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Scarica versione stampabile Sentenza ed Ordinanza

Bur n. 26 del 27 marzo 2009


TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO

Ordinanza del 16 ottobre 2008 emessa dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Associazione Lega per l'abolizione della caccia ONLUS ed altra c/ Presidenza del Consiglio dei ministri - Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ed altri.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima, composto dai signori:

Giorgio Giovannini                   Presidente

Antonino Savo Amodio           Consigliere

Mario Alberto di Nezza           Primo referendario rel.

ha pronunciato la seguente 

ORDINANZA 

sul ricorso n. 6559/2008 R.g. proposto

da 

Associazione Lega per l’abolizione della caccia Onlus e World Wide Fund for Nature Onlus, in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., rappresentati e difesi dagli avv.ti Claudio Linzola, Marco Ramadori e Giuseppe Ramadori, elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via M. Prestinari n. 13 

contro 

la Presidenza del Consiglio dei ministri – Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, in persona del Presidente del Consiglio in carica, e l’Istituto nazionale per la fauna selvatica, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati;

la Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Pio Dario Vivone, Annalisa Santagostino e Federico Tedeschini, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Largo Messico n. 7

la Regione Veneto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Bianca Peagno, Ezio Zanon e Luigi Manzi, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Confalonieri n. 7;

la Regione Liguria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Barbara Baroli, Gigliola Benghi e Orlando Sivieri, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Cosseria n. 5;

la Regione Marche e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., n.c. 

per l’annullamento 

della nota prot. 2135/08/4.14/CSR del Servizio V – “Ambiente e territorio” della Segreteria della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, con la quale si prende atto della ripartizione interregionale della “piccola quantità” delle specie prelevabili in deroga per la stagione venatoria 2008/2009 ai sensi dell’intesa sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni rep. atti n. 1969 del 19 aprile 2004; della deliberazione della Conferenza delle regioni e delle province autonome del 26 marzo 2008; dei pareri resi dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica sulla richiesta di attivazione della caccia in deroga, richiesti dalle regioni Lombardia, Veneto, Liguria, Marche e Friuli Venezia-Giulia; di ogni altro eventuale atto connesso.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni resistenti;

viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

visti gli atti tutti della causa;

sentiti alla camera di consiglio dell’8 ottobre 2008, relatore il dott. Mario Alberto di Nezza, gli avv.ti Linzola, Conticiani in sostituzione di Tedeschini, Reggio d’Aci in sostituzione di Manzi e l’avv. dello Stato Colelli;

ritenuto e considerato quanto segue in

FATTO E DIRITTO 

1. Con ricorso notificato il 10-11 giugno 2008, depositato il successivo 30 giugno, le associazioni Lega per l’abolizione della caccia e World Wide Fund for Nature, illustrato il regime delle deroghe al divieto di caccia esistente per alcune specie di uccelli, hanno chiesto l’annullamento della nota in data 4 aprile 2008, con cui la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano (in prosieguo, Conferenza Stato-Regioni) avrebbe fatto propria la ripartizione tra le regioni interessate, effettuata in sede di Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, della “piccola quantità” ex art. 9, par. 1, lett. c), dir. 79/409/CEE, ai fini del prelievo in deroga per la stagione venatoria 2008-2009.

A sostegno del gravame le ricorrenti, soffermatesi preliminarmente sulla natura dell’atto impugnato (n. I ric.), hanno lamentato:

a) la violazione dell’art. 19-bis, comma 2, l. 11 febbraio 1992, n. 157 (introdotto dalla l. 3 ottobre 2002, n. 221), nonché dell’art. 1 del protocollo d’intesa adottato nel 2004 dalla Conferenza Stato-Regioni (atto rep. n. 1696 del 29 aprile 2004), stante la mancata indicazione dei mezzi di abbattimento prescelti e delle circostanze di tempo e luogo degli abbattimenti (n. II ric.);

b) la violazione dell’art. 3 l. n. 241/90 e dell’art. 1 del ridetto protocollo del 2004, non risultando enunciate le ragioni a supporto della decisione di attivare il regime derogatorio (n. III ric.);

c) l’ulteriore violazione dell’art. 6 prot. 2004, poiché la ripartizione sarebbe avvenuta senza la previa acquisizione del parere dell’Istituto nazionale della fauna selvatica (Infs), necessario ai fini dell’individuazione della “piccola quantità” su scala nazionale (n. IV ric.);

d) l’erronea e incomprensibile determinazione in concreto della “piccola quantità”, stabilita in percentuali - 3% delle popolazioni del fringuello e della peppola (corrispondenti rispettivamente a 1.650.000 e a 205.500 esemplari) e 2% della popolazione dello storno (pari a 580.000 esemplari), successivamente suddivise in base al numero dei cacciatori presenti nelle regioni interessate – di molto superiori alla soglia dell’1% individuata dalla giurisprudenza comunitaria come atta a soddisfare le esigenze di tutela ambientale avute di mira dalla legge (attesa l’inidoneità di tale grandezza a influire in modo sensibile sull’andamento demografico della specie cacciata), soprattutto alla luce del raffronto con il prelievo in deroga autorizzato per l’anno venatorio 2005-2006 (pari a meno della metà del numero di esemplari contemplato per l’anno in corso; n. VI ric.).

Si sono costituite in resistenza le parti intimate.

Con atto denominato “istanza cautelare”, notificato il 18-20 settembre 2008, le ricorrenti, segnalata l’avvenuta attivazione in Lombardia e in Veneto della caccia in deroga attraverso l’emanazione, rispettivamente, dell’art. 4 l.r. Lombardia 30 luglio 2008, n. 24, e dell’art. 1, unitamente all’allegato A, l.r. Veneto 14 agosto 2008, n. 13, hanno instato per la sospensione cautelare degli atti impugnati e per la rimessione alla Corte costituzionale di tali disposizioni normative, a loro dire in contrasto con una serie di parametri costituzionali.

Con ordinanza resa nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2008 questa Sezione ha concesso la misura cautelare (fino alla decisione dell’incidente di costituzionalità), riscontrando entrambi i requisiti per la tutela interinale.

Segnatamente, è stata ravvisata, in punto di fumus, la sussistenza di profili di incostituzionalità della normativa in esame, sulla base delle considerazioni che seguono.

2. Prima di illustrare la rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni, giova dare brevemente conto del quadro normativo di riferimento.

2.1. La direttiva 2 aprile 1979, n. 79/409/CEE (c.d. direttiva “uccelli”), intendendo garantire la “conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo” nonché “la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie”, disciplinandone lo sfruttamento (art. 1), impone agli Stati membri di adottare “le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione” di dette specie “a un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative” (art. 2).

Negli articoli 5, 6, 7 e 8 la direttiva introduce un articolato regime di divieti, tra cui quello di uccisione o cattura, che può essere derogato ai sensi del successivo art. 9, “sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti”, per tre ordini di motivi (par. 1):

a) nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica; nell’ interesse della sicurezza aerea; per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque; per la protezione della flora e della fauna;

b) ai fini della ricerca e dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l’allevamento connesso a tali operazioni;

c) “per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità”.

La disposizione comunitaria prescrive inoltre che le deroghe menzionino, tra l’altro, “i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzata” nonché “le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte” (par. 2).

2.2. In Italia la direttiva è stata attuata con la legge 11 febbraio 1992, n. 157.

Il regime del prelievo venatorio in deroga è delineato dall’art. 19-bis (introdotto dalla l. n. 221 del 2002), che intesta alle Regioni il potere di disciplinare l’esercizio delle deroghe “conformandosi alle prescrizioni dell’art. 9, ai princìpi e alle finalità degli articoli 1 e 2” della direttiva 79/409/CEE e alle disposizioni della legge n. 157 del 1992 (comma 1). Tale disposizione sancisce in particolare: a) che “le deroghe sono applicate per periodi determinati, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica, o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione” (comma 3), e b) che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, possa annullare “previa delibera del Consiglio dei ministri […], dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della presente legge e della direttiva 79/498/CEE” (comma 4).

2.3. Al fine di individuare procedure comuni per “ottimizzare l’iter di ciascun provvedimento volto ad autorizzare prelievi in deroga”, con intesa sancita ai sensi dell’art. 8, comma 6, l. 5 giugno 2003, n. 131, nella seduta del 29 aprile 2004 la Conferenza Stato-Regioni ha elaborato un apposito “protocollo operativo”.

Se il punto 1 del protocollo precisa che le deroghe – che devono recare le indicazioni contemplate dalla normativa comunitaria e nazionale – “possono essere applicate sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica” (o altri istituti riconosciuti) e che “la valutazione degli interventi da attuarsi viene effettuata verificando la congruità delle azioni previste in relazione alle motivazioni per cui s’intende applicare la deroga”, il successivo punto 6, specificamente dedicato all’ipotesi di cui all’art. 9, par. 1, lett. c), dir.79/409/CEE, prevede che “la valutazione dei prelievi […] richiede la determinazione della ‘piccola quantità’, unitamente alla conoscenza dell’entità del prelievo che s’intende esercitare complessivamente a livello nazionale, onde evitare che popolazioni migratrici siano sottoposte ad un prelievo superiore a quello ammesso dalla norma comunitaria”. Ciò comporta che le amministrazioni regionali che intendano autorizzare forme di caccia in deroga ai sensi della disposizione in argomento siano tenute a darne comunicazione “all’Infs entro il 31 gennaio di ogni anno”; successivamente, “l’Infs entro i successivi 60 giorni trasmette il proprio parere alle Regioni interessate che concordano entro il 30 aprile la suddivisione della ‘piccola quantità’ indicata dall’Infs riferita alle singole specie, utilizzando come parametro di ripartizione il numero dei cacciatori residenti in ogni regione”.

“Le regioni” – conclude il punto in esame – “si impegnano a rispettare le decisioni assunte in ordine a tale ripartizione”.

2.4. Venendo alla determinazione della “piccola quantità” ex art. 9, comma 1, lett. c), per la stagione venatoria 2008-2009, risulta agli atti di causa come nella seduta del 26 marzo 2008 la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, muovendo dagli esiti di un “incontro tecnico” tenutosi il 21 marzo 2008 tra le regioni Lombardia, Veneto, Liguria, Marche e Friuli Venezia-Giulia – regioni che avevano condiviso “all’unanimità la proposta di ripartizione dei quantitativi prelevabili”, cui si era dichiaratamente addivenuti attraverso l’applicazione delle Linee guida per l’attuazione della dir. 79/409/CEE “sulla base degli ultimi dati scientifici disponibili in letteratura, in maniera proporzionale al numero di cacciatori presenti in ognuna delle regioni richiedenti” – abbia “preso atto” di tale ripartizione.

Risulta ancora come nel corso della seduta della Conferenza Stato-Regioni tenutasi in pari data, il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome abbia chiesto di “mettere a verbale” l’anzidetta ripartizione, consegnando un documento “da trasmettere al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali” in dichiarata osservanza della procedura definita nel protocollo del 2004 (all. 5 amm.).

2.5. Sono successivamente intervenute le leggi regionali in esame.

2.5.1. La l.r. Lombardia 30 luglio 2008, n. 24 - delineata, negli articoli da 1 a 3, la disciplina generale per l’attivazione del regime derogatorio ex art. 9 dir. 79/409/CEE – all’art. 4 autorizza il prelievo in deroga per la stagione venatoria 2008-2009.

Più precisamente: al comma 1 di tale disposizione si sancisce che per tale stagione “ricorrendone le condizioni e in assenza di altre soluzioni soddisfacenti”, il regime di deroga si applica secondo quanto previsto in una tabella, riportata nel corpus dell’articolo, riguardante i “carnieri massimi” (giornaliero e stagionale) e l’arco temporale della stagione venatoria per le tre specie ammesse al prelievo; al successivo comma 2 si individua “il prelievo annuale complessivo consentito nella regione Lombardia” (storno n. 249.639 capi; fringuello n. 711.009 capi; Peppola n. 123.895 capi; il 3° comma attiene alle schede di monitoraggio).

2.5.2. A sua volta, l’art. 1, comma 1, l.r. Veneto 14 agosto 2008, n. 13, rubricato “stagione venatoria 2008-2009: applicazione del regime di deroga”, prevede che per tale stagione “i prelievi in deroga […] vengono attuati […] nei limiti e per le motivazioni di cui all’allegato A”.

Tale allegato consta: a) di una tabella recante l’indicazione, analogamente all’art. 4 della legge lombarda, del limite massimo di prelievo (giornaliero e stagionale) a livello regionale (storno 163.593; fringuello: 465.937; peppola: 81.190); b) di un paragrafo recante le “motivazioni” del prelievo stesso (“l’applicazione per la stagione venatoria 2008-2009 delle disposizioni di cui alla presente legge consente, nel rispetto di condizioni applicative e di controllo assai rigide, di sottoporre ad un limitato prelievo venatorio specie che risultano in buono stato di conservazione ma non sono inserite negli elenchi delle specie cacciabili in Italia, in tal modo conseguendosi congiuntamente, fermo restando il carattere non ordinario dei prelievi in deroga, un sia pur modesto soddisfacimento di una domanda venatoria fortemente legata alle tradizioni culturali venete ed una tendenziale diminuzione della pressione venatoria sulle specie ‘ordinariamente cacciabili’”).

3. Ciò detto, osserva il Collegio che tali norme, aventi chiara natura “provvedimentale”, trovano il proprio fondamento nell’intesa del 21 marzo 2008, esternata sia con la “presa d’atto” del successivo 26 marzo da parte della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome sia con la “messa a verbale” avvenuta nel corso della seduta in pari data della Conferenza Stato-Regioni.

La determinazione della “piccola quantità” risulta infatti operata secondo lo schema divisato dal protocollo del 2004, costituendo le leggi in esame attuazione degli impegni assunti in sede di intesa interregionale (nel verbale della seduta della Conferenza Stato-Regioni è registrata la dichiarazione del presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che il documento consegnato è “da trasmettere al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, frutto di un’intesa del 2004 che prevede questa procedura”).

La connessione tra l’atto interregionale di ripartizione delle quote e le norme in esame è altresì dimostrata in modo chiaro dalla perfetta coincidenza dei limiti massimi del prelievo stabiliti nell’intesa e di quelli previsti nelle norme stesse.

4. Sulla scorta di quanto appena rilevato, è ora possibile passare all’esame, nei limiti della cognizione propria della presente fase cautelare, delle eccezioni di rito sollevate dalle parti resistenti.

L’Avvocatura erariale, costituitasi per la Conferenza Stato-Regioni e per l’Infs, assume che il ricorso avrebbe ad oggetto atti non impugnabili, posto che la Conferenza non avrebbe assunto alcuna determinazione di natura provvedimentale, mentre i pareri rilasciati dall’Istituto non avrebbero portata lesiva, limitandosi a rilevare l’impossibilità di stabilire attraverso un’adeguata metodologia scientifica la “piccola quantità” cacciabile.

La Regione Lombardia deduce parimenti l’assenza di contenuto precettivo della “presa d’atto” della Conferenza, stante la sua ipotizzata natura di atto politico, ed eccepisce l’inammissibilità dell’impugnazione di una legge regionale in assenza di provvedimenti amministrativi applicativi, censurabili innanzi al giudice comune (su quest’ultima questione si rinvia a quanto si dirà in tema di rilevanza; v. punto 5.1).

Le eccezioni non paiono condivisibili.

Premesso che i pareri dell’Infs effettivamente non sembrano possedere portata pregiudizievole della posizione delle ricorrenti (ma va al riguardo ricordato che tali atti erano stati impugnati in via cautelativa, posto che nel ricorso le stesse istanti dichiaravano di non essere a conoscenza del relativo contenuto), è sufficiente in questa sede rilevare che gli altri atti oggetto di gravame appartengono alla fase amministrativa della serie procedimentale preordinata, secondo le prescrizioni dell’art. 19-bis l. n. 157 del 1992 e del protocollo d’intesa del 2004, alla concreta attivazione del regime derogatorio per l’anno in corso, serie iniziata con l’accordo interregionale del marzo 2008, recepito tanto dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome quanto dalla Conferenza Stato-Regioni (ad onta dell’assenza di una formale deliberazione di quest’organo, al quale la presa d’atto è stata “consegnata” dal presidente della Conferenza delle Regioni al dichiarato fine del perfezionamento della procedura).

Ciò consente per altro verso di sottolineare la riconducibilità del peculiare iter in disamina (e segnatamente delle determinazioni assunte in relazione al prelievo in deroga) alla sfera della discrezionalità (non politica, ma) amministrativa, avendo la legge statale di riferimento individuato, unitamente al protocollo d’intesa, alcuni parametri – di natura eminentemente tecnica, come attestato dall’intervento consultivo dell’Infs - condizionanti l’attivazione del regime derogatorio (così l’“assenza di altre soluzioni soddisfacenti” o il divieto di applicare le deroghe per le specie “la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione”) e dei quali va dato puntualmente atto nel provvedimento di deroga.

5. Venendo pertanto all’esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità delle disposizioni in considerazione - il cui chiaro tenore impedisce di effettuarne una lettura alternativa, compatibile con la Costituzione -, va anzitutto osservato come la sostanziale coincidenza delle medesime (v. supra, punti 2.5.1 e 2.5.2) e la loro afferenza a una procedura unitaria, permetta di svolgere una trattazione comune.

5.1. Cominciando dalla rilevanza, dev’essere disattesa la riferita eccezione di difetto di incidentalità.

L’emanazione delle ridette norme regionali rende allo stato (parzialmente) improcedibile il ricorso, quanto meno in relazione alla frazione di “piccola quantità” da prelevarsi in Veneto e Lombardia, onde la rimozione di tale elemento sopravvenuto consentirebbe la riespansione del sindacato del giudice amministrativo sugli atti impugnati. Ciò che attesta l’incidentalità del giudizio di legittimità costituzionale rispetto a quello principale (v. da ultimo Corte cost. 2 luglio 2008, n. 241; quand’anche le norme in argomento potessero esser ricondotte alla categoria delle c.d. “leggi autoapplicative”, andrebbe comunque condiviso l’orientamento che propende per la possibilità di accedere al sindacato incidentale della Corte attraverso l’instaurazione di una lis ficta, rimanendo in tal caso rispettato il principio di necessaria pregiudizialità tra giudizio di costituzionalità e giudizio comune).

Questa Sezione ha avuto di recente modo di soffermarsi sulla configurazione del requisito della rilevanza nell’ipotesi di leggi-provvedimento.

Segnatamente, nella sentenza 21 aprile 2008, n. 3356, è stato affrontato il problema della “sindacabilità di una previsione legislativa, che, in quanto volta a disciplinare una concreta ed individuabile fattispecie, assume connotazione concretamente provvedimentale”, con la conseguenza che “una determinazione, in luogo di essere veicolata dall’adozione di un atto (provvedimento) amministrativo, si trova invece ad essere introdotta […] ad opera di un atto formalmente legislativo”.

Ricordato che la Corte costituzionale in linea di principio riconosce l’ammissibilità delle leggi-provvedimento (a fronte sia dell’insussistenza di una riserva di amministrazione sia dell’impossibilità di configurare per il legislatore limiti diversi da quelli, formali, dell’osservanza del procedimento di formazione delle leggi), la Sezione ha rilevato come il sistema delle garanzie di tutela giurisdizionale a fronte di tale categoria di atti normativi abbia trovato soluzione nell’elaborazione della Corte costituzionale, allorquando afferma che “i diritti di difesa del cittadino, in caso di approvazione con legge di un atto amministrativo lesivo dei suoi interessi, non vengono sacrificati, ma si trasferiscono, secondo il regime di controllo proprio del provvedimento normativo medio tempore intervenuto, dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale” (Corte cost. 16 febbraio 1993, n. 62). Il sistema di tutela segue cioè la natura giuridica dell’atto contestato, sicché la legge, ancorché avente contenuto di provvedimento amministrativo, può essere sindacata, previa intermediazione del giudice rimettente, esclusivamente dal suo giudice naturale (la Corte Costituzionale).

Si tratta di una ricostruzione concettuale che “valorizza la pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge, ancor più incisivo di quello giurisdizionale sull’eccesso di potere; e finisce, quindi, per riconoscere al privato, seppur nella forma indiretta della rimessione della questione da parte del giudice amministrativo, una forma di protezione ed una occasione di difesa pari a (se non maggiore di) quella offerta dal sindacato giurisdizionale”.

Dal punto di vista dei rapporti tra i due giudizi, inoltre, se rimane ferma la centralità dell’apprezzamento del giudice comune in punto di non manifesta infondatezza, “assume, invece, connotazione decisamente depotenziata la (preliminare) valutazione in ordine alla rilevanza della questione (pure in linea di principio contemplata, ai fini in discorso, dall’ordinamento), in quanto essa, in presenza di leggi-provvedimento altrimenti insindacabili dal giudice di legittimità, è affatto intrinseca nell’esclusiva attribuzione alla Corte costituzionale dello scrutinio di legittimità della disposizione (formalmente) legislativa ma avente sostanza di atto amministrativo”. E ciò in quanto “se è vero che il sistema di tutela segue la natura giuridica dell’atto contestato […], allora – necessariamente – la rilevanza della questione finisce per dimostrarsi […] in re ipsa, pena, altrimenti, un ‘vuoto’ di tutela direttamente confliggente con i postulati costituzionali di cui agli artt. 24 e 113”.

5.2. Le questioni sono, inoltre, non manifestamente infondate sotto i profili che seguono (è appena il caso di puntualizzare, in merito al tipo di sindacato ammissibile e dunque, specularmente, alle censure utilmente prospettabili nell’incidente di costituzionalità, che la legge-provvedimento è soggetta a uno “scrutinio stretto di costituzionalità”, essenzialmente sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta del legislatore, scrutinio che deve essere tanto più rigoroso quanto più marcata sia la natura provvedimentale dell’atto legislativo sottoposto a controllo; cfr. Corte cost. sent. 13 luglio 2007, n. 267).

5.2.1. Anzitutto – e con l’avvertenza che l’aspetto di cui si passa a dire non attiene, a rigore, all’irragionevolezza della scelta di merito compiuta dal legislatore, ponendosi su un piano ad essa logicamente preliminare -, le norme impugnate paiono collidere con l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, ossia, rispettivamente, col principio che la potestà legislativa è esercitata dalle Regioni nel rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” e con la riserva alla legislazione statale della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

Con la sentenza 4 luglio 2008, n. 150, il Giudice delle leggi si è pronunciato (a seguito di ricorso in via di azione) sulla costituzionalità degli articoli 2 e 3 l.r. Lombardia 5 febbraio 2007, n. 2 (“legge quadro sul prelievo in deroga”), che in linea generale demandavano l’esercizio delle deroghe ex art. 9 dir. 79/409/CEE a una legge-provvedimento.

La Corte, ricordato il proprio orientamento sulla natura e i limiti del potere derogatorio, “esercitabile dalla Regione in via eccezionale ‘per consentire non tanto la caccia, quanto, piuttosto, più in generale, l’abbattimento o la cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima’” (sent. n. 168 del 1999), ha rilevato il contrasto di quelle norme regionali con l’art. 19-bis l. n. 157 del 1992. Ciò in quanto “l’autorizzazione del prelievo in deroga con legge preclude l’esercizio del potere di annullamento da parte del Presidente del Consiglio dei ministri dei provvedimenti derogatori adottati dalle Regioni che risultino in contrasto con la direttiva comunitaria 79/409/CEE e con la legge n. 157 del 1992; potere di annullamento finalizzato a garantire una uniforme ed adeguata protezione della fauna selvatica su tutto il territorio nazionale”.

Sembra al Collegio che tale conclusione possa estendersi agevolmente anche al caso di specie, nel quale l’attivazione del regime derogatorio con norme-provvedimento non consente al Presidente del Consiglio dei ministri di esercitare il potere di annullamento introdotto per garantire il rispetto della normativa di riferimento.

Valga in proposito rammentare che nella sentenza 8 giugno 2006, in proc. C-60/05, la Corte di giustizia delle Comunità Europee, chiamata - nell’ambito di una controversia, pendente innanzi al T.a.r. Lombardia, concernente il prelievo venatorio per la stagione 2003-2004 - a stabilire la conformità del meccanismo introdotto dall’art. 19-bis con l’art. 9 dir. 74/409/CEE, ha affermato: a) che “gli Stati membri sono tenuti a garantire che, indipendentemente dal numero e dall’identità delle autorità incaricate, nel loro ambito, di dare attuazione” all’art. 9 cit., “il totale dei prelievi venatori autorizzati […] non superi il tetto, conforme alla limitazione di tali prelievi a ‘piccole quantità’, fissato […] per tutto il territorio nazionale” (punto 41); b) che tale obbligo “esige che i procedimenti amministrativi previsti siano organizzati in modo tale che tanto le decisioni delle autorità competenti di autorizzazione dei prelievi in deroga, quanto le modalità di applicazione di tali decisioni siano assoggettate ad un controllo efficace effettuato tempestivamente” (punto 47).

È allora di chiara percezione il vulnus inferto dai legislatori regionali della Lombardia e del Veneto ai menzionati principi, siccome declinati in precisi obblighi aventi matrice comunitaria, e alla competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in specie degli standard minimi e uniformi di tutela della fauna.

5.2.2. Le norme regionali in argomento violano ulteriormente gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., sotto il profilo della mancata osservanza dell’obbligo di motivare in modo congruo la scelta di attivare le deroghe, secondo quanto stabilito dagli artt. 9, comma 1, lett. c), dir. 79/409/CEE e 19-bis l. n. 157/92 (v. anche la decisione della Commissione europea 28 giugno 2006, nella procedura d’infrazione n. 2006/2131).

A tale proposito, e rilevata la peculiarità della situazione (l’onere motivazionale sortisce per un verso dalla natura “provvedimentale” delle norme impugnate e, per altro verso, dalla necessità che siano rispettati puntuali impegni assunti in sede comunitaria), risulta come:

a) la l.r. lombarda n. 24/2008 sia del tutto priva di motivazione;

b) la l.r. veneta n. 13/2008 rechi (cfr. all. A) una motivazione di mero stile e comunque illogica nella parte in cui assume che l’attivazione del regime derogatorio consentirebbe “una tendenziale diminuzione della pressione venatoria sulle specie ‘ordinariamente cacciabili’”, posto che la caccia in deroga, come esattamente rilevato dalle ricorrenti, si somma eccezionalmente e non si sostituisce all’ordinario regime di cacciabilità (di talché vi sarà un più ampio ventaglio di prede, con conseguente maggiore impoverimento dell’ecosistema).

Sotto altro e connesso profilo, non si comprende se sia stato effettuato un accertamento in ordine ai requisiti sostanziali per consentire l’attivazione del regime derogatorio, e in particolare sull’“assenza di altre soluzioni soddisfacenti” o sul trend demografico delle specie interessate (alla luce del divieto di applicare le deroghe per le specie “la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione”), né si percepiscono le ragioni per le quali i pareri tecnici resi dall’Infs alle regioni Veneto e Lombardia il 25 marzo 2008 siano stati disattesi (l’Istituto ha affermato che “i dati attualmente disponibili a livello europeo non consentono una determinazione oggettiva e scientificamente solida della ‘piccola quantità’ cacciabile nel corso della stagione venatoria”, con conseguente rilievo della insussistenza dei presupposti per la determinazione di “quanto previsto al punto 6 dell’intesa” del 29 aprile 2004; cfr. all.ti 13 e 16 ric.).

A tale riguardo si può ricordare il limite individuato dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee nella citata sentenza 8 giugno 2006, C-60/05 (punti 26 e 27), in cui all’affermazione di principio che “costituisce una piccola quantità qualsiasi prelievo inferiore all’1% della mortalità annuale totale della popolazione interessata (valore medio) per le specie che non possono essere cacciate e dell’ordine dell’1% per le specie che possono essere oggetto di azioni di caccia” (elementi quantitativi che “si basano sui lavori del comitato ORNIS per l’adattamento al progresso tecnico e scientifico della direttiva”), segue il riconoscimento che tali percentuali, pur se non hanno “carattere giuridicamente vincolante, […] possono tuttavia costituire, in ragione dell’autorità scientifica di cui godono i lavori del comitato ORNIS e dell’assenza di produzione di qualsiasi elemento di prova scientifica contraria, una base di riferimento per valutare se una deroga concessa in forza dell’art. 9, n. 1, lett. c), della direttiva sia conforme alla detta disposizione”.

Ne segue la palese irragionevolezza e illogicità delle norme, nelle quali - a tacere della ricorrenza dei presupposti per la deroga - la fissazione della “piccola quantità” nella ricordata misura (del 3 e del 2%) non trova alcun sostegno in dati scientifici.

5.2.3. Va infine rilevata, con esclusivo riferimento alla l.r. lombarda, la violazione dell’art. 137, terzo comma, della Costituzione.

Il legislatore regionale sembra infatti avere approvato una norma in contrasto con il giudicato sostanziale formatosi a seguito della ridetta sentenza n. 150 del 2008, il cui dictum consiste nella preclusione alla potestà legislativa regionale di azionare il regime derogatorio attraverso leggi-provvedimento.

La menzionata pronuncia della Corte, avente efficacia - pur peculiare - di “giudicato” in forza dell’art. 137, ult. co., Cost., è stata infatti resa tra le stesse parti (Regione Lombardia e Stato) e su un thema decidendum coincidente, pur nella diversità degli atti in esame, con quellooggi all’attenzione del Collegio, venendo in rilievo la questione della corretta attuazione del meccanismo divisato dalla legge statale nel ridetto art. 19-bis.

6. Quanto sin qui osservato giustifica la valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza:

a) della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge regionale Lombardia n. 24 del 2008, per contrasto con gli articoli 3, 117, primo comma e secondo comma, lettera s), e 137, terzo comma, della Costituzione;

b) della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’allegato A della legge regionale Veneto n. 13 del 2008, per contrasto con gli articoli 3 e 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunci su tali questioni. 

P.Q.M. 

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sezione prima, visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della l. 11 marzo 1953, n. 87, così provvede:

a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 117, primo comma e secondo comma, lettera s), 137, terzo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge regionale Lombardia 30 luglio 2008, n. 24;

b) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’allegato A della legge regionale Veneto 14 agosto 2008, n. 13;

c) sospende il presente giudizio;

d) dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale a cura della Segreteria della Sezione, che provvederà altresì alla notificazione della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente della Giunta regionale della Lombardia e al Presidente della Giunta regionale del Veneto nonché alla sua comunicazione al Presidente del Consiglio regionale della Lombardia e al Presidente del Consiglio regionale del Veneto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2008.

Il Presidente

L’estensore


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