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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 95 del 03 ottobre 2014


Ricorsi

Ricorso n. 67 del governo alla Corte Costituzionale per la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge regionale 19 giugno 2014, n. 15 "Referendum consultivo sull'autonomia del Veneto", pubblicata nel BUR n. 62 del 24 giugno 2014.

Pubblicazione disposta dal Presidente della Corte costituzionale a norma dell’art. 20 delle Norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale

 Ricorso n. 67
Depositato il 2 settembre 2014

Per il Presidente del Consiglio dei Ministri (C.F. 80188530587) in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), Fax 06/96514000 presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, PEC ags_rm2@mailcert.avvocaturastato.it

 contro

la Regione del Veneto in persona del Presidente p.t. (C.F. 80007580279)

per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge regionale del Veneto del 19.06.2014 n. 15 pubblicata nel BUR del 24.06.2014 recante norme relative al “referendum consultivo sull’autonomia del Veneto”, in base alla delibera del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta dell’8.8.2014, per violazione degli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost.

 FATTO

Con la legge regionale 15/2014 in epigrafe indicata la Regione Veneto ha dettato una singolare disciplina, articolata tra una direttiva politica che autorizza il Presidente della Giunta “ad instaurare con il Governo un negoziato volto a definire il contenuto di un referendum consultivo finalizzato a conoscere la volontà degli elettori del Veneto circa il conseguimento di ulteriori forme di autonomia delle Regioni”, contenuta nell’art. 1 e la previsione più propriamente normativa dell’art. 2 in base alla quale “Qualora il negoziato non giunga a buone fine entro il termine di cui al comma 2 dell’art. 1 il Presidente è autorizzato ad indire un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto in ordine” ad una serie di quesiti che si analizzeranno poi singolarmente, ma tutti variamente riferibili a diversi livelli di maggiore autonomia.

Come già avvenuto per precedenti leggi su referendum “autonomistici” si chiede a codesta Corte di dichiararne l’illegittimità costituzionale, per i seguenti

 MOTIVI

Violazione degli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost., nonché degli artt. 26 e 27 dello Statuto della Regione Veneto approvato con L. 1/2012, come da delibera del Consiglio dei Ministri dell’8.8.2014.

Secondo gli insegnamenti di codesta Corte il referendum consultivo regionale, pur essendo un prezioso strumento di partecipazione dell’elettorato alle scelte dei suoi rappresentanti politici, deve essere amministrato con particolare attenzione laddove esso si presta ad essere utilizzato indebitamente come un mezzo di pressione sull’attività legislativa del Parlamento, influendo negativamente sull’azione costituzionale e politica dello Stato (sent. 259/89).

In particolare codesta Corte ha stigmatizzato il tentativo di far precedere un referendum consultivo alla proposizione di iniziative di riforma della Costituzione da parte degli organi politici regionali, sottolineando il rischio che la manifestazione di una volontà popolare, prima della formazione delle scelte del legislatore, alteri l’ordine procedimentale previsto nell’art. 138 e quindi pregiudichi l’equilibrio di una determinazione che il Costituente ha costruito con la massima cura, al fine di garantire che le future riforme costituzionali siano frutto di un’accurata e ponderata riflessione, prima all’interno delle Camere, ove si richiedono maggioranze qualifica ed un duplice passaggio deliberativo, e solo dopo attraverso una conferma popolare sulla condivisione del testo approvato da parte dell’intero elettorato nazionale.

Rispetto a tale elaborata trama procedimentale è stata quindi considerata anomala ed illegittima una forma di previa consultazione di una parte limitata dell’elettorato, che rischia di creare fratture pericolose nell’unità nazionale, contrapponendo gli elettori, non in base alla legittima diversa scelta che essi possono fare, ma bensì per la appartenenza geografica ad un territorio limitato rispetto all’intera estensione del Paese.

Alla luce della richiamata giurisprudenza di codesta Corte anche il nuovo referendum costruito dal legislatore veneto risulta contrastante con il dettato costituzionale, come si vedrà ora analizzando i singoli quesiti.

Muovendo per comodità espositiva dal n. 5 “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?” è agevole riscontrare che la finalità del legislatore veneto si pone in contrasto con l’art. 116 Cost. nel quale sono precisamente individuate le Regioni a Statuto speciale e per differenza quelle a Statuto ordinario, come il Veneto.

Risulta peraltro evidente come rispetto a tale quesito il referendum sia da considerare illegittimo anche poiché, alla stregua dei precedenti scrutinati da codesta Corte, costituirebbe una forma di indebito avvio del procedimento previsto nell’art. 138 Cost., con tutti i rischi che ciò comporterebbe per gi equilibri politici e costituzionali.

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 Più articolata discussione si richiede per il quesito n. 1 “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”.

Esso infatti si ispira in qualche modo al contenuto dell’art. 116 co. 3 Cost., laddove esso prevede che “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia……possono essere attribuite ad altre Regioni”.

L’apparente conformità al dettato costituzionale però si ferma qui, poiché la previsione della Carte costituzionale è ben più complessa e cautelativa: essa infatti ha dei limiti contenutistici e delle condizioni procedurali rigorosi ed inderogabili.

Anzitutto le forme di autonomia ammesse riguardano solo le materie di cui all’art. 117 terzo comma, secondo comma lettera L limitatamente all’organizzazione delle giustizia di pace, e lettere N e S.; si tratta quindi di materie analiticamente individuate dalle quali non si può esorbitare senza una legge di revisione costituzionale ai sensi dell’art. 138.

Pertanto un quesito generico su forme e condizioni particolari di autonomia che non precisa questi limiti contenutistici, neppure implicitamente richiamando l’art. 116, appare gravemente elusivo della cautela espressa da codesta Corte nella già richiamata giurisprudenza, in quanto la prospettazione all’elettorato di un imprecisato incremento dell’autonomia (tanto più contestualmente al quesito 5 sulla Regione a Statuto speciale) evoca la prospettiva di riforme molto ampie, suscitando un’aspettativa che non tiene conto del vincolo costituzionale e riproduce i rischi di squilibri politici e conflitti sociali e territoriali che si sono sin qui opportunamente prevenuti ed impediti.

In secondo luogo la configurazione procedurale dell’iter legislativo previsto nell’art. 116 co. 3 identifica un percorso “rinforzato” anche se in misura minore rispetto a quello dell’art. 138, poiché richiede l’approvazione delle Camere a maggioranza assoluta dei componenti ed una intesa con la Regione interessata, consentendo di qualificare il previsto ampliamento dell’autonomia come una revisione costituzionale, sia pure su scala ridotta, il che rende ancora più sensibile la formazione del contenuto della riforma rispetto alle suggestioni ed alle pressioni del voto popolare preventivo, di cui si è già parlato.

E’ vero che qui è specificamente prevista l’iniziativa della Regione interessata, ma l’art. 116 aggiunge “sentiti gli Enti locali” conformemente all’impostazione seguita da codesta Corte quando afferma che “nel nostro sistema le scelte fondamentali della comunità nazionale, che ineriscono al patto costituzionale, sono riservate alla rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il popolo non può intervenire se on nelle forme tipiche previste dall’art. 138 della Costituzione” (sentenza 496/2000).

Dunque è palese la violazione dell’art. 116 anche per la parte in cui formalizzato la raccolta dei consensi delle istanze locali individuando nei rappresentanti politici della Regione interessata e degli enti locali i legittimi portatori dell’istanza riformista ed evitando ancora una volta di coinvolgere un voto popolare, ritenuto non solo non idoneo a soppesare il significato della riforma ma soprattutto troppo suscettibile di essere influenzato e di influenzare a sua volta il corretto iter legislativo.

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Gli altri tre quesiti previsti nell’art. 2 in esame hanno un oggetto comune e possono quindi essere esaminati unitariamente, anche se variamente articolati: essi riguardano il gettito dei tributi o più genericamente delle fonti di finanziamento riscossi nella Regione, per i quali si chiede all’elettorato veneto di dichiarare se voglia trattenerli nell’ambito regionale almeno nella misura dell’80% e se chieda che non siano soggetti a vincoli di destinazione.

Pur se non applicabile direttamente a questo referendum, il motivo di inammissibilità del referendum consultivo per l’abrogazione delle leggi tributarie e di bilancio, nonché delle leggi i cui contenuti costituiscono adempimento di obblighi costituzionali, internazionali ed europei.

A ciò si aggiunga che l’art. 117 co.2 attribuisce allo Stato la legislazione  esclusiva, tra l’altro, in materia di sistema tributario e perequazione delle risorse finanziarie e l’art. 119 co 2, nel prevedere l’applicazione di tributi ed entrate propri da parte degli Enti locali nonché la loro compartecipazione al gettito dei tributi erariali, presuppone la determinazione da parte dello Stato di principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Vi sono stati in questo ambito numerosi interventi di codesta Corte che sin dalla sentenza 370/2003 ha segnalato l’urgenza di realizzare il sistema di finanza regionale; e successivamente la sentenza n. 37 del 2004_ha indicato come necessario presupposto per l’attuazione del disegno costituzionale “l’intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell’intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali”.

In particolare per i tributi locali, la riserva di legge stabilita dall’articolo 23 della Costituzione comporta la necessità di definire l’ambito in cui potrà esplicarsi la potestà regolamentare degli enti sub-regionali, sforniti di poteri legislativi, e il rapporto fra quest’ultima e la legislazione statale e legislazione regionale per quanto attiene alla disciplina di grado primario. La Corte ha quindi concluso che “non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale”. Questa conclusione è stata confermata nella sentenza n. 241 del 2004 (sulla delega per la riforma del sistema fiscale statale) e n. 261 del 2004 (sulla determinazione delle basi di calcolo dei sovracanoni per la produzione di energia idroelettrica).

Per quanto poi riguarda la specificazione della nozione di tributo proprio, codesta Corte ha affermato costantemente che nell’attuale quadro normativo non si danno tributi che possano essere definiti propri delle regioni, nel senso inteso dall’articolo 119 della Costituzione. Infatti, attualmente esistono soltanto tributi instituiti e disciplinati da leggi dello Stato, connotati dalla sola particolarità che i loro gettito è attribuito alle regioni. La disciplina di questi “tributi regionali” non è divenuta oggetto di legislazione concorrente, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, ma appartiene alla competenza esclusiva della legislazione dello Stato, che disciplina i casi e i limiti in cui può esplicarsi la potestà legislativa regionale. Spetta quindi al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, della disciplina dei tributi locali esistenti. Tale potestà deve tuttavia esercitarsi in armonia con i nuovi principi costituzionali, in particolare, non potrebbe sopprimere, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti alle regionali e agli enti locali dal vigente ordinamento, né configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica tali principi (sentenza n. 37 del 2004).

Con sentenza n. 296 del 2003, su ricorso del Governo avverso la legge della regione Piemonte 5 agosto 2002, n. 20, codesta Corte ha dichiarato illegittime le disposizioni ivi contenute in materia di imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e di tassa automobilistica (esenzione dell’Agenzia per lo svolgimento dei giochi olimpici invernali di Torino 2006 dal pagamento dell’IRAP; esenzione permanente dal pagamento della tassa automobilistica per gli autoveicoli alimentati a gas metano; proroga del termine per il recupero delle tasse automobilistiche regionali dovute per l’anno 1999) e successivamente ha affermato che l’IRAP non può qualificarsi tributo proprio delle Regioni nel senso inteso dell’attuale articolo 119 della Costituzione, e che pertanto queste possono variarne la disciplina soltanto nei limiti consentiti della normative statale in proposito, non rilevando in contrario la devoluzione del relativo gettito alle regioni stesse. Spetta quindi alle regioni soltanto una limitata facoltà di variare l’aliquota e di disciplinare le procedure applicative secondo quanto previsto dal D. Lgs. N. 446 del 1997.

Al di là del fatto che sino ad oggi non si è realizzato l’auspicio espresso da codesta Corte per il coordinamento della finanza pubblica, rimane la configurazione dei principi costituzionali in materia tributaria secondo un’impostazione molto precisa e stringente che riconosce allo Stato il compito di regolare il quadro tributario generale con un’azione di coordinamento che consenta alle Regioni di avere proprie entrate e di partecipare al gettito dei tributi erariali riferibili al proprio territorio.

Ne consegue che poiché allo stato le Regioni non possono legiferare in questo ambito, esse non possono evidentemente neppure disporre referendum che eludono per un verso il divieto dell’art. 75 attribuendo all’elettorato regionale un potere che non compete a quello nazionale e per altro verso violano di per sé l’esclusiva del potere normativo statale indicendo una consultazione su una materia che gli artt. 117 e 119 riservano al legislatore nazionale.

Sotto altro profilo emerge anche la violazione degli artt. 3 e 5 della Costituzione poiché si vorrebbe attribuire ai cittadini veneti una legittimazione ad esprimersi in materia non consentita a tutti gli altri cittadini italiani, con violazione del principio di parità dinanzi alla legge e si incrinerebbe in modo rilevante anche l’unità e l’indivisibilità della Repubblica che promuove le autonomie locali, ma non ammette che esse possano pronunciarsi su un tema così delicato come la devoluzione del gettito delle imposte o la destinazione delle entrate, suscitando prevedibili movimenti che, anziché alimentare la solidarietà sociale, possono suscitare tendenze centrifughe o pretese egoistiche nella politica economica.

 P.Q.M

Si chiede che codesta Ecc.ma Corte Costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittima e conseguentemente annullare, per i motivi tutti ut supra specificati la L. Reg. 15/2014 della Regione Veneto, pubblicata nel BUR n. 62 del 24 giugno 2014, come da delibera del Consiglio dei Ministri in data 8.8.2014, per violazione degli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost.

Con l’originale notificato del ricorso di depositeranno:

  1. estratto della delibera del Consiglio dei Ministri 8.8.2014;
  2. copia della Legge regionale impugnata;
  3. relazione del Ministero degli Affari Regionali.

 

Roma, 18.8.2014

Gian Paolo Polizzi
Avvocato dello Stato

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