattamento economico dei singoli dipendenti delle Regioni, ancorandolo al trattamento di una precedente annualità, è stata ritenuta da codesta Ecc.ma Corte legittima espressione del principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica:

"In proposito, la giurisprudenza costituzionale ha già avuto modo di qualificare l'art. 9, comma 1, del  D.L n. 78 del 2010, conv., con  modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010, come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, vincolante anche per le Regioni a statuto speciale (sentenze n. 221 del 2013, n. 217 e n. 215 del 2012). Dal momento che tale disposizione fissa il livello massimo del trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti delle Regioni e degli enti regionali, ancorandolo a quanto percepito nel 2010, essa produce l'effetto di predeterminare "l'entità complessiva degli esborsi a carico delle Regioni a titolo di trattamento economico del personale ... così da imporre un limite generale ad una rilevante voce del bilancio regionale" (così la sentenza n. 217 del 2012, che applica tale limite ad una Regione a statuto speciale). Un simile vincolo generale di spesa può essere legittimamente imposto con legge dello Stato a tutte le Regioni, comprese quelle ad autonomia differenziata, per ragioni di coordinamento finanziario, connesse ad obiettivi nazionali, a loro volta condizionati anche dagli obblighi comunitari."(Corte Cost.269 del 2014)

Dai principi sopra esposti, risulta con chiarezza che l' articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017 che limita a decorrere dal 2017 per tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ivi comprese dunque le Regioni,  "l' ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche dì cui" all'importo corrisposto per l'anno 2016, rappresenta espressione del principio di coordinamento della finanza pubblica, e norma interposta in relazione all'art. 117 comma 3 della Costituzione.

Ma, come già espresso, la nuova normativa, consentendo di incrementare i fondi per il trattamento economico accessorio del personale dell'Istituto Ville Venete, si pone in contrasto con la normativa statale.

Tale scelta, infatti, non può non determinare un'arbitraria estensione delle prerogative regionali con rilevanti ripercussioni in materia di spesa e di ampliamento della stessa a favore delle categorie individuate dal legislatore regionale, con effetti distorsivi sia sulla entità complessiva del debito pubblico sia sulla disparità di trattamento con le altre Regioni e categorie. Peraltro, nella specie non ricorrono neppure le ipotesi di eccezione a quel limite, previste da successivi interventi normativi (quali, ad es., gli artt. 11, comma 1, e 11-bis, comma 2, D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12, e l'art. 12, comma 3-quater, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26).


-III-
 

Illegittimità dell'art. 25, comma 3-ter, L.R. n. 63/1979 introdotto dall'art. 1, L.R. n. 3/2021, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost., in tema di esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile e del principio di coordinamento della finanza pubblica di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.

Il nuovo comma 3-ter dell'articolo 25, L.R. n. 63/1979, introdotto dall'art. 1 della L.R. n. 3/2021, statuisce:

«In attuazione di quanto disposto dal terzo comma in tema di assoggettamento, anche con riferimento al trattamento economico, alla normativa regionale del personale dell'Istituto regionale ville venete, a decorrere dal 1° gennaio 2020 si applica al medesimo personale quanto disposto dall'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 "Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58».

Al riguardo, la disposizione richiamata del citato decreto-legge 34/2019 cosi prevede:

"Il limite al trattamento accessorio del personale di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, è adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l'invarianza del valore medio pro­ capite, riferito all’ anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018."

L'automatica ed unilaterale - per effetto del rinvio contenuto nella censurata legge regionale - estensione al personale dell'Istituto regionale per le Ville Venete delle norme in materia di adeguamento in aumento del richiamato limite finanziario del trattamento accessorio, si pone in contrasto con la normativa di esclusiva competenza statale.

Infatti, le menzionate disposizioni trovano applicazione per le sole regioni a statuto ordinario e non anche per gli enti alle medesime collegati o dipendenti, in base a quanto previsto dall'ultimo periodo dell'articolo 33, primo comma, del decreto-legge n. 34/2019.


*****


Come già esposto nel precedente motivo n. 1) anche nella formulazione del comma 3-ter, è stata violata l'attribuzione esclusiva del legislatore statale, e, in particolare della legislazione interposta di riferimento, rappresentata dal d.lgs. 165/2001 e dalla dinamica legge-contrattazione collettiva delineata dalla disciplina statale.

«Pertanto, una disposizione di fonte regionale che, come quella ora in esame, disciplini un aspetto del trattamento economico "dei dipendenti della Regione [...] invade la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e deve conseguentemente essere dichiarata illegittima" (ex plurimis sentenza 11. 77 del 2011)» (Corte costituzionale, sentenza n. 218 del 2013).

Più recentemente, codesta Ecc.ma Corte, nel dichiarare fondata la questione di legittimità costituzionale concernente la normativa regionale del Friuli-Venezia Giulia con la quale era stata disciplinata l'indennità mensile di alcuni dipendenti regionali- e dunque un profilo del trattamento economico accessorio, perciò di pertinenza della contrattazione collettiva nazionale di comparto - ha avuto modo di ribadire che «questa Corte ha già avuto occasione di dichiarare l'illegittimità costituzionale di norme regionali volte a disciplinare, fra l'altro, anche il trattamento economico (accessorio) del personale addetto alle segreterie, ravvisando la violazione della riserva di competenza esclusiva assegnata al legislatore statale in materia di ordinamento civile (sentenza n. 146 del 2019; nello stesso senso sentenza n. 213 del 2012).

La norma regionale impugnata, pertanto, nel disciplinare l'indennità mensile degli autisti di rappresentanza, finisce per regolare uno degli «istituti tipici del rapporto di lavoro pubblico privatizzato [ ...] con conseguente lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile (sentenze nn. 339, 77 e 7 del 2011, nn. 332 e 151 del 2010 e n. 189 del 2007)» (sentenza n. 213 del 2012)» (sentenza n. 273 del 2020).

Ne risulta pregiudicato anche il rapporto dialettico esistente tra legislazione statale e contrattazione collettiva, dalla cui correlazione discende un sistema di organizzazione del lavoro, pubblico e privato, espressione e sintesi dei fondamentali valori costituzionali di eguaglianza, efficienza, e solidarietà sociale, come riconosciuto da codesta Ecc.ma Corte (v., in particolare, la sentenza n. 178 del 2015):

«Nei limiti tracciati dalle disposizioni imperative della legge (art. 2, commi 2, secondo periodo, e 3-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001), il contratto collettivo si atteggia come imprescindibile fonte, che disciplina anche il trattamento economico (art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001), nelle sue componenti fondamentali ed accessorie (art. 45, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001), e "i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali" (art. 40, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. n. 165 del 2001).

In una costante dialettica con la legge, chiamata nel volgere degli anni a disciplinare aspetti sempre più puntuali (art. 40, comma 1, secondo e terzo periodo, del D.Lgs. n. 165 del 2001), il contratto collettivo contempera in maniera efficace e trasparente gli interessi contrapposti delle parti e concorre a dare concreta attuazione al principio di proporzionalità della retribuzione, ponendosi, per un verso, come strumento di garanzia della parità di trattamento dei lavoratori (art. 45, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001) e, per altro verso, come fattore propulsivo della produttività e del merito (art. 45, comma 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001).

Il contratto collettivo che disciplina il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni si ispira, proprio per queste peculiari caratteristiche che ne garantiscono l’efficacia soggettiva generalizzata, ai doveri di solidarietà fondati sull'art. 2 Cost.».


*****
 

Egualmente, come già diffusamente esposto nel precedente motivo II) a cui integralmente si rinvia, anche nella formulazione del comma 3-ter il legislatore regionale ha ecceduto dai suoi poteri per violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica sancito al terzo comma dell'articolo 117 Cost.


-IV-
 

Illegittimità dell'art. 25, commi 3 bis e 3-ter, L.R. n. 63/1979 introdotti dall'art. 1, L.R. n. 3/2021, per violazione degli art. 3 e 97 Cost.

Sotto un profilo ulteriore, che riguarda il grado di uniformità nella applicazione delle norme statali di riferimento sulle quali è intervenuta la disciplina contenuta nella impugnata legge regionale, la menzionata normativa, da un punto di vista applicativo, è idonea a dar luogo a trattamenti difformi e sperequazioni economiche nei confronti tanto del personale dipendente degli altri enti ed istituti della Regione Veneto, quanto del personale alle dipendenze di enti ed istituti appartenenti alle altre regioni a statuto ordinario non assoggettati alla normativa in esame, in quanto non destinatari di analoghi interventi di armonizzazione in aumento del proprio trattamento accessorio, con ciò ponendosi in palese violazione dei princìpi di uguaglianza e parità di trattamento sanciti dall'articolo 3 della Costituzione, nonché del principio di buon andamento della p.a. di cui all'art. 97 Costituzione.

L'individuazione, all'interno del sistema delineato dalla Carta costituzionale, della potestà legislativa esclusiva in materia di rapporto di lavoro pubblico, risponde, infatti, all'esigenza di destinare le risorse economiche disponibili in modo razionale ed equilibrato, affinché siano rispettati anche nell'ambito lavorativo i valori costituzionali primari, come ricorda codesta Ecc. ma Corte:

«Il limite delle risorse disponibili, immanente al settore pubblico, vincola il legislatore a scelte coerenti, preordinate a bilanciare molteplici valori di rango costituzionale, come la parità di trattamento (art. 3 Cost.), il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e comunque idonea a garantire un'esistenza libera e dignitosa (art. 36, primo comma, Cost.), il diritto a un’ adeguata tutela previdenziale (art. 38, secondo comma, Cost.), il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.)» (Corte cost., 26/05/2017, n. 124), sicché spetta al Legislatore statale disciplinare gli aspetti giuridico-economici fondamentali del rapporto di lavoro subordinato, prevendendo eventuali limitazioni e tetti massimi, purché non risultino irragionevoli e sproporzionati.

A questo si aggiunga che, secondo il costante insegnamento di codesta Ecc.ma Corte, recepito e condiviso dalla giurisprudenza amministrativa, «in tema di rapporto di pubblico impiego, eventuali trattamenti differenziali devono essere giustificati anche nel rapporto alle dipendenze della pubblica amministrazione, in ossequio ai principi desumibili dagli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, a fronte del generale principio di eguaglianza» (Cons. Stato Sez. IV, 30/08/2018, n. 5093).

È agevole concludere, sulla scorta degli insegnamenti testé ricordati, che la violazione del principio di uguaglianza nel trattamento economico dei dipendenti della regione e degli enti a questa collegati, finisce per compromettere la piena attuazione dei principi di efficienza dettati dall'art. 97 Cost., incidendo negativamente sulla imparzialità e buon andamento dell'azione dell'amministrazione regionale.


*****
 

Tanto premesso e considerato, giusta delibera del Consiglio dei ministri adottata in data 31 marzo 2021


si chiede
 

che la Corte Costituzionale voglia dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 legge regionale del Veneto n. 3 del 2021 - nella parte in cui introduce i commi 3-bis e 3-ter all'articolo 25 della legge regionale n. 63/1979 - avente ad oggetto "Modifiche alla legge regionale 24 agosto 1979, n. 63, Norme per l'istituzione e il funzionamento dell'Istituto regionale per le ville venete I.R.V.V., ed ulteriori disposizioni", per violazione della potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile, di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione, in relazione alle norme interposte degli articoli 1, 2, 40, e 45 del Decreto legislativo n. 165/2001 (T.U. Pubblico Impiego); per violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica sancito al terzo comma dell'articolo 117 Cost., in relazione alla normativa interposta di cui al decreto legislativo n. 75/2017 (art. 23, comma 2), nonché in relazione all'art. 119 della Costituzione; per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
 

Si produce copia della delibera del Consiglio dei Ministri.


Roma, 12 aprile 2021


Paola Maria Zerman
Avvocato dello Stato

Giuseppe Albenzio
Avvocato dello Stato

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