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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 29 del 14 marzo 2014


Ricorso

Ricorso n. 6 del Presidente della Corte costituzionale per l'impugnazione e la dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 7,comma 1, e 10, comma 6, fra loro in combinato disposto,nonché dell'articolo 11, commi 1 e 2, della Legge Regionale 29 novembre 2013,n. 32,avente ad oggetto «Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia di urbanistica ed edilizia», pubblicata sul BUR n. 103 del 30 novembre 2013.

Pubblicazione disposta dal Presidente della Corte costituzionale a norma dell’art. 20 delle Norme intergrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale.
 

Ricorso n. 6

depositato il 4 febbraio 2014


per la Presidenza del Consiglio dei Ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente in carica, rappresentata e difesa per mandato ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato dall'Avvocatura Generale dello Stato (C.F.80224030587), presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi,12 (fax 0696514000 –PEC ags.rm@mailcertavvocaturastato.it)
 

ricorrente
 

contro


REGIONE VENETO, in persona del Presidente della Giunta Regionale attualmente in carica
 

Resistente


per l'impugnazione e la dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 7,comma 1, e 10, comma 6, fra loro in combinato disposto,nonché dell'articolo 11, commi 1 e 2, della Legge Regionale 29 novembre 2013,n. 32,avente ad oggetto «Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia di urbanistica ed edilizia», pubblicata sul BUR n. 103 del 30 novembre 2013.
 

***


La Regione Veneto ha approvato ed emanato la legge n. 32/2013 con cui, al dichiarato fine di incentivare il settore edilizio, introduce la possibilità di realizzare interventi di ampliamento e delocalizzazione in deroga agli strumenti urbanistici vigenti.
Secondo quanto previsto dall'articolo 1 della legge in questione, sono incentivati gli interventi finalizzati:

a)    al miglioramento della qualità abitativa per preservare, mantenere e rivitalizzare il patrimonio edilizio esistente, nonché a favorire l'esercizio dell'edilizia sostenibile e delle fonti di energia rinnovabile;
b)    ad incentivare l'adeguamento sismico e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici esistenti;
c)    ad incentivare la demolizione e la ricostruzione in area idonea di edifici esistenti che ricadono in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica;
d)    a favorire la rimozione e lo smaltimento della copertura in cemento amianto di edifici esistenti.

Il successivo articolo 3, comma 2, prevede che in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali,provinciali e regionali, ed anche alle previsioni dei piani ambientali dei parchi regionali, è consentito ampliare gli edifici esistenti al 31 dicembre 2013 fino ad un massimo del 20% del volume o della superficie, e comunque fino ad un massimo di 150 metri cubi per gli edifici residenziali unifamiliari da destinare a prima casa di abitazione.
Ancora, l'articolo 4, comma 2, consente in caso di demolizione e ricostruzione l'incremento del volume o della superficie fino al 70% qualora vengano utilizzate tecniche costruttive virtuose sotto il profilo delle prestazione energetiche dell'edificio, e fino all'80% qualora l'intervento di ricostruzione sia eseguito con le tecniche previste dalla legge regionale n. 4/2007. E tutto ciò in deroga ai regolamenti comunali e agli strumenti urbanistici e territoriali comunali, provinciali e regionali nonché alle previsioni dei piani ambientali dei parchi regionali.
Inoltre, l'articolo 7 consente,per gli edifici attualmente insistenti su aree ad alta pericolosità idraulica ed idrogeologica,la demolizione e la ricostruzione in altra area territorialmente omogenea e non pericolosa, con l'incremento premiale sino al 50% del volume o della superficie. Se tuttavia l'edificio da demolire ha destinazione residenziale, la sua ricostruzione è consentita anche in zona agricola purché già interessata da altre presenze edificate, e purché non connotata da divieti di edificazione imposti da specifici vincoli di tutela.
Infine, l'articolo 10 permette gli interventi di ampliamento anche all'interno dei centri storici, se riferiti ad edifici privi di grado di protezione, ovvero con grado di protezione di demolizione e ricostruzione, di ristrutturazione o sostituzione edilizia, di ricomposizione volumetrica o urbanistica, anche se soggetti a piano urbanistico attuativo.
Come si vede, una normativa ad ampio raggio d'azione tesa a favorire in modo deciso e oneroso (nel senso dell'aggravio del peso edilizio ed urbanistico sul territorio a causa della rilevanza quantitativa degli incentivi premiali) la rigenerazione e la messa in sicurezza attraverso la delocalizzazione dalle aree a rischio. Ma con categorica ed insindacabile sovrapposizione agli strumenti di pianificazione urbanistica comunale, tanto che risultano espressamente abrogate le norme che demandavano ai comuni l'individuazione degli ulteriori limiti e modalità applicative della legge regionale sul proprio territorio, così da generare una diffusa protesta da parte di molti sindaci (Venezia in testa) che hanno visto lese le proprie prerogative.
Sennonché, siffatto intervento legislativo presenta numerosi profili di criticità per quanto riguarda la sua compatibilità con i principi costituzionali che attribuiscono allo Stato il potere di dettare le regole fondamentali di governo del territorio, e pertanto la Presidenza del Consiglio dei ministri è costretta a proporre la presente impugnazione, affidata ai seguenti motivi.
1)    Illegittimità costituzionale degli articoli 7, comma 1, e 10,comma 6, della Legge Regionale Veneto 29 novembre 2013, n. 32, in combinato fra loro disposto in riferimento all'articolo 117, comma 2, lettera s) e comma 3, della Costituzione.
L'articolo 7 della Legge Regionale che qui si censura introduce nella legge regionale n. 14/2009 l'articolo 3-quater (“Interventi su edifici in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica e idrogeologica”).
La nuova norma, al comma 1, dispone: “Per gli edifici ricadenti nelle aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica o idrogeologica è consentita l'integrale demolizione e la successiva ricostruzione in zona territoriale omogenea propria non dichiarata di pericolosità idraulica o idrogeologica, anche in deroga ai parametri dello strumento urbanistico comunale, con un incremento fino al 50 per cento del volume o della superficie.”.
L'articolo 10, comma 6, che pure qui si censura, modifica la lettera g) dell'articolo 9 (“Ambito di applicazione”), della legge regionale n. 14/2009, che vieta l'applicazione degli interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione per gli edifici ricadenti in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica e nelle quali non è consentita l'edificazione ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale e successive modificazioni”), aggiungendovi le parole “fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 3-quater.”.
Le nuove disposizioni, pur incentivando l'integrale demolizione di edifici siti in aree ad alta pericolosità idraulica ed idrogeologica, e la loro ricostruzione in zone territoriali omogenee non dichiarate pericolose, introducono alla previgente disposizione regionale una modifica lesiva della potestà legislativa in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che l'articolo 117, comma 1, lettera s), della Costituzione attribuisce in via esclusiva allo Stato.
L'articolo 9, comma 1, lettera g) della legge regionale n. 14/2009, infatti, nell'escludere gli interventi di ampliamento e di demolizione e ricostruzione, utilizza il termine “pericolosità idraulica”, che ricomprende solo l'alluvione e non anche il termine “pericolosità idrogeologica” che ricomprende le aree a rischio frana e valanga.
Il testo della norma regionale prima della modifica, era coerente con quanto previsto nel D.P.C.M. 29 settembre 1999 (“Atto di indirizzo e coordinamento recante l'individuazione dei criteri relativi agli adempimenti di cui all'art.1, commi 1 e 2 del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180”), che esclude l'ammissibilità di alcuni degli interventi per le aree ad alta pericolosità/rischio idrogeologico, differenziando tra aree a rischio idraulico ed aree a rischio frana (§ 3.1 e § 3.2).
L'attuale testo della norma regionale, risultante dalla modifica introdotta dalla Legge che qui si censura, contrasta con la disciplina statale di riferimento, nella misura in cui è idonea a consentire gli interventi menzionati anche in violazione delle prescrizioni più restrittive contenute negli atti di pianificazione di bacino, le quali, ai sensi dell'art. 65, commi 4, 5 e 6 del decreto legislativo n. 152/2006 hanno carattere vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici e sono sovraordinate ai piani territoriali e ai programmi regionali.
Non si tratta, in sostanza, di esercizio da parte della Regione Veneto di potestà legislativa concorrente perché non si discute nel caso di specie di mero governo del territorio; la difesa dal rischio idrogeologico attiene alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che è materia in cui alla regione è inibito dettare disposizioni legislative proprie.
Ma anche se si ritenesse che l'intervento legislativo regionale afferisce al governo del territorio, ugualmente sarebbe leso il principio costituzionale del riparto di competenza legislativa, dal momento che la regione deve rispettare i principi fondamentali dettati dallo Stato, e - fra questi - indubbiamente rientrano le regole di tutela dal rischio idrogeologico, che sono ispirate ad esigenze di salvaguardia del territorio, dell'ambiente e della pubblica incolumità, e che - come tali - devono trovare necessaria uniformità su tutto il territorio nazionale.
Di conseguenza, le disposizioni di cui all'articolo 9, lettera g), della legge regionale n. 14/2009, come modificate dall'articolo 10, comma 6 della legge in esame, violano l'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l'esclusione degli interventi citati in tutti i casi in cui le norme di attuazione dei piani di bacino o la normativa di salvaguardia non consentono, nelle aree considerate, tale tipologia di interventi o, più in generale, nelle aree ad alto (elevato e molto elevato)rischio idrogeologico, nelle quali non è consentita l'edificazione dagli strumenti di pianificazione.
2)    Illegittimità costituzionale dell'articolo 11, commi 1 e 2,della Legge Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32, in relazione all'articolo 117, comma 2, lettera s), e comma 3 della Costituzione.
La norma in rubrica censurata modifica l'art. 10, comma 1, lettere a) e b) della legge regionale n. 14 del 2009 eliminando l'obbligo, per gli interventi di ristrutturazione edilizia, di rispettare la sagoma esistente.
Così disponendo, tuttavia, essa si pone in contrasto con l'art. 3, comma 1, lettera d) del DPR n. 380 del 2001, che impone, ai fini della qualificazione degli interventi di ristrutturazione edilizia, sottratti perciò al permesso di costruire e assoggettati a mera s.c.i.a., il rispetto della medesima sagoma dell'edificio preesistente, qualora si tratti di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 (“Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”).
La norma dello Stato di cui al Test Unico n. 380/2001 è, evidentemente anche per ragioni di collocazione, solo formalmente edilizia, ma sostanzialmente è di tutela del patrimonio culturale, risolvendosi in una disposizione di maggior tutela dei beni culturali vincolati, escludendo che interventi di ristrutturazione possano comportare l'alterazione qualitativa e quantitativa della sagoma esistente degli edifici soggetti a vincolo.
Poiché è indiscutibile che la tutela dei beni culturali è riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Costituzione, la disposizione regionale de qua invade indebitamente la sfera di signoria statale attenuando in maniera indebita l'intensità della protezione che lo Stato vuole sia attribuita al patrimonio culturale.
Si tratta di materia riservata, nella quale alla regione è del tutto inibito legiferare.
Ma anche qui, come per l'altra norma regionale censurata con il presente ricorso, seppure si ritenesse che l'intervento legislativo regionale si è limitato ad incidere solo su aspetti urbanistico/edilizi,ugualmente ne sarebbe leso il principio fondamentale di tutela dettato dallo Stato con l'articolo 3 del DPR n. 380/2001, che costituisce un limite invalicabile agli apprezzamenti che la regione fa del proprio territorio, non consentendo la compromissione di interessi di portata superiore e, indubbiamente, ultra locali.
Si pensi all'effetto devastante che l'applicazione della norma regionale potrebbe avere nelle città storiche (Venezia in testa), dove la stragrande quantità degli edifici è giustamente sottoposta a vincolo e che potrebbe vedere alterata, e quindi irreversibilmente compromessa, un'immagine architettonica che è patrimonio dell'umanità.
Il tutto, essendo gli interventi in questione realizzabili con semplice s.c.i.a. senza che sia neppure possibile l'irrinunciabile tutela della conservazione dei valori culturali ed architettonici affidata al parere delle Sovrintendenze.
La norma in rubrica contrasta pertanto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio (art.117, comma 3 della Costituzione) e con una disposizione di tutela dei beni culturali, vincolante per le regioni ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione.
Per tutte le esposte ragioni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri come sopra rappresentata e difesa

Conclude

Per l’accoglimento del presente ricorso e per la conseguente dichiarazione di incostituzionalità delle norme della Legge Regionale in esso denunciate.

Roma, 28 gennaio 2014


Marco Corsini
Avvocato dello Stato

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