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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 129 del 15 novembre 2019


Ricorso

Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore alla Corte Costituzionale per la declaratoria della illegittimità costituzionale della intera legge della Regione del Veneto 8 agosto 2019 n. 34 recante: " Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell'ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità.".

Ct LM 43154/19
Reg. Ric. 107/2019

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE
Ricorso ex art. 127 Costituzione

Del PRESIDENTE del CONSIGLIO dei MINISTRI pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge

CONTRO

la REGIONE VENETO, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, con sede a Venezia, Palazzo Balbi – Dorsoduro, 3901, 30123 Venezia

per la declaratoria della illegittimità costituzionale,

giusta deliberazione del Consiglio dei Ministri assunta nella seduta del giorno 3.10.2019, della intera legge della Regione del Veneto 8 agosto 2019, n. 34 – pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione del Veneto n. 89 del 9.08.2019 – e, comunque, degli artt. 1, 2 – e, in particolare, dei commi 2, 3 e 4 -, 3 – e, in particolare, del comma 2, lettera b) -, 4 – comma 1, lett. a) – e 5

PREMESSA

In data 9.08.2019, sul n. 89 del Bollettino ufficiale della Regione del Veneto, è stata pubblicata la legge 8 agosto 2019, n. 34, intitolata “Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell’ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità”.

L’art. 1 enuncia le finalità della legge stabilendo che “La Regione del Veneto concorre allo sviluppo della civile e ordinata convivenza nelle città e nel proprio territorio, promuovendo la collaborazione fra amministrazioni statali, istituzioni locali e società civile, nel rispetto delle relative competenze e responsabilità, al fine di sostenere processi di partecipazione alle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza urbana ed integrata, di incrementare i livelli di consapevolezza dei cittadini circa le problematiche del territorio e di favorire la coesione sociale e solidale.”.

Per concorrere al perseguimento di tali finalità la legge regionale riconosce e sostiene il controllo di vicinato come strumento di prevenzione finalizzato alla partecipazione della Regione alle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza urbana ed integrata.

In particolare, l’art. 2, comma 2, della legge definisce “controllo di vicinato quella forma di cittadinanza attiva che favorisce lo sviluppo di una cultura di partecipazione al tema della sicurezza urbana ed integrata per il miglioramento della qualità della vita e dei livelli di coesione sociale e territoriale delle comunità, svolgendo una funzione di osservazione, ascolto e monitoraggio, quale contributo funzionale all’attività istituzionale di prevenzione generale e controllo del territorio. Non costituisce comunque oggetto dell’azione di controllo di vicinato l’assunzione di iniziative di intervento per la repressione di reati o di altre condotte a vario titolo sanzionabili, nonché la definizione di iniziative a qualsivoglia titolo incidenti sulla riservatezza delle persone”.

Il successivo comma 3 dell’art. 2 precisa che “Il controllo di vicinato si attua attraverso una collaborazione tra Enti locali, Forze dell’Ordine, Polizia Locale e con l’organizzazione di gruppi di soggetti residenti nello stesso quartiere o in zone contigue o ivi esercenti attività economiche, che, in conformità alla presente legge, integrano l’azione dell’amministrazione locale di appartenenza per il miglioramento della vivibilità del territorio e dei livelli di coesione ed inclusione sociale e territoriale”; mentre il comma 4 prevede che “La Giunta regionale del Veneto promuove la stipula di accordi o protocolli di intesa per il controllo di vicinato con gli Uffici Territoriali di Governo da parte degli enti locali in materia di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica, nei quali vengono definite e regolate le funzioni svolte da soggetti giuridici aventi quale propria finalità principale il controllo di vicinato, secondo la definizione di cui alla presente legge. Ove ricorrano le condizioni, viene sostenuto il coinvolgimento dei soggetti giuridici di cui al presente comma, nelle forme previste nei Patti per la Sicurezza Urbana, di cui al decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”.

L’art. 3 della legge indica gli interventi per la promozione e il sostegno del controllo di vicinato prevedendo, in particolare, che la Giunta regionale del Veneto, al fine di favorire la conoscenza, lo sviluppo e il radicamento nel territorio del controllo di vicinato e delle relative iniziative, definisce programmi di intervento, tra gli altri e per quanto qui interessa, nei seguenti ambiti: a) scambio di conoscenze, informazioni ed esperienze sui diversi fenomeni partecipativi della cittadinanza alle politiche di sicurezza urbana ed integrata e sulla loro incidenza sul territorio, anche favorendo l’attivazione da parte dei comuni di sportelli informativi su ruolo e funzioni del controllo di vicinato” (comma 2, lett.a)); “b) attività di ricerca, documentazione, comunicazione ed informazione circa le azioni realizzate e di analisi sui risultati conseguiti, con particolare riguardo al livello di impatto sulla sicurezza nel conteso di riferimento” (comma 2, lett. b)).

Per l’attuazione delle iniziative di promozione e sostegno del controllo di vicinato l’art. 4, comma 1, lett. a) della legge prevede, in stretta correlazione con quanto disposto dal già citato art. 2, comma 4, che la Giunta regionale; “a) relativamente all’iniziativa di cui al comma 2 lettera a) dell’articolo 3, si confronta, senza assunzione di oneri, con gli enti locali e con soggetti giuridici aventi quale propria finalità statutaria principale il controllo di vicinato, individuati prioritariamente tra i gruppi di controllo che collaborano all’attuazione dei protocolli di intesa tra le amministrazioni comunali e gli Uffici territoriali di Governo”.

L’art. 5, rubricato “Analisi del sistema di controllo di vicinato”, prevede, infine, che “1. La Giunta regionale al fine di incentivare e sostenere la diffusione del controllo di vicinato, promuove altresì la creazione di una banca dati, che raccolga le misure attuative dei protocolli di intesa e dei patti per la sicurezza urbana sottoscritti nel territorio regionale che prevedano forme di coinvolgimento di vicinato. Tale banca dati consentirà la gestione degli elementi informativi sul sistema provenienti dagli enti locali che svolgono attività di controllo di vicinato; a tal fine, la Giunta regionale stipula intese con gli enti locali e con i soggetti istituzionali competenti in materia di ordine e sicurezza pubblica. 2. La banca dati consentirà la definizione di analisi sull’evoluzione dell’efficacia del controllo di vicinato e sulla situazione concernente le potenziali tipologie di reati ed il loro impatto sul sistema territoriale”.

La legge regionale all’esame – nella sua interezza e, comunque, con le disposizioni riportate in epigrafe -, se per un verso eccede l’ambito della competenza legislativa regionale, dall’altro invade quello attribuito al potere legislativo statale, così impingendo nella violazione tanto dell’art. 117, comma 2, lett. h) della Costituzione – che riserva allo Stato la materia dell’<ordine pubblico e sicurezza> - quanto dell’art. 118, comma 3, della Carta – che parimenti rimette alla legge statale la disciplina delle forme di coordinamento fra Stato e Regione nella materia de qua -; inoltre, e nel contempo, intervenendo, come si dirà, sulle attribuzioni di organi ed uffici statali, viola pure il limite di cui all’art. 117, comma 2, lett. g) della Costituzione che ancora una volta riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato l’<ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato>.

La legge della Regione Veneto n. 34/2019 viene pertanto impugnata nella sua interezza nonché quanto alle disposizioni in apice indicate affinché ne sia dichiarata l’illegittimità costituzionale e ne sia pronunciato il conseguente annullamento per i seguenti

MOTIVI di DIRITTO

Per comprendere il senso delle censure che si muoveranno alla legge e alle norme regionali impugnate, appare opportuno ricostruire, seppure sinteticamente, la cornice normativa all’interno della quale si colloca la disciplina regionale del controllo di vicinato.

Tale quadro normativo è rappresentato del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, il quale, in dichiarata applicazione dell’art. 118, comma 3, della Costituzione – che, come s’è detto, rimette alla legge statale la disciplina delle forme di coordinamento fra Stato e Regionale nella materia, tra l’altro, di cui alla lett. h) dell’art. 117, comma 2, Cost.: <ordine pubblico e sicurezza> -, ha introdotto misure e strumenti in tema di sicurezza, in particolare delle città, intesi a sviluppare al massimo grado la collaborazione, il coordinamento e l’integrazione tra i soggetti istituzionali a vario titolo interessati (Stato, Regioni, Province autonome, enti locali, forze di polizia statali e locali).

A tale scopo il decreto ha individuato, quali settori d’intervento, da un lato, la sicurezza integrata, dall’altro, la sicurezza urbana.

  1. La sicurezza integrata

La sicurezza integrata è definita quale “l’insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali, nonché da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali” (così l’art. 1, comma 2, del d.l. n. 14/2017).

“Ferme restando le competenze esclusive dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza”, il decreto-legge ha previsto che le linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata sono adottate, su proposta del Ministro dell’interno, con accordo sancito in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni (accordo in effetti sancito nella seduta del 24.01.2018) (art. 2, comma 1).

Tali linee generali – le quali devono tenere conto della necessità di migliorare la qualità della vita e del territorio e di favorire l’inclusione sociale e la riqualificazione socio-culturale delle aree interessate – (art. 2, comma 1-bis) -, sono rivolte, prioritariamente, a coordinare, per lo svolgimento di attività di interesse comune, l’esercizio delle competenze dei soggetti istituzionali coinvolti, anche con riferimento alla collaborazione tra le forze di polizia e la polizia locale, nei seguenti settori d’intervento:

a)  Scambio informativo tra la polizia locale e le forze di polizia presenti sul territorio;

b)  interconnessione, a livello territoriale, tra le sale operative della polizia locale e quelle delle forze di polizia, nonché regolamentazione dell’utilizzo in comune di sistemi di sicurezza tecnologica per il controllo delle aree d delle attività soggette a rischio;

c)  aggiornamento professionale integrato per gli operatori della polizia locale e delle forze di polizia (art. 2, comma 1).

Il successivo art. 3 del decreto ha individuato gli strumenti di attuazione delle linee generali adottate prevedendo che “lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono concludere specifici accordi per la promozione della sicurezza integrata, anche diretti a disciplinare gli interventi a sostegno della formazione e dell’aggiornamento professionale del personale della polizia locale” (comma 1).

Le Regioni e le Province autonome, anche sulla base degli accordi sanciti in sede di Conferenza unificata, possono poi “sostenere, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni, iniziative e progetti volti ad attuare interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio di riferimento, ivi inclusa l’adozione di misure di sostegno finanziario a favore dei comuni maggiormente interessati da fenomeni di criminalità diffusa” (comma 2).

  1. La sicurezza urbana

La sicurezza urbana è invece intesa quale “bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città” da perseguire, anche attraverso gli interventi sotto descritti, mediante il prioritario contributo integrato dello Stato, delle Regioni, delle Province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali, “nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni” (art. 4, comma 1):

  • riqualificazione e recupero delle aree o dei siti degradati;
  • eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale;
  • prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio;
  • promozione della cultura del rispetto della legalità;
  • affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile:

In coerenza con le linee generali di cui al punto che precede e nel rispetto di linee guida adottate, su proposta del Ministero dell’interno, con accordo raggiunto in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali – accordo poi sancito nella seduta del 26.07.2018-, l’art. 5, comma 1, del decreto prevede che il Prefetto e il Sindaco possano sottoscrivere patti - definiti Patti per l’attuazione della sicurezza urbana - con i quali individuare, in relazione alla specificità dei singoli contesti territoriali, interventi finalizzati alla:

“a)  prevenzione e contrasto dei fenomeni di criminalità diffusa e predatoria, attraverso servizi e interventi di prossimità, in particolare a vantaggio delle zone maggiormente interessate da fenomeni di degrado, anche coinvolgendo, mediante appositi accordi, le reti territoriali di volontari per la tutela e la salvaguardia dell’arredo urbano, delle aree verdi e dei parchi cittadini e favorendo l’impiego delle forze di polizia per far fronte ad esigente straordinarie di controllo del territorio, nonché attraverso l’installazione di sistemi di videosorveglianza;

b) promozione e tutela della legalità, anche mediante mirate iniziative di dissuasione di ogni forma di condotta illecita, compresi l’occupazione arbitraria di immobili e lo smercio di beni
contraffatti o falsificati, nonché la prevenzione di altri fenomeni che comunque comportino turbativa del libero utilizzo degli spazi pubblici;

c)  promozione del rispetto del decoro urbano, anche valorizzando forme di collaborazione interistituzionale tra le amministrazioni competenti, finalizzate a coadiuvare l’ente locale
nell’individuazione di aree urbane su cui insistono plessi scolastici e sedi universitarie, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi di cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico, da sottoporre a particolare tutela

d)  promozione dell’inclusione, della protezione e della solidarietà sociale mediante azioni e progetti per l’eliminazione di fattori di marginalità, anche valorizzando la collaborazione con enti o associazioni operanti nel privato sociale, in coerenza con le finalità del Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale” (art. 5, comma 2).

In sintesi, il legislatore ha affidato al Prefetto e al Sindaco, attraverso la stipulazione di tali patti, l’attuazione sul territorio - nel rispetto delle linee generali sulla sicurezza integrata e dalle linee guida sulla sicurezza urbana - dei progetti di sicurezza urbana aventi gli obiettivi sopra indicati.

Nel concludere la sintetica ricostruzione della disciplina statale in materia di sicurezza pare opportuno sottolineare come la stessa sia assolutamente in linea con l’interpretazione dell’art. 118, comma 3, Cost. offerta da codesta Ecc.ma Corte la quale è da tempo costante nell’affermare che «in materia di ordine e sicurezza pubblica l'ordinamento statale persegue opportune forme di coordinamento tra Stato ed enti territoriali» (cfr. sentenze n. 105 del 2006 e n. 55 del 2001) o forme di accordi fra gli enti interessati volti «a migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio» (sentenze n. 105 del 2006 e n. 134 del 2004).

Circostanza che avrebbe dovuto indurre la Regione Veneto ad astenersi dall’adottare la legge regionale impugnata e dall’introdurre, con essa, disposizioni che, come si avrà modo di dimostrare più avanti, invadono apertamente le competenze legislative esclusive dello Stato.

A

La legge regionale del Veneto n. 34/2019

Come si evince, all’evidenza, dalla mera lettura delle norme sopra riprodotte nonché delle altre da essa recate, la legge della Regione Veneto n. 34/19 ha un contenuto omogeneo ed unitario nel senso che essa - e tutte le disposizioni nelle quali si articola - detta una disciplina organica ed esaustiva del c.d. controllo di vicinato.

Per tale ragione - e a prescindere dai vizi di costituzionalità che inficiano singole disposizioni delle quali si dirà in seguito -, essa viene impugnata nella sua interezza.

Non ignora questa Difesa l’insegnamento di codesta Corte secondo il quale è inammissibile l’impugnativa di una intera legge “ove ciò comporti la genericità delle censure” (sentenza n. 195 del 2015) o ''quando le censure adeguatamente motivate riguardino solo singole disposizioni, mentre quella indirizzata all'intero testo normativo sia del tutto generica” (sentenze 137 del 2019 e 64 del 2007).

Cionondimeno, questo Patrocinio ritiene che nella fattispecie il ricorso sia ammissibile proprio perché l’unitarietà e l’unicità dell’oggetto e l’organicità ed esaustività della disciplina sono da tali da rendere incostituzionale l’intera normativa.

Essa, infatti, interviene in materia - l’ordine pubblico e la sicurezza - in radice preclusa al legislatore regionale dall’art. 117, comma 2, lett. h) Cost., pone regole di coordinamento interistituzionale in detta materia anch’esse riservate al (solo) legislatore statale dall’art. 118, comma 3, della Carta e, come se non bastasse, “dispone” pure delle competenze e delle attribuzioni di organi ed uffici pubblici statali in violazione della riserva di legislazione statale ancora una volta stabilita dall’art. 117, comma 2, lett. g) della Costituzione.

Rinviando per più ampi sviluppi a quanto si dirà in prosieguo a proposito delle singole disposizioni specificamente censurate, preme in questa sede ribadire, in termini generali, che l’intera materia della <sicurezza> - a prescindere dalle forme nelle quali essa viene declinata: sicurezza integrata o sicurezza urbana - forma oggetto, al pari dell’ordine pubblico, di riserva di legislazione statale (art. 117, comma 2, lett. h) Cost.): tant’è vero che, come pure s’è detto, del tutto coerentemente la stessa Costituzione riserva allo Stato la disciplina delle forme di coordinamento dell’attività dei pubblici poteri - Regioni comprese - nella suddetta materia (art. 118, comma 3, Cost.).

E proprio nell’esercizio di queste attribuzioni il legislatore statale ha provveduto, con il d.l. n. 14/2017, non soltanto a disciplinare la materia ma, in ossequio a quel principio di reciproco rispetto delle rispettive competenze costantemente ribadito dallo stesso decreto, a delineare - e a circoscrivere -, con assoluta precisione, il ruolo dei vari attori istituzionali - e, tra questi, e in primis, quello delle Regioni -, gli ambiti di intervento dell’uno e dell’altro nonché le relative modalità.

•  Quanto alla sicurezza integrata, le competenze delle Regioni e delle Province autonome, da esercitarsi nel quadro ed in attuazione delle linee generali convenute in sede di Conferenza unificata, sono limitate, essenzialmente su base pattizia - a mezzo di “specifici accordi con lo Stato, recita l’art. 3, comma 1, del decreto -, ai settori d’intervento indicati dal precedente art. 2, settori tra i quali non figura il controllo di vicinato e che essenzialmente attengono, per un verso, allo scambio di informazioni e all’interconnessione, a livello territoriale, tra la polizia locale e le forze di polizia e, per un altro, all’aggiornamento professionale dei relativi operatori.

La competenza delle Regioni e delle Province autonome è poi estesa, anche sulla base degli accordi di cui sopra, al sostegno - “nell’ambito delle proprie competente e funzioni”, chiarisce l’art. 3, comma 2, del decreto - di iniziative progettuali volte all’attuazione di interventi di promozione della sicurezza integrata nel territorio di riferimento, ivi inclusa l’adozione di misure di sostegno finanziario a favore dei comuni maggiormente interessati da fenomeni di criminalità diffusa.

Pare peraltro evidente a chi scrive che le misure di sostegno delle quali discorre la disposizione, non soltanto debbano di regola iscriversi anch’esse nel quadro convenzionale che caratterizza l’intera materia, ma, soprattutto, si risolvano essenzialmente in interventi amministrativi di supporto - di sostegno, appunto -, prima di tutto economico - v. il riferimento esplicito alle misure di sostegno finanziario a favore dei comuni maggiormente interessati da fenomeni di criminalità diffusa - e, poi, eventualmente logistico e funzionale, di attività riconducibili alla sicurezza integrata come definita dall’art. 1 del decreto e, in particolare, ai settori d’intervento indicati dall’art. 2.

In questa prospettiva, il <sostegno> del quale parla l’art. 3, comma 2, del d.l. n. 14/2017 non può quindi estendersi alla disciplina legislativa del controllo di vicinato sia perché questo è, come s’è detto, estraneo agli anzidetti settori d’intervento sia perché una regolamentazione per via legale del fenomeno contrasta, per il suo carattere autoritario ed unilaterale, con il modulo convenzionale che informa l’intera materia sia, infine, perché la “legificazione” del controllo di vicinato eccede certamente l’ambito delle misure di sostegno che, in base alla legge statale ed agli
accordi che sono a questa seguiti, le autonomie locali sono legittimate ad adottare in un ambito, come s’è detto, per principio precluso al legislatore regionale.

•  Considerazioni sostanzialmente analoghe possono svolgersi anche quanto alla sicurezza urbana, la cui disciplina è essenzialmente contenuta, come previsto dall’art. 5 del pluricitato decreto-legge, nei “Patti per l'attuazione della sicurezza urbana” stipulati, nel rispetto delle linee guida convenute in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, tra il prefetto ed il sindaco del territorio di riferimento.

E’ ben vero che tra gli obiettivi prioritariamente perseguiti dai Patti figura anche - art. 5, comma 2, lett. a) in precedenza citato - la prevenzione ed il contrasto dei fenomeni di criminalità diffusa e predatoria anche attraverso il coinvolgimento, mediante appositi accordi, delle reti territoriali di volontari per la tutela e la salvaguardia dell’arredo urbano, delle aree verdi e dei parchi cittadini: ma è altrettanto vero che la disposizione intende riferirsi non già al controllo di vicinato ma, come chiarito dall’accordo raggiunto in data 26.07.2018 in sede di Conferenza Stato-città e
autonomie locali, a figure di volontari già da tempo previste, disciplinate ed operanti a livello locale.

Né a diversa conclusione può indurre la circostanza che l’art. 4 del decreto preveda il concorso prioritario - accanto allo Stato e agli enti locali - delle Regioni e delle Province autonome nella realizzazione degli interventi diretti al perseguimento del bene pubblico sicurezza urbana perché, anche a questo proposito, può ripetersi quanto testé osservato in merito al fatto che il principio del rispetto delle rispettive competenze e funzioni - non a caso ribadito, in fine, dallo stesso art. 4 del decreto - osta a che le Regioni intervengano in via legislativa su materie che, come quella della sicurezza, sono ad esse, per principio e norma costituzionale, assolutamente precluse.

L’intervento regionale non può peraltro essere giustificato neppure dalla considerazione - che qui si formula per mera completezza difensiva - che il controllo di vicinato è estraneo alla materia della sicurezza sia perché così non è - posto che il controllo di vicinato è, in sé. strettamente funzionale e strumentale, attraverso il controllo “sociale” del territorio, al perseguimento di più elevati livelli di sicurezza - sia perché lo stesso legislatore veneto lo considera tale nel momento in cui lo qualifica espressamente come “strumento di prevenzione ... funzionale all’attività
istituzionale di prevenzione generale e controllo del territorio" (v. art. 2, commi 1 e 2, Lr. n. 34/2019) e, dunque, quale strumento di prevenzione, anche criminale.

In definitiva, il controllo di vicinato avrebbe semmai potuto trovare riconoscimento e ricevere disciplina nell’ambito degli accordi e dei patti previsti dalla normativa statale in materia di sicurezza, nel rispetto delle competenze dei vari soggetti istituzionali e delle funzioni attribuite ai vari livelli di governo, all’interno della cornice regolatoria apprestata dallo Stato con il d.l. n. 14/2017 e nel quadro convenzionale ivi previsto.

Quel che è certo è che la Regione Veneto non era invece legittimata a legiferare in materia, essendo detto coordinamento riservato alla legislazione statale la quale, con il decreto-legge più volte citato, ha appunto previsto un complesso di azioni e di interventi dello Stato, delle Regioni, delle Province autonome, degli enti locali e degli altri soggetti istituzionali al fine di concorrere, secondo le competenze e le funzioni di ciascuno, all’attuazione di un sistema unitario cd integrato di sicurezza per il benessere delle comunità locali.

• Infine, e come pure s’è detto e come meglio si dirà trattando delle singole disposizioni, la legge regionale impugnata, attribuendo compiti ad organi ed apparati statali (v. l’art. 2, commi 3 e 4, della l.r.), viola anche l’art. 117, comma 2, lett. g) della Carta - e la riserva di legislazione statale ivi stabilita in materia di <ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali> - atteso che, come chiarito da codesta Ecc.ma Corte, “le forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa: esse debbono trovare il loro fondamento e il loro presupposto in leggi statali che le prevedono o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati” (sent. n. 134 del 2004).

B

Gli artt. 1, 2 - in particolare, i commi 2, 3 e 4 - e 4, comma 1, lett. a) della
legge regionale del Veneto n. 34/2019

Come s’è detto in narrativa, l’art. 2, comma 2, nel fornire una definizione del controllo di vicinato quale “forma di cittadinanza attiva che favorisce lo sviluppo di una cultura di partecipazione al tema della sicurezza urbana ed integrata per il miglioramento della qualità della vita e dei livelli di coesione sociale e territoriale delle comunità”, attribuisce allo stesso “una funzione di osservazione, ascolto e monitoraggio, quale contributo funzionale all'attività istituzionale di prevenzione generale e controllo del territorio”.

Al proposito, è di tutta evidenza come la citata disposizione regionale violi palesemente il riparto di competenze fissato dagli art. 117, comma 2, lett. h) e 118, comma 3, della Carta fondamentale che riserva alla potestà legislativa esclusiva statale tanto la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza quanto la disciplina di forme di coordinamento fra Stato e Regione in detta materia.

Ed invero, attribuendo al controllo di vicinato la funzione di contribuire all’attività istituzionale di prevenzione generale dei fenomeni devianti e di controllo del territorio, la disposizione impugnata finisce, inevitabilmente, per invadere le cerniate competenze esclusive statali.

Codesta Ecc.ma Corte, in una decisione in cui ha ritenuto violata la competenza statale in materia di «ordine pubblico e sicurezza», ha, invero, sottolineato che la disciplina di un’attività, per quanto connessa al contrasto di fenomeni criminali, può venire assegnata alla legge regionale se è “tale da poter essere ricondotta] a materie o funzioni di spettanza regionale ovvero a interessi di rilievo regionale” (sentenza n. 35 del 2012, con richiamo alla sentenza n. 4 del 1991); ed infatti, “[l]a promozione della legalità, in quanto tesa alla diffusione dei valori di civiltà e parifica convivenza su cui si regge la Repubblica, non è attribuzione monopolistica, né può divenire oggetto di contesa tra i distinti livelli di legislazione e di governo,», essendo necessario unicamente che le ''‘‘misure predisposte a tale scopo nell’esercizio di una competenza propria della Regione [ ..] non costituiscano strumenti di politica criminale; né, in ogni caso, generino interferenze, anche potenziali, con la disciplina statale di prevenzione e repressione dei reati” (sentenza n. 35 del 2012, con richiamo alle sentenze n. 325 del 2011 e n. 55 del 2001).

Interferenze, non potenziali, bensì reali, sono invece quelle che la disposizione di cui al Part. 2, comma 2, della legge della Regione Veneto n. 34/19 genera all’evidenza nel momento in cui trasforma il controllo di vicinato in uno strumento di politica criminale.

Né vale ad escludere la fondatezza della esposta censura il fatto che l’art. 1 della legge regionale gravata presti formale ossequio alle “competenze e responsabilità” delle amministrazioni statali o il secondo periodo della disposizione all’esame rechi una sorta di clausola di salvaguardia con la quale viene precisato che “Non costituisce comunque oggetto dell'azione di controllo di vicinato l'assunzione di iniziative di intervento per la repressione di reati o di altre condotte a vario titolo sanzionabili, nonché la definizione di iniziative a qualsivoglia titolo incidenti sulla riservatezza delle persone”.

Al proposito, si evidenzia che la materia dell’ordine e della sicurezza pubblica attiene non solo alla repressione dei reati quanto, anche, e forse soprattutto, alla prevenzione degli stessi; funzione, quest’ultima, che la disposizione impugnata esplicitamente attribuisce, come più sopra evidenziato, all’attività di controllo di vicinato.

• Il comma 3 dell’art. 2 stabilisce che “Il controllo di vicinato si attua attraverso una collaborazione tra Enti locali, Forze dell'Ordine, Polizia Locale e con l'organizzazione di gruppi di soggetti residenti nello stesso quartiere o in zone contigue o ivi esercenti attività economiche, che in conformità alla presente legge, integrano l’azione dell’amministrazione locate di appartenenza per il miglioramento della vivibilità del territorio e dei livelli di coesione ed inclusione sociale e territoriale”.

Il comma 4 del medesimo art. 2 prevede poi, come riferito in narrativa, che “La Giunta regionale del Veneto promuove la stipula di accordi o protocolli di intesa per il controllo di vicinato con gli Uffici Territoriali di Governo da parte degli enti locali in materia di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica, nei quali vengono definite e regolate le finizioni svolte da soggetti giuridici aventi quale propria finalità principale il controllo di vicinato, secondo la definizione di cui alla presente legge.

Tali disposizioni, oltre a violare anch’essa il riparto di competenze fissato dall’art. 117, comma 2, lett. h) della Carta fondamentale - che, come s’è detto, riserva alla potestà legislativa esclusiva statale la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza -, atteso che richiamano la definizione di controllo di vicinato di cui all’art. 2, comma 2, della legge regionale, invadono pure la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali'' (art. 117, comma 2, lett. g) della Costituzione).

Le regioni, infatti, non possono dettare norme che, come quelle ora gravate, prevedano forme di collaborazione tra le Forze dell’Ordine ed altri soggetti o, anche se al solo fine di promuoverli, la stipula di accordi dai quali deriveranno obblighi a
carico dei titolari e dei preposti ad organi ed uffici pubblici dello Stato, quali sono le Prefetture-Uffici Territoriali del Governo, senza con ciò impingere nell’organizzazione amministrativa dello Stato e dei suoi apparati (per riferimenti in questo senso v. Corte cost. n. 134/2004).

Né, al fine di escludere la sussistenza di tale violazione, varrebbe affermare che il comma 4 dell’art. 2 si conclude, prevedendo che, “Ove ricorrano le condizioni, viene sostenuto il coinvolgimento dei soggetti giuridici di cui al presente comma, nelle forme previste nei Vaiti per la Sicurezza Urbana, di cui al decreto legge 20 febbraio 2017 n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017 n. 48, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città.”.

Ed invero, il richiamo alla disciplina statale in materia di sicurezza integrata e di sicurezza urbana di cui al decreto legge n. 14/17 risulta condizionato alla sussistenza di non meglio precisate “condizionni”: dal che logicamente discende che, in mancanza
di tali condizioni, gli accordi o i protocolli di intesa per il controllo di vicinato potranno essere stipulati tra gli Uffici Territoriali del Governo e gli enti locali anche in forme diverse dai Patti per l’attuazione della sicurezza urbana.

• La medesima censura di violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di <ordinamento e organizza amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali> (art. 117, comma 2, lett. g) Cost.) vale anche per la disposizione di
cui all’art. 4, comma 1, lett. a), in quanto strettamente correlata a quella di cui all’art. 2, comma 4; essa prevede, infatti, che per l’attuazione delle iniziative di promozione e sostegno del controllo di vicinato, la Giunta regionale: “a) relativamente all’iniziativa
di cui al comma 2 lettera a) dell’articolo 3, si confronta, senza assunzione di oneri, con gli enti locali e con soggetti giuridici aventi quale propria finalità statutaria principale il controllo di vicinato,
individuati prioritariamente tra i gruppi di controllo che collaborano all’attuazione dei protocolli di intesa tra le amministra rioni comunali e gli Uffici territoriali di Governo”, Anche qui si fa riferimento alla stipula di accordi dai quali deriveranno obblighi a carico dei titolari e dei preposti ad organi ed uffici pubblici dello Stato, quali sono le Prefetture-Uffici Territoriali del Governo, con una norma regionale che, ancora una volta, per ciò stesso impinge nell’organizzazione amministrativa dello Stato e che, comunque, attribuisce rilievo giuridico a soggetti privati le cui competenze risultano assolutamente generiche e indefinite.

C

L’art. 3 e, in particolare, il comma 2. lett. b) della legge regionale del Veneto n. 34/2019

L’art. 3, comma 2, lett. b) della legge della Regione Veneto n. 34/19 prevede che la Giunta regionale del Veneto, al fine di favorire la conoscenza, lo sviluppo e il radicamento nel territorio del controllo di vicinato e delle relative iniziative, definisce
programmi di intervento, tra l’altro, nel seguente ambito: “b) attività di ricerca, documentazione, comunicazione ed informazione circa le azioni realizzate e di analisi sui risultati conseguiti, con particolare riguardo al livello di impatto sulla sicurezza nel contesto di riferimento”.

Anche tale disposizione viola, apertamente, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117, comma 2, lett. h) della Costituzione atteso che, nel prevedere che i programmi di intervento definiti
dalla Giunta regionale del Veneto riguardino, tra gli altri, anche l’ambito sopra indicato, essa genera - per usare le parole di codesta Ecc.ma Corte - “interferenze, anche [semplicemente: n.d.r.] potenziali", sull’attività degli organi statali competenti, quali il
Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, cui l’art. 6, comma 1, lett. a) della legge 1 aprile 1981, n. 121 - “Nuovo ordinamento dell’amministratone della pubblica sicurezza" - demanda l’analisi strategica interforze dei fenomeni criminali ai
fini del supporto dell’Autorità nazionale di pubblica sicurezza.

La norma regionale che qui si censura rischia dunque di compromettere quelle funzioni primariamente dirette a tutelare “beni fondamentali, quali l’integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume prioritaria importanza per l’esistenza stessa dell’ordinamento” (cfr. Corte Cost., sentenza n. 105 del 2006, con richiamo a sentenza n. 290 del 2001) che costituiscono l’essenza stessa della materia dell’ordine pubblico e della sicurezza.

Ne, al fine di sottrarre la disposizione alla esposta censura, varrebbe sminuirne la portata attribuendole il solo e semplice scopo di formare culturalmente le coscienze degli operatori o dei cittadini che fruiscono degli eventuali servizi, atteso che tale
interpretazione riduttiva è recisamente esclusa dal significato letterale, particolarmente chiaro, della norma.

D

L’art. 5 della legge regionale del Veneto n. 34/2019

L’art. 5, rubricato “Analisi del sistema di controllo di vicinato”, prevede, infine, che “1.
La Giunta regionale al fine di incentivare e sostenere la diffusione del controllo di vicinato, promuove altresì la creazione di una banca dati, che raccolga le misure attuative dei protocolli di intesa e dei patti per la sicurezza urbana sottoscritti nel territorio regionale che prevedano forme di coinvolgimento di vicinato. Tale banca dati consentirà la gestione degli elementi informativi sul sistema provenienti dagli enti locali che svolgono attività di controllo di vicinato; a tal fine, la Giunta regionale stipula intese con gli enti locali e con i soggetti istituzionali competenti in materia di ordine e sicurezza pubblica. 2. La banca dati consentirà la definizione di analisi sull’evoluzione dell’efficacia del controllo di vicinato e sulla situazione concernente le potenziali tipologie di reati ed il loro impatto sul sistema territoriale.”.

Anche tale disposizione viola, in modo evidente, il riparto di competenze fissato dall’art. 117, comma 2, lett. h) della Carta fondamentale che riserva alla potestà legislativa esclusiva statale la materia dell’ordine pubblico e della sicurezza.

Essa, infatti, determina una sovrapposizione o, comunque, una interferenza con le banche dati formate e tenute dal Centro Elaborazione Dati (CED) interforze istituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno ai sensi dell’art. 7, comma 1, della legge n. 121/1981 per la raccolta di informazioni e dati provenienti dalle Forze di polizia finalizzate all’attività di analisi, classificazione e valutazione delle informazioni in materia di prevenzione e repressione dei reati e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

La norma regionale promuove infatti la costituzione, da parte della Giunta regionale, di una “banca dati” parallela, alimentata dagli elementi informativi forniti da enti locali che svolgono attività di controllo di vicinato, suscettibile, ancora una volta, di interferire con l’attività degli organi statali competenti.

• In base al comma 2 dell’art. 5 della l.r. n. 34/2019 la “banca dati’ regionale
dovrebbe assolvere anche all’ulteriore funzione di consentire “la definitone di analisi ... sulla situazione concernente le potenziali tipologie di reati ed il loro impatto sul sistema territoriale”.

In tal modo, però, la disposizione regionale invade, in modo eclatante, la competenza esclusiva dello Stato in tema di prevenzione dei reati e si discosta, peraltro, da altre esperienze regionali che, nel rispetto del riparto di competenze fissato dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie, hanno, invero, previsto la mera possibilità per le polizie locali di collegarsi alla banca dati del CED interforze.

Né, al fine di escludere il rischio di una sovrapposizione o di un’interferenza della banca dati regionale con le banche dati formate dal CED interforze, varrebbe opporre che la banca dati regionale ha il solo scopo di monitorare le attività amministrative svolte dagli enti locali in attuazione dei protocolli di intesa e dei patti per la sicurezza e di verificarne gli effetti: tale interpretazione riduttiva risulta, infatti, smentita, all’evidenza, dal chiaro tenore letterale della disposizione regionale che, come s’è detto, attribuisce alla banca dati, tra le altre, la funzione di consentire analisi “sulla situazione concernente le potenziali tipologie di reati ed il loro impatto sul sistema territoriale.”.

Si evidenzia, inoltre, che le già richiamate linee-guida di cui all’accordo sancito in sede di Conferenza unificata prevedono (già) espressamente la possibilità di costituire, nei comuni sedi di circoscrizioni di decentramento amministrativo di cui all’art. 17 del T.U.E.L. - d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - appositi Tavoli di Osservazione (TdO), regolamentati nei Patti per la sicurezza, coordinati da Dirigenti delle Prefetture e composti dai Presidenti delle circoscrizioni e dai responsabili delle articolazioni delle Forze di polizia e delle polizie locali. La finalità dei predetti tavoli
è appunto l’individuazione di azioni di prevenzione e di contrasto da porre in essere con le risorse disponibili, anche attraverso momenti di confronto con i comitati civici e gli altri soggetti esponenziali degli interessi e dei bisogni delle “realtà di quartiere”.

Tale funzione, di carattere preventivo e propositivo, dei Tavoli di Osservazione, nei quali trovano adeguata espressione anche le istanze espresse da gruppi di privati, dimostra, ove ve ne fosse ancora bisogno, che la costituzione di un’ulteriore banca dati per l’analisi di fenomeni criminali, oltre a tradursi nella invasione, da parte della Regione Veneto, della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, risulta, nei fatti, del tutto superflua.

P.Q.M.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente annullare, per i motivi sopra indicati ed illustrati, l’intera legge della Regione del Veneto 8 agosto 2019, n. 34 - pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione del Veneto n. 89 del 9.08.2019 - o, quantomeno, gli arri. 1, 2 - in particolare, i commi 2, 3 e 4 -, 3 - in particolare, il comma 2, lettera b) -, 4 - comma 1, lett. a) - e 5.

Con l’originale notificato del ricorso si depositeranno i seguenti atti e documenti:

  1. attestazione relativa alla approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri nella riunione del giorno 3.10.2019, della determinazione di impugnare la legge della Regione del Veneto 8 agosto 2019, n. 34 secondo i termini e per le motivazioni di cui alla allegata relazione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie;
  2. copia della legge regionale impugnata pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione del Veneto n. 89 del 9.08.2019.

Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i motivi di ricorso anche alla luce delle difese avversarie.

Roma, li 7 ottobre 2019

 

Leonello MARIANI
VICE AVVOCATO GENERALE dello STATO

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