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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 144 del 25 settembre 2020


Ricorso

Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri alla Corte Costituzionale per la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, lett b); 9, comma 3; 18, comma 1; 8, comma 1 e comma 2; 8, comma 3 e 13, comma 2, lettere d), e), g), ed i) della legge della Regione Veneto 23 giugno 2020, n.24: "Normativa regionale in materia di polizia locale e politiche di sicurezza", pubblicata nel Bollettino ufficiale regionale n. 94 del 26 giugno 2020.

Reg. Ric. N. 76/2020CT 24915/20
- Avv. Ferrante
 

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
ECC. MA CORTE COSTITUZIONALE

RICORSO EX ART. 127 COSTITUZIONE

del Presidente del Consiglio dei Ministri p.t. rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12


nei confronti

della Regione Veneto in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore

per la dichiarazione di illegittimità costituzionale

degli articoli 3, comma 2, lett. b); 9, comma 3; 18, comma 1; 8, comma 1 e comma 2; 8, comma 3 e 13, comma 2, lettere d), e), g), ed i) della legge della Regione Veneto 23 giugno 2020, n. 24 pubblicata sul B.U.R n. 94 del 26/06/2020 recante: “Normativa regionale in materia di polizia locale e politiche di sicurezza”, giusta delibera del Consiglio dei Ministri in data 7 agosto 2020.


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La legge regionale del 23 giugno 2020, n.24 detta norme in materia di polizia locale e politiche di sicurezza definendo i principi generali afferenti la funzione di polizia locale e lo svolgimento dei servizi, l’organizzazione territoriale, nonché la valorizzazione della formazione degli operatori di polizia locale.

E' avviso del Governo che, con le norme denunciate in epigrafe, la Regione Veneto abbia ecceduto dalla propria competenza in violazione della normativa costituzionale, atteso che le suddette norme si pongono in contrasto con la normativa statale prevista dal D.lgs. n. 117 del 2017 (Codice del Terzo Settore) e con la legge n. 65 del 1986 recante “Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale”, che fungono da norme interposte nella violazione dei parametri costituzionali stabiliti dall’articolo 117, secondo comma, lettere l) e h) in materia di ordinamento civile e ordine pubblico e sicurezza, nonché dall’all'articolo 118, ultimo comma (sussidiarietà orizzontale), dall’articolo 3 (principio di uguaglianza) e dall’art. 97 della Costituzione (buon andamento della pubblica amministrazione), come si confida di dimostrare con l'illustrazione dei seguenti

MOTIVI

1) L’articolo 3, comma 2, lett. b) della Legge Regione Veneto n. 24/20 viola l'articolo 117, comma 2, lett. I e h), della Costituzione L’articolo 3, comma 2, lett. b) della legge regionale, prevede che la Regione, per il perseguimento delle finalità indicate al comma 1, sostiene “la collaborazione istituzionale con i vari enti e organismi pubblici, territoriali e statali, o anche con privati e organismi del terzo settore, mediante la stipulazione di intese o accordi per favorire, nel rispetto delle competenze di ciascun soggetto, l'attuazione, l'integrazione e il coordinamento delle politiche di sicurezza”. L'utilizzo, nella disposizione, di locuzioni espressamente riferibili agli enti del terzo settore ma impiegate verso soggetti aventi caratteristiche diverse da quelle individuate dal d.lgs. n. 117 del 2017, viola l'articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione in materia di ordinamento civile, che necessita di uniformità sull'intero territorio nazionale ed è oggetto di legislazione esclusiva statale.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 167/2010, ha affrontato plurime tematiche inerenti la normativa regionale in materia di polizia locale e politiche di sicurezza, in particolare censurando, nel caso esaminato, la normativa regionale del Friuli Venezia Giulia laddove prevedeva forme di collaborazione nell’esercizio di funzioni di pubblica sicurezza tra la polizia locale e le forze di polizia dello Stato.

In particolare, nella citata sentenza, la Corte costituzionale ha affermato che già con la legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale), il legislatore statale, nell’esercizio della propria competenza aveva fissato i principi fondamentali in tema di polizia municipale, stabilendo espressamente che gli addetti alla polizia municipale «collaborano, nell’ambito delle proprie attribuzioni, con le forze di polizia dello Stato» (art. 3), precisando che ciò può avvenire solo «previa disposizione del Sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità» e puntualizzando che «il personale che svolge servizio di polizia municipale, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita anche [...] funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza» (art. 5).

Prima dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione, poi, l’art. 159, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59), nell’ambito dell’ampio conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali operato in attuazione della legge di delega n. 59 del 1997, ha precisato che restano riservate allo Stato le funzioni ed i compiti amministrativi relativi all’ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica che si riferiscono alle misure preventive e repressive atte al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale. In attuazione di tale previsione, è stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2000 (Individuazione delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli enti locali per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di polizia amministrativa), con il quale si è stabilito, fra l’altro, che «lo Stato, le Regioni e gli Enti locali collaborano in via permanente, nell’ambito delle rispettive competenze, al perseguimento di condizioni ottimali di sicurezza delle città e del territorio extraurbano e di tutela dei diritti di sicurezza dei cittadini, nonché per la realizzazione di specifici progetti di ammodernamento e potenziamento tecnico-logistico delle strutture e dei servizi di polizia amministrativa regionale e locale, nonché dei servizi integrativi di sicurezza e di tutela sociale, agli interventi di riduzione dei danni, all’educazione alla convivenza nel rispetto della legalità» (art. 7, comma 1). Si è, poi, aggiunto, al comma 3, che «il Ministro dell’Interno, nell’ambito delle sue attribuzioni, promuove le iniziative occorrenti per incrementare la reciproca collaborazione fra gli organi dello Stato, le regioni e le Amministrazioni locali in materia, anche attraverso la stipula di protocolli d’intesa o accordi per conseguire specifici obiettivi di rafforzamento delle condizioni di sicurezza delle città e del territorio extraurbano».

Soggiunge la Corte Costituzionale che, con la modifica del Titolo V è stata riservata allo Stato, dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., la competenza in tema di ordine pubblico e pubblica sicurezza; ed alla competenza regionale residuale - e non più concorrente - è stata attribuita la materia della polizia amministrativa locale. Quanto alla necessità di una collaborazione fra forze di polizia municipale e forze di polizia di Stato, l’art. 118; terzo comma, Cost., ha provveduto espressamente a demandare alla legge statale il compito di disciplinare eventuali forme di coordinamento nella materia dell’ordine pubblico e della sicurezza.

Sul tema, poi, codesta Corte si è già pronunciata, affermando che le «auspicabili forme di collaborazione tra apparati statali, regionali e degli enti locali volti a migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio, sulla falsariga di quanto ad esempio prevede il d.P.C.M. 12 settembre 2000 [...] non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa» (sentenza n. 134 del 2004; sentenze n. 10 del 2008, n. 322 del 2006, n. 429 del 2004).

Alla luce dei suesposti principi, la norma regionale impugnata viola comunque l’art. 117, comma 2, lett. h) Cost. in materia di ordine pubblico e sicurezza. Nella specie, la norma regionale censurata dispone, pur in assenza di indicazioni del legislatore statale, “la collaborazione istituzionale con i vari enti e organismi pubblici, territoriali e statali, o anche con privati e organismi del terzo settore, mediante la stipulazione di intese o accordi per favorire, nel rispetto delle competenze di ciascun soggetto, l'attuazione, l'integrazione e il coordinamento delle politiche di sicurezza”, disciplinando non solo modalità di esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da parte della polizia locale, ma anche le forme della collaborazione con le forze della polizia dello Stato, in evidente violazione della competenza esclusiva statale in tema di sicurezza pubblica.

Codesta Corte ha affrontato analoga questione riguardante la normativa regionale della Basilicata (sentenza n. 35 del 2011) affermando che la regolamentazione delle “intese di collaborazione” oggetto di censura viene a collocarsi nell’ambito della materia “ordine pubblico e sicurezza”, di competenza legislativa esclusiva statale: materia che, per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, attiene “alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico”, inteso quest’ultimo quale “complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale” (ex plurimis, sentenza n. 129 del 2009 e - in rapporto a fattispecie nelle quali veniva specificamente in rilievo il concetto di “sicurezza urbana” - sentenze n. 274 e n. 226 del 2010, n. 196 del 2009).

Donde la sussistenza della violazione denunciata sotto entrambi i profili.

2) L’articolo 9 comma 3 della Legge Regione Veneto n. 24/20 viola l'articolo 117, comma 2, lett. l), della Costituzione

L'articolo 9, comma 3, prevede che “nei regolamenti di polizia locale può anche essere previsto l'impiego di istituti di vigilanza e delle associazioni di volontariato di cui all'articolo 18, con compiti di affiancamento e supporto all'azione della polizia locale e la possibilità di effettuare servizi per conto terzi, in coerenza con quanto previsto agli articoli 16 e 17 e nel rispetto della normativa statale in materia”. Lo svolgimento - non in via residuale ma in via primaria - da parte degli enti di attività diverse da quelle individuate dall'articolo 5 del Codice del Terzo settore, da considerare quale norma interposta nella valutazione della conformità ai parametri costituzionali, viola anch’esso l’articolo 117, secondo comma, lett. l) della Costituzione in materia di ordinamento civile, che necessita di uniformità sull'intero territorio nazionale ed è oggetto di legislazione esclusiva statale.

La giurisprudenza di codesta Corte è, del resto, costante nell’affermare che “la novazione della fonte con intrusione negli ambiti di competenza esclusiva statale costituisce causa di illegittimità della norma” (ex plurimis, sentenze n. 35 del 201 le n. 26 del 2005).

Inoltre, l'art. 9, comma 3, stabilisce che i regolamenti comunali possano prevedere lo svolgimento da parte delle "associazioni" di volontariato di "compiti di affiancamento e supporto all'azione della polizia locale" e "l'effettuazione di servizi per conto terzi"; questi ultimi, ai sensi del successivo articolo 20, consistono in "attività o servizi richiesti da soggetti privati e pubblici", sulla base di "tariffe decise dall'ente locale", ovvero dietro corresponsione di un corrispettivo.

Ai sensi del Codice del Terzo settore, le organizzazioni di volontariato (art. 33), "per l'attività di interesse generale prestata... possono ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, salvo che tale attività sia svolta quale attività secondaria e strumentale nei limiti di cui all'articolo 6 " del medesimo Codice. Pertanto, non sembra che la previsione di specifiche tariffe stabilite con regolamenti comunali di cui alla legge regionale sia sovrapponibile a quella del mero rimborso delle spese sostenute dall'organizzazione o, secondo analogo principio, dal singolo volontario appartenente all'associazione (art. 17, comma 3, del Codice).

Anche sotto tale profilo, la norma viola l’art. 117, comma 2, lett. l) Cost.

3) L’articolo 18, comma 1, della Legge Regione Veneto n. 24/20 viola l’articolo 118, ult. comma, l’art. 117, comma 2, lett. l) e l’art. 3 della Costituzione

L'articolo 18, comma 1, prevede l'attribuzione agli enti del Terzo settore di compiti ausiliari di quelli delle Amministrazioni dello Stato o degli enti locali, quali quelli della polizia locale. Data l'assenza di autonomia che qualifica la funzione ausiliaria, deve ritenersi integrata una violazione dell'articolo 118, ultimo comma, della Costituzione, che chiarisce che l'iniziativa dei cittadini singoli o associati per lo svolgimento di attività di interesse generale deve. essere autonoma rispetto ai pubblici poteri e in rapporto di sussidiarietà con essi.

L'articolo 18, comma 1, limitando unicamente alle "associazioni di volontariato" le attività volte a "favorire la partecipazione dei cittadini", risulta violare, oltre che il citato articolo 118, ultimo comma, anche dell'articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza), considerato che, fatta salva la possibilità per ciascun ente di individuare autonomamente i propri assetti istituzionali, tutti gli enti del Terzo settore possono svolgere le attività di cui all'articolo 5 del Codice del Terzo settore e sono strumento di partecipazione dei cittadini allo svolgimento delle attività di interesse comune.

In particolare, l'utilizzo di tali locuzioni negli articoli citati è effettuato senza particolari riferimenti alla normativa nazionale, quale norma interposta, che definisce gli enti del Terzo settore e le organizzazioni di volontariato (enti del Terzo settore costituiti in forma specifica) e prevede quale requisito costitutivo ai fini della qualificazione degli stessi l'iscrizione al Registro unico nazionale del terzo settore o ai registri istituiti ai sensi della normativa rivista ad opera del Codice del Terzo settore (d.lgs. n. 117/2017). Il parametro di costituzionalità invocabile è l'art. 117, secondo comma, lett. l) della Costituzione in quanto la materia dell’ordinamento civile, che necessita di uniformità sull'intero territorio nazionale, è oggetto di legislazione esclusiva statale.

Inoltre, mentre è pacifica, per espressa previsione del Codice, attuativa anche del principio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, ultimo comma della Costituzione, la possibilità per gli enti locali e le altre amministrazioni pubbliche, di coinvolgere gli enti del Terzo settore attraverso forme di co: programmazione, co-progettazione e il ricorso a forme di partenariato, più problematica sembra la previsione recata dall'articolo 18 della legge regionale secondo cui la Regione promuove e sostiene la partecipazione delle "associazioni" di volontariato ad iniziative finalizzate, tra l'altro, ad assistere la polizia locale in occasione di eventi (non viene specificato il contenuto dell'assistenza), e a "svolgere attività di ausilio nella sorveglianza dei luoghi pubblici, finalizzate ad allertare tempestivamente gli organi di polizia locale o nazionale per i necessari interventi”.

Il codice del Terzo settore individua puntualmente all'articolo 5 le attività che possono costituire oggetto delle attività istituzionali degli enti del terzo settore; le attività indicate dall'articolo 18 della legge regionale in esame sono difficilmente riconducibili a queste ultime data la mancanza di autonomia che le caratterizza.

Ne deriva la sussistenza della violazione denunciata.

4) L’articolo 8, comma 1 e comma 2 della Legge Regione Veneto n. 24/20 viola l’articolo 117, comma 2. lett. l) l’art. 3 e l’art. 97 della Costituzione

Le disposizioni di cui all’articolo 8, comma 1 e comma 2 articolano la struttura organizzativa di polizia locale prevedendo determinati ruoli funzionali e distintivi di grado (agenti, sottoufficiali, ufficiali e comandanti) e ne individuano anche i relativi rapporti gerarchici interni.

Codesta Corte, nella citata sentenza n. 35 del 2011, ha ritenuto costituzionalmente illegittima una norma che, al pari di quella oggi censurala, “provveda ad attribuire al personale della polizia locale la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla legislazione statale (sentenze n. 167 del 2010 e n. 313 del 2003)”.

Né, soggiunge codesta Corte, “il richiamo contenuto nella legge regionale alla legge statale (e comunque la conformità della prima alla seconda)” - peraltro nella fattispecie nemmeno sussistente, come si vedrà - “vale ad emendare il vizio denunciato. Il problema qui in discussione, infatti, non è di stabilire se la legge regionale sia o non sia conforme a quella statale, ma, ancor prima, se sia competente o meno a disporre il riconoscimento delle qualifiche di cui si tratta, indipendentemente dalla conformità o dalla difformità rispetto alla legge dello Stato”.

Peraltro, come accennato, la norma si pone anche in contrasto con gli articoli 6 e 7, comma 3, della legge n. 65 del 1986, quali norme interposte, in quanto ultronea rispetto al perimetro della competenza legislativa regionale in materia di polizia locale definito dalla legge quadro ed in particolare disomogenea rispetto alle diverse qualifiche ordinamentali indicate, per il suddetto personale, dall’articolo 7, comma 3.

La disposizione viola, per tali profili, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione.

Inoltre, trattandosi, anche per il personale della polizia locale, di rapporto di diritto privato con una pubblica amministrazione, si osserva che una diversa disciplina dei ruoli e delle qualifiche potrebbe impattare, soprattutto per i profili economici, anche sulla relativa disciplina prevista dal contratto collettivo nazionale del comparto enti locali che detta, secondo quanto considerato dalla stessa Corte costituzionale, principi che “costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti tra privati” (sentenza n. 189 del 2007).

Sotto tale profilo, la norma regionale viola inoltre l’articolo 3 della Costituzione, in quanto introduce una disparità di trattamento e una disomogeneità della disciplina ordinamentale generale, con presumibili effetti anche sull’articolo 97 della Costituzione in quanto altera il principio del buon andamento.

5) L’articolo 8, comma 3 della Legge Regione Veneto n. 24/20 viola l'articolo 117, comma 2, lett. l) della Costituzione

L’articolo 8, comma 3, prevede che la Giunta regionale definisca, sentita la Commissione consiliare, le caratteristiche delle uniformi e dei distintivi, di grado, nonché dei mezzi e degli strumenti operativi e di autotutela in dotazione agli appartenenti alla polizia locale.

Al riguardo, si evidenzia che l’art. 6, comma 2, nn. 4 e 5), della legge-quadro n. 65 del 1986 prevede che le Regioni disciplinino con legge regionale le caratteristiche delle uniformi, dei distintivi, dei mezzi e degli strumenti operativi in dotazione ai Corpi o ai servizi, mentre nel caso di specie la disposizione si limita a delegare l’esecutivo regionale ad individuare i suddetti segni distintivi e strumenti operativi tramite atti non legislativi. Ciò in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione in materia di ordinamento civile.

6) L’articolo 13, comma 2, lettere d), e) g) ed i) della Legge Regione Veneto n. 24/20 viola l'articolo 117, comma 2, lett. h) della Costituzione

Le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 2, lettere d), e), g), ed i) confliggono con il sistema delineato dal legislatore statale in materia di presidio del territorio, pianificazione e coordinamento delle forze di polizia di cui alla legge n. 121 del 1981 di competenza esclusiva dello Stato.

Quanto alla lettera d) del citato art. 13, comma 2, si osserva che i processi di pianificazione e razionalizzazione dei presidi di polizia sono rimessi dall’ordinamento alla competenza esclusiva dello Stato esercitata con la legge 1 aprile 1981, n. 121, recante "Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza”.

L’articolo 6, comma 1, lett. e) della suddetta legge prevede espressamente che la pianificazione generale e coordinamento delle pianificazioni operative della dislocazione delle Forze di polizia e dei relativi servizi tecnici” rientra tra i compiti attribuiti al Dipartimento della pubblica sicurezza. In tale contestualizzazione sistematica la stessa legge conferisce al Prefetto e al Questore - in quanto autorità provinciali di pubblica sicurezza - rispettivamente, la facoltà di “disporre della forza pubblica” (art. 13) e “la direzione, la responsabilità e il coordinamento, a livello tecnico operativo, dei servizi di ordine e di sicurezza e dell’impiego a tal fine della forza pubblica” (art. 14).

Sotto tale profilo, la disposizione regionale, nel prevedere che la Giunta regionale rafforzi e valorizzi azioni coordinate finalizzate al potenziamento e alla condivisione degli strumenti e delle procedure necessarie al coordinamento degli apparati di sicurezza, viola la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine e sicurezza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h).

Quanto alle lettere e), g) ed i) del citato articolo, 13, comma 2, si formulano analoghe considerazioni, atteso che dette disposizioni prevedono che la Giunta promuova e programmi azioni di sistema sul territorio regionale coinvolgendo “anche le forze dell’ordine” per “la lotta ad ogni forma di illegalità e di infiltrazione criminale” anche attraverso “la partecipazione a specifici programmi comunitari” (lettera e); inoltre la disposizione di cui alla lettera g) esplicitamente rimette alla Giunta interventi volti a “razionalizzare e potenziare presidi di sicurezza presenti sul territorio regionale” e quella di cui alla lettera i) dispone che la Giunta costituisca “tavoli a livello provinciale per la definizione e l’implementazione continua delle politiche per la sicurezza”. Pur considerando che tali attività sarebbero svolte, ai sensi del comma 2, dell’articolo 13, anche mediante accordi sottoscritti con organi e autorità di pubblica sicurezza - che comunque non paiono conformi a quanto disposto dall’articolo 2 del decreto-legge n. 14 del 2017, secondo il quale, come previsto dalle linee generali in materia di sicurezza integrata, detti accordi sono sottoscritti dai Prefetti dei capoluoghi di Regione - si osserva che la natura convenzionale dello strumento così delineato non è compatibile con i processi di pianificazione e razionalizzazione dei presidi di polizia che l’ordinamento rimette alla competenza strettamente statale.

Si evidenzia inoltre che i meccanismi convenzionali e pattizi cui la legge regionale fa riferimento si riferiscono alle iniziative di sicurezza integrata, rispetto alle quali la legge dello Stato, nel dare attuazione al principio del coordinamento normativo stato-regioni in materia di sicurezza, presuppone il rispetto delle rispettive competenze dei diversi livelli di Governo.

Le politiche di sicurezza non si realizzano, attraverso trasferimento di funzioni, da un plesso all’altro dei livelli di governo, ma prevedono che essi operino nel rispetto delle rispettive sfere di competenza, nella trama definita dalla Costituzione.

La stessa giurisprudenza della Corte costituzionale ha, in tal senso, sempre ribadito e confermato la competenza esclusiva dello Stato in materia di presidio e controllo del territorio (sentenza n. 285 del 2019). La Corte ha infatti osservato che proprio con riguardo al controllo del territorio, il comma 8 dell’art. 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 recante “Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa”, convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, assegna al Ministro dell’Interno il potere di emanare direttive «per la realizzazione a livello provinciale, nell’ambito delle potestà attribuite al prefetto [...], di piani coordinati di controllo del territorio da attuarsi a cura dei competenti uffici della Polizia di Stato e dei comandi provinciali dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, ai quali possono partecipare, previa richiesta al sindaco, contingenti dei corpi o servizi di polizia municipale».

In tal senso, è al Ministro dell’Interno e ai prefetti in ambito provinciale che spetta coinvolgere la polizia municipale per compiti di controllo del territorio, eventualmente promuovendo «le iniziative occorrenti per incrementare la reciproca collaborazione fra gli organi dello Stato, le regioni e le Amministrazioni locali in materia, anche attraverso la stipula di protocolli d’intesa o accordi per conseguire specifici obiettivi di rafforzamento delle condizioni di sicurezza delle città e del territorio extraurbano» (art. 7, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2000, recante «Individuazione delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli enti locali per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di polizia amministrativa»). Come ha chiarito la Corte Costituzionale, i compiti di polizia amministrativa, esclusi dalla competenza esclusiva statale ex art. 117, lett. h), Cost., “concernono le attività di prevenzione o di repressione dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati alle persone o alle cose nello svolgimento di attività ricomprese nelle materie sulle quali si esercitano le competenze regionali (sanità, turismo, cave e torbiere, etc.), senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi tutelati in nome dell'ordine pubblico. In altri termini, al fine di decidere se un determinato potere rientri nelle competenze di polizia amministrativa trasferite o delegate alle regioni, occorre applicare un duplice criterio:

a)   verificare se le funzioni di polizia in contestazione accedano ad una delle materie trasferite o delegate alle regioni;

b)   accertare che gli interessi o i beni che si intende tutelare con le funzioni di cui si tratta non rientrino in quelli compresi nel concetto di ordine pubblico.” (sentenza, n. 218/88).

Infatti, “solo quando le funzioni di polizia accedano ad una delle materie regionali e gli interessi o i beni pubblici che si mira a tutelare con l'esercizio dei poteri ad esse connessi siano del tutto interni alla disciplina amministrativa della materia in questione, quelle misure possono essere ricondotte alle, funzioni regionali (o provinciali) di polizia amministrativa” (sentenza n. 129/09).

In tal senso, la Corte Costituzionale ha chiarito, con la sentenza da ultimo citata, che la rilevanza dei compiti di polizia amministrativa deve necessariamente esaurirsi all’interno delle attribuzioni regionali e non può toccare quegli interessi di fondamentale importanza per l’ordinamento complessivo che è compito dello Stato curare.

Se ciò vale per la delimitazione “per attribuzioni” della competenza legislativa regionale (da intendersi limitata a quelle attività, rientranti nel concetto di sicurezza pubblica, di competenza regionale), analoga conclusione deve raggiungersi anche in relazione alla delimitazione “territoriale” della competenza legislativa regionale, traducendosi la possibilità di raggiungere intese con altri enti locali, per tutelare la sicurezza pubblica in una indebita invasione della competenza legislativa statale che, per definizione, riguarda l’intero territorio nazionale.

La norma viola dunque l’art. 117, secondo comma, lettera h) Cost.


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Alla luce di quanto sopra esposto, si conclude affinché sia dichiarata l’illegittimità costituzionale degli articoli degli articoli 3, comma 2, lett. b); 9, comma 3; 18, comma 1; 8, comma 1 e comma 2; 8, comma 3 e 13, comma 2, lettere d), e), g), ed i) della legge della Regione Veneto 23 giugno 2020, n. 24 pubblicata sul B.U.R n. 94 del 26/06/2020 recante: “Normativa regionale in materia di polizia locale e politiche di sicurezza ”, per contrasto con gli articoli17, comma 2 lett. h) e l), 118, comma 1,3 e 97 Cost. Si produce l’estratto della delibera del Consiglio dei Ministri del 7 agosto 2020.
 

Roma, 21 agosto 2010
 

Wally Ferrante
Avvocato dello Stato

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